(foto LaPresse)

Il nanismo economico laziale

Gianluca De Rosa

I dati delle pmi della regione inquietano. Ridotti gli ordinativi e crescita al palo

Roma. “È ormai evidente che senza uno shock economico – con una sensibile riduzione della pressione fiscale o con un programma di grandi investimenti pubblici – sarà difficile che possano riaccendersi i motori dell’economia regionale, nonostante gli encomiabili sforzi messi in campo dalla Regione, con i bandi su energia pulita, digitalizzazione, internazionalizzazione e start up”. Così ieri mattina, a rimarcare i problemi del “sistema Lazio” (del tutto simili a quelli dell’Italia) è stato Silvio Rossignoli, ingegnere piemontese e presidente di Federlazio, l’associazione di categoria che ogni sei mesi presenta un’indagine congiunturale sullo stato di salute delle piccole e medie imprese regionali partendo dalle risposte di un campione di 450 aziende. Una fotografia per nulla rassicurante, in un Lazio per altri versi in salute. Nel II semestre del 2019 si registrano in regione più imprese che hanno ridotto gli ordinativi di quelle che li hanno aumentati. Più aziende dove il fatturato e la produzione sono calati rispetto a quelle in cui sono cresciuti. Discorso analogo per l’occupazione. In un contesto economico non proprio roseo. L’economia laziale nel 2018 (dati Istat) è cresciuta solo lo 0,2 per cento, contro l’uno della media nazionale. Nella Città metropolitana di Roma le imprese aumentano al ritmo dell’1,6 per cento (più di un punto sopra la media italiana), ma le altre province hanno difficoltà a star dietro alla Capitale dove, in ogni caso, gli investimenti pubblici solo al p alo: fermi ai valori del crollo del 2014. Le speranze vengono dall’export che nel 2019 ha fatto registrare un aumento record del +21,4 per cento.

 

Dai dati dell’indagine di Federlazio emerge che tutti gli indici presi in considerazione (produzione, fatturato e ordinativi) sono decisamente migliori se si considerano le aziende con fatturato superiore ai 5 milioni di euro, quasi sempre quelle più innovative e in grado di esportare. Non è un caso che la Regione Lazio per cercare di rilanciare l’economia punti su due cose: internazionalizzazione e innovazione. Ieri nel corso della presentazione dei dati lo spiegava anche l’assessore regionale allo Sviluppo economico Paolo Orneli: “Abbiamo creato dei voucher da spendere in apposite consulenze per permettere anche al tessuto di piccole e micro imprese di innovare e imparare ad esportare. Sempre in questa direzione va anche la prossima inaugurazione di un hub che fornirà servizi digitali di base a queste aziende all’interno del tecnopolo tiburtino”. A oggi però, stando al rapporto di Federlazio, risultati non se ne vedono: il 63 per cento delle imprese dichiara di non essere in grado di stare sui mercati internazionali, la percentuale è la stessa segnalata dall’indagine dell’associazione di categoria nel 2017. Due le ragioni principali: il 36,1 per cento delle imprese intervistate dichiara di non avere “la struttura aziendale attrezzata per affrontare i mercati esteri”, un altro 56,9 per cento sostiene invece che “il mercato nazionale assorbe completamente la produzione”.

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