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Moretto (Iv) dice che il governo non può più scherzare su Ilva e Alitalia

Valerio Valentini

La referente di Italia viva per le questioni industriali: “Non accetteremo alcuna soluzione che preveda il rischio dello stop della produzione dello stabilimento di Taranto. E sulla compagnia di bandiera vogliamo chiarezza dal ministro”

Roma. Tra le tante liti esibite, forse perfino recitate, per reclamare ciascuno il suo pezzo di visibilità, Sara Moretto ne ricorda un paio ancora sopite: “Ilva e Alitalia sono un serio problema. E spero che nessuno le consideri questioni risolte, o semplicemente rinviabili”, dice la deputata di Italia viva, che del neonato partito di Matteo Renzi è la referente alla Camera per le questioni industriali. “Per quanto riguarda lo stabilimento di Taranto, per noi è importante ribadire che l’unica via per garantire il risanamento ambientale è la prosecuzione dell’impegno nel rilancio dello stabilimento. Se si ferma la produzione, i problemi di inquinamento restano tutti lì, con l’aggiunta di quasi ventimila persone che perdono il lavoro”. Insomma, “chiudere l’acciaieria non è tra le ipotesi contemplate”.

 

E però la soluzione che sembra prospettarsi, è un’altra: perché il M5s, al Senato, pretende lo stralcio del cosiddetto scudo penale dal “decreto imprese”, e questo di fatto mette a rischio la produzione dell’acciaieria. “Concordo con chi ha detto – spiega la Moretto – che così facendo, con questi continui ripensamenti, si finisce col dare ad ArcelorMittal l’alibi perfetto per abbandonare Taranto. L’incertezza normativa è deleteria, specie quando c’è un patto tra lo stato e un’impresa: non si possono continuamente cambiare le regole in corso d’opera”, insiste la Moretto, imprenditrice veneta di Portogruaro, 39 anni, la quale riconosce che sì, “il percorso normativo che ha riguardato l’Ilva è stato un po’ schizofrenico”.

 

Perché il primo a contemplare l’immunità per ArcelorMittal era stato proprio Luigi Di Maio, che poi aveva promesso di eliminarla, quindi l’aveva reinserita nel decreto approvato nell’ultimo Cdm del governo gialloverde, il 6 agosto, ed ereditato dal nuovo esecutivo. Nel quale il Mise è sempre presidiato da un grillino, quello Stefano Patuanelli che però si ritrova sotto il fuoco amico dei suoi stessi senatori – e su tutti la pugliese Barbara Lezzi – e quindi prospetta ora di stralciare lo scudo penale dal decreto in scadenza per riproporlo in un nuovo provvedimento. “Un percorso alquanto bizzarro, non c’è dubbio”, sorride amara la Moretto. “Ma come Italia viva non accetteremo alcuna soluzione che preveda il rischio dello stop della produzione dello stabilimento. Specie ora che, col nuovo cambio ai vertici di ArcelorMittal, dobbiamo impegnarci a chiedere che questa nuova fase preveda un rilancio della prospettiva occupazionale, e non una semplice gestione degli esuberi. La riconversione ambientale e le garanzie per i lavoratori devono andare di pari passo”.

 

E c’è poi l’altra rogna nelle mani di Patuanelli. “Anche su Alitalia – dice la Moretto – vogliamo assoluta chiarezza dal ministro. Questo ennesimo prestito ponte all’azienda di 350 milioni non può passare come un atto dovuto: possiamo concederlo solo a fronte di un piano industriale che sia credibile. E, in secondo luogo, vogliamo che sia davvero un prestito, e dunque pretendiamo di avere dati e scadenze preciso per le prospettive di rientro”. Sembra invece la solita soluzione pasticciata: la solita scelta presa perché non si vuole scegliere davvero. E allora si rimanda, a caro prezzo. “Resto convinta che avere un vettore aereo nazionale sia d’interesse strategico per il nostro paese. Ma continuare a pensare di dover salvare ogni volta Alitalia è una prospettiva un po’ limitante. Bisognerebbe chiedersi come la si possa rilanciare davvero, l’azienda: altrimenti diventa solo un pozzo senza fondo per soldi pubblici. E questo – conclude la Moretto, con le valigie già pronte per precipitarsi alla Leopolda – non va bene”.