Il governatore pugliese, Michele Emiliano (foto LaPresse)

Benvenuti in Puglia, dove tutto ebbe inizio

Salvatore Merlo

Non solo l’Ilva, ma anche la Tap e la Xylella. Ecco la Nazareth grillodem

Roma. Se in un futuro remoto gli storici, o gli psichiatri, volessero stabilire da dove è cominciato tutto, ovvero dove si è schiuso l’abbraccio tra la sinistra che non vuole costruire il ponte sullo stretto di Messina e il grillismo che vorrebbe dire vaffa all’industria emiliana degli imballaggi in plastica, insomma se tra qualche anno si volesse studiare il paziente zero che ha prodotto i germi remoti del governo del Bisconte e del nuovo corso demopopulista, ecco che forse è dalla Puglia che si dovrà partire. E allora qualcuno un giorno scriverà: … fu in Puglia, nella prima metà del secolo XXI, che un ministro di nome Barbara Lezzi e un governatore di nome Michele Emiliano, assieme ad assessori, parlamentari e consiglieri comunali di Pd e M5s, cavalcarono una sorta di allucinazione collettiva imparentata con i misteriosi meccanismi un tempo attivati dalla magia, dalla religione, nonché dall’omino di burro che conduce Pinocchio nel paese dei balocchi. Ed è in Puglia che infatti sinistra e grillini annunciarono di voler sostituire l’Ilva, il colosso siderurgico, con la coltivazione delle cozze pelose. Ed è in Puglia che denunciarono il diabolico gasdotto Trans-adriatico, l’opera che porterà gli approvvigionamenti di gas in Europa. Ed è in Puglia che una malattia arboricola devastante, nota come Xylella, è stata da loro raccontata come un complotto delle multinazionali, ritardando così ogni possibilità di contenerla e curarla. 

 

E mentre Michele Emiliano, il governatore di centrosinistra, il magistrato/politico simpaticamente tribunesco che governa la Puglia come un acrobata, intravedeva una nuova frontiera occupazionale nei viaggi sub-orbitali in partenza da Grottaglie, “manderemo le burrate a Los Angeles attraverso lo spazio in due ore”, ecco che la politica industriale di questa regione così ricca e così diversa dal resto del meridione, levantina e fortunata, si arroccava sempre di più nella  difesa retorica di una terra incontaminata (ma dalla realtà). Cinque stelle e sinistra, sempre più avvinghiati, sempre più simili, fra i trulli di Alberobello e il mare di Taranto, danzavano una tarantella che sarebbe diventata colonna sonora di Palazzo Chigi, della manovra economica scritta da una che si vantava d’aver esercitato abusivamente la professione di commercialista (Laura Castelli), la manovra delle tasse sulle merendine, sulla Coca-Cola e sulle bottigliette di plastica.

 

“La Xylella? Gli ulivi sono come delle divinità, sono immortali”, diceva allora Barbara Lezzi, l’ex diplomata dell’istituto commerciale che grazie a Luigi Di Maio nel 2018 aveva ereditato via ministero la responsabilità della questione meridionale di Salvemini, niente meno. Lezzi come Rosario Villari e Giustino Fortunato. E infatti, spiegava Lezzi, addirittura in un’interrogazione parlamentare, nel 2014, che questa malattia in realtà non esiste, non è mica come i chip sottopelle né come le sirene che invece nuotano nel mare, perché “l’ulivo è immortale, non a caso simbolo della Puglia, della dea Atena, della pace, dell’unione tra i popoli, forte simbolo nella religione cristiana nonché della dieta mediterranea…”. E avanti così, di belluria in belluria, di stupidaggine in stupidaggine, un cosmo di squinternati d’assalto che sempre più, come una nuova linea della palma, in Puglia e via via anche in Italia, ha messo tra parentesi i politici di normale scienza e sapienza sostituendo ogni cosa con il pensiero raccogliticcio, con la “controcultura” e la “controinformazione”, che poi sono ormai noti sinonimi di “corbelleria”: il sole, il vento, le cozze e gli ulivi, appunto, che sono come la cura al limone contro il cancro e i vaccini che sono inutili e per giunta fanno ammalare le persone.

 

Quindi la Xylella, che intanto desertificava l’ulivicoltura, era un prodotto della Monsanto, la diabolica multinazionale dei diserbanti che possiede un’azienda il cui nome è “Alellyx”, ovvero – ai furbi non sfugge nulla – l’anagramma di “Xylella”. E l’Ilva, che adesso forse chiude per eccesso d’insipienza, secondo Beppe Grillo andava invece riconvertita in un parco giochi per bambini, bonificata – con quali soldi? Con quali tempi? Da chi? Come? – in un mondo delle favole, una dimensione dell’irrealtà tanto più spregiudicata e imperdonabile perché giocata sulla pelle delle persone, nell’Italia in cui ancora nel 2019 non è stata bonificata nemmeno l’area di Bagnoli, a Napoli, la ex Italsider chiusa nel 1992, lo stabilimento sulla cui dismissione Ermanno Rea ha scritto uno dei suoi libri più belli.

 

Le arance e le burrate di Grottaglie

Ecco allora la politica dell’irrealtà, “la bonifichiamo e ci facciamo un parco”, “la ricaduta economica? Coltiveremo le cozze”, che si fonde con il delirio antimoderno delle tribù che odiano i gasdotti e i treni veloci, i ponti e le gallerie, la medicina, la scienza e persino l’euro (anche se per il momento hanno cambiato idea): la rivolta contro il presente, la voglia di segare il ramo su cui stiamo tutti seduti. Una follia che a un certo punto, in Puglia, ha prodotto contorte ipotesi di complotto. Perché le ossessioni, in quanto evanescenti e inafferrabili, poi finiscono con l’intrecciarsi, diventano un tutt’uno indistinguibile, un’unica enorme pappa buona per i gonzi o i malati di mente. E quindi ecco che i costruttori del gasdotto Tap avrebbero diffuso la Xylella per sradicare gli ulivi e poter meglio interrare le tubature.

 

Dunque fuoco non solo all’Ilva, ma anche al Tap, al gasdotto che deve portare otto miliardi di metri cubi di gas dall’Azerbaijan all’Europa contribuendo a diversificare le fonti di approvvigionamento energetico italiane. Ma chi se ne importa del gas, tanto ci sono le burratine di Grottaglie che arrivano a New York con i lanci sub-orbitali. Un fuoco che però è il contrario del fuoco di Efesto, l’abilissimo zoppo che nell’Iliade  forgia l’armatura di Achille nel fuoco della civiltà e della cultura. “Noi abbiamo la dieta mediterranea e l’olio d’oliva”, come le quattro arance che Di Maio s’è vantato d’esportare in Cina via aereo (non sub-orbitale) mentre la Francia chiudeva accordi miliardari per vendere proprio gli aerei. Roba da ridere, o disperarsi. In un cosmo che sempre più s’impasticcava (e s’impasticca) di scemenze da web precipitate sulla realtà dell’amministrazione, sul governo della regione e addirittura su quello dello stato centrale, tutto il mastice maleodorante di un rapporto – quello tra la sinistra e il grillismo – che in Puglia ha evidentemente avuto la sua tragica Nazareth. E in Roma, come sempre capita nella storia, il suo approdo imperiale. Lì dove c’è Giuseppe Conte, nato in… Puglia.

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  • Salvatore Merlo
  • Milano 1982, vicedirettore del Foglio. Cresciuto a Catania, liceo classico “Galileo” a Firenze, tre lauree a Siena e una parentesi universitaria in Inghilterra. Ho vinto alcuni dei principali premi giornalistici italiani, tra cui il Premiolino (2023) e il premio Biagio Agnes (2024) per la carta stampata. Giornalista parlamentare, responsabile del servizio politico e del sito web, lavoro al Foglio dal 2007. Ho scritto per Mondadori "Fummo giovani soltanto allora", la vita spericolata del giovane Indro Montanelli.