Luigi Di Maio e Giorgio Sorial (foto LaPresse)

Da Di Maio a Patuanelli, a gestire il dossier Ilva c'è sempre lui: Sorial

Valerio Valentini

L’ex deputato messo dal M5s a risolvere le crisi diceva: “Dal Mise voglio andare via”. Ma ad andarsene saranno gli investitori

Roma. Manco voleva restarci, lui. O, almeno, questo era quello che ripeteva ai suoi ex colleghi deputati. “Io dal Mise voglio andare via”, confessava Giorgio Sorial, evidentemente sfibrato dai 15 mesi trascorsi a occuparsi di 160 e più crisi aziendali, al piano nobile di Via Veneto. “Né tantomeno mi metto a cercare incarichi di sottogoverno”, garantiva. E sembrava perfino credibile, nel suo esibito disinteresse al richiamo del potere. Se non fosse che poi, quando sono state rivelate le liste degli autocandidati al ruolo di sottosegretari allo Sviluppo economico, il suo nome c’era. “Mi hanno chiesto di farlo”, s’è giustificato lui. Solo che poi, per occuparsi di imprese al Mise, gli fu preferita Alessandra Todde, già schierata come capolista nelle sciagurate elezioni europee di maggio che non la videro eletta. E allora Sorial dovette accontentarsi di vedersi riconfermato nel ruolo che già aveva ricoperto col governo grilloelgista: quello di vice capo di gabinetto con delega alla gestione delle crisi aziendali.

 

Ce lo aveva voluto Luigi Di Maio, al suo fianco, nell’estate del 2018. E anche in quel caso, Sorial – bresciano di origini egiziane, classe ’83 – sembrava rassegnato a ben più modesto destino. Perché, dopo la mancata rielezione del 4 marzo, gli era toccato bazzicare i corridoi di Montecitorio contattando i neoletti del M5s per proporgli collaboratori parlamentari. Poi, però, la chiamata al Mise, e quel rapporto quasi ermetico col capo grillino: “Non si fidavano di nessuno”, dicono i tecnici di Via Veneto, che ci misero un po’ ad abituarsi a quelle riunione a intermittenza durante le quali Di Maio si appartava coi suoi fedelissimi, e Sorial sempre tra questi, per confrontarsi in maniera riservata.

 

Il passaggio di consegne tra Di Maio e Stefano Patuanelli, pare lo abbia vissuto in modo non semplice, Sorial. Un po’ perché, nel trambusto della transizione, chi ha saputo sgomitare meglio degli di tutti è stato Salvatore Barca, il segretario generale del Mise che s’è imposto anche nelle recenti nomine dei nuovi direttori di Via Veneto. E un po’ anche perché, sulle prime, lo stesso Patuanelli sembrava votato alla discontinuità: “Ho sempre trovato ingiusta la ‘politicizzazione’ della crisi di un’azienda e la ‘spettacolarizzazione’ della frustrazione dei lavoratori”. Il che sembrava un ripudio neanche troppo velato delle abitudini di chi – come Sorial – sui tavoli di crisi aziendali spendeva spesso post sui social e si guadagnava comparsate televisive. Ma era solo un’impressione. Perché alla fine, tra la buona volontà dei “Pomigliano boys”, e la competenza di chi c’era prima, Patuanelli ha preferito proseguire sul solco tracciato da Di Maio: “Meglio la freschezza che la conservazione pura”. E così, anche Sorial, è stato confermato, accettando però i consigli di chi, al Mise, gli rimproverava di voler fare tutto da solo, di non voler costruire intorno a sé una squadra di esperti come aveva fatto il suo predecessore Giampiero Castano con la sua “task force”. E forse è anche per questo che nel recente “decreto imprese” è stato previsto un fondo extra di circa 1,5 milioni, con 20 nuove possibili assunzioni, per la struttura gestita da Sorial. Lo stesso provvedimento, però, ha fatto deflagrare la grana dell’Ilva: e chissà che allora non se ne sia pentito, Sorial, di non essere davvero andato via dal Mise.

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