Una creazione dello street artist belga Julien Crevaels, in arte Novadead, sul muro di un edificio a Bruxelles

Perché l'Europa sognata dai gialloverdi non esiste e mai esisterà

Veronica De Romanis

Le censure alla manovra italiana da parte degli altri paesi dicono che nessuno ambisce a stravolgere le regole

Il governo è compatto, la Manovra non si cambia. La bocciatura della Commissione europea non modifica i piani di Roma: il disavanzo resta al 2,4 per cento (in aumento rispetto al 2018), il disavanzo strutturale – al netto dell’effetto del ciclo economico – cresce di 0,8 punti percentuali invece di diminuire come da accordi presi dal ministro Giovanni Tria con le autorità europee. Lo scostamento secondo Bruxelles è “senza precedenti”: nessun paese ha mai violato le regole fiscali comunitarie in modo così significativo e, infatti, nessun paese, ha mai ottenuto una bocciatura in tempi così brevi.

     

Il vicepremier Luigi Di Maio ha commentato la notizia affermando che l’Italia continuerà a far parte dell’Unione europea. L’intento è di rassicurare gli investitori, coloro che comprano il nostro debito pubblico: “Non esiste nessun piano B”, ha precisato Di Maio, “restiamo in Europa per cambiarla”. Il ministro non è certo il primo politico a voler cambiare l’Europa. A differenza del passato, però, le sue parole hanno un peso maggiore, visto che è espressione di un esecutivo che ha l’ambizione di definirsi del “cambiamento”. Ma cosa significa – nel concreto – “cambiare l’Europa” per il governo gialloverde? Un piano preciso e dettagliato ancora non è stato reso pubblico. Stando alle dichiarazioni degli esponenti della maggioranza è chiaro, tuttavia, che il governo ha già individuato almeno tre ambiti di intervento: “cambiare” il potere dei burocrati, “cambiare” il peso delle regole fiscali e, infine, “cambiare” il ruolo della Banca centrale europea. Andiamo con ordine.

    

  

In primo luogo, il potere dei burocrati. Secondo il governo l’Europa è dominata dai cosiddetti “euro-burocrati”, nonostante non siano stati eletti da nessuno. Si tratta di una rappresentazione efficace dal punto di vista della comunicazione ma non corrispondente alla realtà, visto che le decisioni a livello comunitario vengono prese da politici e non da oscuri funzionari. Basti pensare alla bocciatura del Documento programmatico di bilancio italiano. La decisione è stata presa dal Collegio dei commissari, ossia politici candidati dai governi e approvati dal Parlamento europeo, istituzione eletta dai cittadini. Tra le motivazioni della decisione vi è quella del mancato rispetto delle raccomandazioni votate dal Consiglio europeo, dove siedono i capi di stato e di governo, anch’essi eletti. Va infatti precisato che la Commissione europea ha il potere di proporre, ma a decidere è il Consiglio. Ecco perché irritazione nei confronti della Manovra italiana è stata manifestata da politici nazionali, come il cancelliere austriaco Kurz (ma non doveva essere un alleato del governo?), e non da burocrati europei.

   

In secondo luogo, il peso delle regole fiscali. Il governo ha più volte dichiarato di voler cambiare le regole perché troppo rigide e, quindi, dannose. L’obiettivo ultimo è quello di abolire il Fiscal Compact, l’accordo intergovernativo che impone agli stati una riduzione graduale del disavanzo strutturale (0,5 punti percentuali l’anno) tale da raggiungere nel medio termine il pareggio di bilancio. Nei fatti, questo accordo è già stato “abolito” dall’Italia dal momento che la legge di Bilancio lo viola e, per questo motivo, la Commissione non ha potuto evitarne la bocciatura. Secondo il governo, regole fiscali più flessibili consentirebbero a una economia come la nostra di utilizzare la leva del disavanzo per aumentare la crescita. L’esperienza passata ha dimostrato, tuttavia, che maggiore disavanzo per finanziare spesa corrente non porta maggiore crescita. Al contrario. Nel periodo 2013-2017, la politica fiscale è stata relativamente espansiva, eppure l’Italia è il paese con il tasso di crescita più basso e il secondo debito pubblico più elevato dell’area dell’euro. Peraltro, regole più flessibili per noi significa regole più flessibili anche per gli altri. In presenza di un altro “caso Grecia”, siamo sicuri che l’attuale governo sarebbe pronto a tassare gli italiani per soccorrere chi ha gestito in maniera “allegra” le proprie finanze pubbliche? Non va infatti dimenticato, che l’Italia ha speso oltre 60 miliardi di euro per aiutare i paesi europei in difficoltà. Questi soldi impattano sul nostro debito pubblico: come precisato nella Nota di aggiornamento del documento di Economia e Finanza, nel 2019 il debito “al netto dei sostegni” sarebbe 126,8 per cento e non 130 per cento del pil.

    

 

Infine, il ruolo della Banca centrale europea. Il governo ha più volte dichiarato che l’Istituto di Francoforte dovrebbe comprare debito pubblico italiano, anche dopo la scadenza del programma di Quantitative easing (Qe). L’azione della Bce servirebbe a calmare i mercati, ad abbassare lo spread e, quindi, a ridurre i costi per lo stato, le imprese e i cittadini. Chi chiede questo tipo di intervento dimentica, però, che l’obiettivo del Qe non è agire sullo spread bensì aumentare la quantità di moneta per far salire l’inflazione al 2 per cento. Ecco perché l’acquisto non può essere limitato ai titoli di debito di un singolo paese. Per agire sullo spread in forte aumento in una specifica economia, la Bce mette a disposizione un altro strumento, l’Outright Monetary Transactions (Omt). In questo caso, il paese beneficiario dell’intervento deve sottoscrivere un protocollo in cui si impegna a mettere in campo riforme e azioni di consolidamento fiscale sotto il monitoraggio della Troika. Di fatto, un commissariamento: è questo che chiede l’esecutivo?

    

In conclusione, c’è da chiedersi se il “cambiamento” che ha in mente il governo gialloverde corrisponda al “cambiamento” che hanno in mente gli altri esecutivi europei. In realtà, non molto. Nessun paese è disponibile a stravolgere le regole fiscali, perché nessun paese intende tassare i propri cittadini per pagare i dissesti altrui. Inoltre, nessun paese vuole una Banca centrale europea pronta a monetizzare il debito degli stati con finanze pubbliche in disordine. Ma, allora, se cambiare l’Europa nella direzione auspicata dall’esecutivo non è possibile, quale potrebbe essere la mossa successiva? Uscire dall’Unione monetaria? Di Maio ha dichiarato che non esiste un “piano B”. Un’analisi attenta di questa Manovra, tuttavia, lascia qualche dubbio.