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La missione di chiudere l'Ilva spiegata da chi la conduce a Palazzo Chigi

Valerio Valentini

Parla Turco. Così il responsabile dello Sviluppo economico di Conte realizza il sogno grillino di eliminare il siderurgico

Roma. Se gli si chiede di immaginarsi la sua città tra qualche anno, risponde senza tentennamenti, come se ci avesse già a lungo meditato: “Taranto può e deve pensare al suo futuro senza vederlo legato allo stabilimento dell’ex Ilva”. E d’altronde, in un certo senso, il ruolo di Mario Turco è anche questo: programmare lo sviluppo economico dell’Italia nei prossimi anni. E’ infatti lui, docente di Economia all’Università del Salento, che Giuseppe Conte ha nominato sottosegretario alla presidenza del Consiglio con la delega alla Programmazione economica e agli investimenti nel governo giallorosso. Ed è proprio insieme al premier e al ministro grillino dello Sviluppo Stefano Patuanelli, che il senatore del M5s dice di aver discusso del futuro di Taranto. “Anziché pensare solo all’acciaieria, la mia città deve puntare su uno sviluppo delle infrastrutture e sull’autonomia universitaria. L’Ilva è stata un risorsa nei decenni passati, certo, ma da ormai troppo tempo è piuttosto un incentivo alla paralisi economica della città. Quello stabilimento non ha prodotto un effetto moltiplicatore positivo né sul piano sociale né su quello industriale”. Inutile, dunque, chiedergli se è preoccupato per l’eventuale chiusura dell’acciaieria. “Si dice che senza quello stabilimento, Taranto muore. Come se non ci fosse, da anni, una disoccupazione giovanile elevatissima e una dispersione scolastica ai massimi livelli nazionali”. E se non deve pensare a salvare l’ex Ilva, di cosa deve preoccuparsi il governo, per Taranto? “Investire nelle infrastrutture, come stiamo già facendo col ‘piano per il sud’. E poi si può scommettere sulla cantieristica navale, Fincantieri potrebbe occupare alcuni degli spazi oggi in dotazione all’acciaieria. E poi, sempre in quell’area, si può favorire la nascita di una piattaforma logistica dell’agroalimentare, fare insomma dei grandi padiglioni fiera per attrarre capitali stranieri grazie alla risorsa più importante del territorio”.

 

Non vorrà mica rilanciare l’idea dell’allevamento di cozze al posto dell’Ilva? “Non c’è dubbio – dice Turco – che diversi settori della tradizione tarantina sono stati sacrificati alle ragioni dell’acciaieria. Ma il problema è più generale: questo sforzo di riconversione, industriale e culturale insieme, non può essere subordinato agli interessi privati di una società”. Ce l’ha con ArcelorMittal, evidentemente, che proprio a seguito della soppressione dello scudo penale – approvato ieri al Senato col voto di fiducia sul “decreto imprese” – potrebbe decidere di abbandonare Taranto. “E’ stato ripristinato lo stato di diritto, sopprimendo quello scudo. Quanto a Mittal, sulla reale intenzione dell’azienda di rilanciare lo stabilimento nutro da tempo le mie perplessità. Da economista, constato che in un momento in cui il mercato dell’acciaio è in forte crisi (col settore colpito dalla guerra dei dazi e il mercato europeo sempre più dipendente dall’export turco, indiano e cinese), Mittal arriva a Taranto e pianifica un investimento così oneroso, su degli impianti talmente vecchi che andrebbero chiusi e rifondati. Il sospetto è che Mittal voglia, più che altro, evitare che quello stabilimento venga rilevato da suoi concorrenti di mercato”.

 

Insomma, non vi fidate. “Per capire il grado di affidabilità di Mittal, si potrebbe fare un’analisi retrospettiva sugli impegni realmente mantenuti dall’azienda in questo primo anno di gestione”. Voi del M5s la risposta già l’avete data, ed è negativa, nonostante le prove addotte in senso contrario dall’azienda. “E a maggior ragione non possiamo cedere al ricatto”. Così, però, rischiate di fornire a Mittal l’alibi perfetto per abbandonare l’Ilva addossando la colpa al governo. “Per me lo stato di diritto viene prima di tutto”. Ma i lavoratori? Ci sono 15 mila persone che rischiano di restare per strada. “Bisogna essere onesti e riconoscere che, in ogni caso, i 15 mila dipendenti dell’Ilva non tornerebbero più. Al massimo, con la nuova gestione, si arriverebbe a 5 mila occupati. Ma quello che serve, ora, è un accordo di programma per la riconversione economica e industriale della città”.

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