Il ministro dell'Economia Giovanni Tria (foto LaPresse)

Tutte le manovre degli altri paesi (non hanno “deviazioni”)

Marco Cecchini

Censurata da Bruxelles, il Def italiano arriva in Parlamento. Ecco come in Europa non si fa eccezione alle regole

Roma. La parola che dice tutto è “deviazione”. Deviazione sembra essere il marchio di fabbrica dell’Italia gialloverde anche nella finanza pubblica, oltre che nella politica interna e nei rapporti internazionali. La Commissione europea ha bocciato il budget 2019 del governo Salvini-Di Maio – e forse la manovra mercoledì arriverà Parlamento – perché esso presenta appunto una “deviazione significativa dagli accordi presi”. Ma il punto è che l’Italia non devia solo dagli accordi, ha imboccato proprio un’altra strada su deficit, debito spesa e fisco. Dopo la presentazione dei draft budgetary plan, ovvero dei piani finanziari triennali dei vari paesi dell’Eurozona, in genere la Commissione o si limita a ricevere il documento così come è o chiede chiarimenti su aspetti specifici. Non era mai accaduto invece che i funzionari di Bruxelles bocciassero il piano e ne chiedessero sic et simpliciter la riformulazione. Nei giorni scorsi il direttore generale della Commissione per gli Affari economici e monetari, l’italiano Marco Buti, ha inviato una richiesta di delucidazioni ai rappresentanti di Francia, Spagna, Belgio e Portogallo per esempio. Il focus è quasi sempre lo stesso: la possibilità di uno scostamento dagli obiettivi concordati relativamente ai parametri della spesa pubblica primaria (ovvero la spesa al netto degli interessi sul debito) e del deficit strutturale (cioè il disavanzo una volta tenuto conto degli effetti del ciclo economico). Il caso italiano invece è un unicum. La deviazione dagli obiettivi evocata nella lettera a Giovanni Tria non è un rischio, è un fatto e la deviazione non è solo rispetto agli obiettivi concordati nel rispetto delle regole comuni ma strategica, consapevolmente voluta. Se si analizzano le manovre degli altri, quello che colpisce è l’esistenza di un tratto comune: la coerenza (che manca del tutto nel caso italiano) tra le previsioni di crescita nazionali e il consensus internazionale (le stime dei maggiori istituti), l’impostazione di politiche fiscali che puntano al pareggio di bilancio nel periodo considerato (Francia inclusa a parte l’episodico aumento del deficit 2019) e alla riduzione del rapporto tra debito e pil, elementi questi che sono anche i caposaldi della politica finanziaria comune. Vi sono poi altri aspetti condivisi: gli investimenti non solo in infrastrutture, ma anche in capitale umano, ricerca, scuola, digitale e sicurezza per alzare il livello della produttività e la crescita di lungo periodo. Inoltre, l’attenzione alle problematiche della classe media: riduzione prudente del carico fiscale delle famiglie meno agiate, nuovi asili, edilizia abitativa al fine anche di aumentare il tasso di natalità. In poche parole, riforme strutturali a favore dello sviluppo e della coesione sociale. In un’ideale scala gerarchica dell’aderenza, o come si suol dire della compliance alle indicazioni di Bruxelles, la Germania figura, ca va sans dire, al primo posto, seguono Austria, Francia, Portogallo e Spagna. Vi è poi il caso della Ungheria di Viktor Orban, che non facendo parte dell’Eurozona non invia il suo budget a Bruxelles ma segue ugualmente politiche fiscali estremamente prudenti volte al controllo del deficit e del debito nella convinzione che ciò contribuisca a rafforzare la posizione del paese nel contesto europeo.

 


In un’ideale scala gerarchica dell’aderenza, o come si dice in gergo della compliance alle indicazioni di Bruxelles, la Germania figura (ovvio) al primo posto, seguono Austria, Francia, Portogallo e Spagna. Hanno politiche fiscali volte al controllo del deficit e del debito. Al contrario dei “sovranisti” italiani


 

La Germania riduce il surplus

“L’economia gira, l’occupazione è a livelli record e le finanze pubbliche sono in buona forma”, ha detto il ministro delle Finanze, Olaf Scholz, nel presentare la manovra di bilancio tedesca. “Puntiamo a raggiungere livelli d’investimento record, mettendo più soldi nelle autostrade, nelle ferrovie, nell’internet ad alta velocità, e più risorse nell’educazione e nella ricerca. Offriremo più abitazioni alla portata delle famiglie, agevolazioni per la cura dei figli. Stanziamo nuovi fondi nei settori della sicurezza e dell’ordine pubblico”. La Germania prevede di crescere dell’1,8 per cento nel 2019 e 2020 in linea con il consensus, leggermente al di sopra del suo potenziale quindi, per poi decelerare all’1,3. Il tasso di disoccupazione scenderà al minimo record del 2,9 per cento. Il draft budgetary plan 2018-2022 punta a ridurre il surplus di bilancio, che l’anno prossimo calerà di mezzo punto all’1 per cento del pil, per convergere verso il pareggio a fine periodo. Il rapporto tra il debito e il pil sfonderà all’ingiù il tetto massimo del 60 per cento previsto dal Patto di Stabilità europeo. Nel 2019 l’avanzo con l’estero dovrebbe scendere, per la gioia dei critici di Berlino e come richiesto dalla Commissione e dal Fondo monetario internazionale, grazie a un aumento dell’import superiore a quello dell’export. La riduzione del surplus di bilancio è il frutto delle politiche di aumento della spesa e di riduzione delle entrate contenute nel programma della Grosse Koalition: si allenta la pressione fiscale sulle famiglie a basso e medio reddito, viene stanziato un miliardo di euro per reinserire nel mercato i disoccupati di lungo periodo, sono prese misure per la casa e viene destinato un miliardo a riserva del sistema pensionistico a fronte del rischio demografico. Inoltre sono stanziati 150 miliardi in 5 anni per gli investimenti in infrastrutture e capitale umano.

 

L’Austria nero-blu pareggia nel 2019

L’Austria del governo nero-blu, guidato dal popolare Sebastian Kurz e dal leader dei populisti di Fpo, Heinz Christian Strache, è una copia in piccolo e con un tasso di virtù finanziaria perfino maggiore della Germania a trazione Cdu-Csu-Spd. Non a caso Kurz, che è anche presidente di turno dell’Unione ha stigmatizzato il mancato rispetto delle regole europee da parte dell’Italia. L’economia austriaca è sugli scudi. La crescita, seppure in rallentamento rispetto al 2018, sarà del 2,2 per cento nel 2019, il tasso di disoccupazione scenderà al 7,3 e il deficit pubblico vedrà il pareggio già il prossimo anno. Il rapporto debito-pil è in diminuzione di 4 punti al 70,9 per cento, ma il governo punta a raggiungere quota 60 per cento entro il 2022, alla fine dell’attuale legislatura. Il piano finanziario 2018-22 di Vienna è orientato alla realizzazione di riforme dirette ad accrescere l’efficienza dell’economia, l’occupazione e lo sviluppo. Il sistema di sicurezza sociale sarà riorganizzato e semplificato portando da 21 a 5 i fondi operanti nel settore. Alla luce dei cambiamenti demografici in atto il bilancio inoltre stanzia fondi per l’assistenza agli anziani e ai portatori di handicap. “Gli investimenti pubblici – afferma il piano – saranno indirizzati prioritariamente nei settori legati all’occupazione e alla crescita, come l’educazione, la ricerca, la scienza, le infrastrutture”. Ne è un esempio l’iniziativa “Misure orientate al futuro: ricerca, tecnologia e innovazione” avviata lo scorso agosto.

 

La Francia converge nel medio periodo

Il 19 ottobre la Commissione ha inviato a Odile Renaud-Basso, direttrice del Tesoro francese, una richiesta di chiarimenti sul draft budgetary plan di Parigi. Bruxelles contestava in particolare tre punti: la previsione di una crescita della spesa primaria nominale dell’1,6 per cento contro l’1,4 concordato, l’obiettivo di una correzione strutturale del deficit superiore di un decimo di punto al previsto e uno sbilancio per il 2019 non conforme alla traiettoria di rientro. La direttrice del Tesoro ha risposto fornendo i chiarimenti richiesti. L’obiezione di Bruxelles sul deficit 2019 nasce da un aumento previsto dal 2,6 al 2,8 per cento che fa velo tuttavia a un progressivo avvicinamento al pareggio di bilancio che Parigi conta di realizzare nel 2022. L’anno prossimo infatti il governo trasformerà in detrazioni fiscali alcuni crediti d’imposta già all’attivo nei bilanci delle imprese. Al netto di questa operazione una tantum il deficit 2019 di Parigi sarebbe dunque dell1,9 per cento. Il piano francese enfatizza la “svolta” realizzata lo scorso anno con l’uscita del paese dalla procedura per deficit eccessivo. Dopo una crescita del 2,2 per cento nel 2017 e dell’1,7 nel 2018, il pil continuerà a viaggiare al ritmo dell’1,7 il prossimo anno, la disoccupazione è in discesa dal 2015 e oggi è dell’8,7 per cento anche se “ulteriori significativi progressi possono essere compiuti”. L’Objectif de Moyen Terme del piano è triplice: ridurre di tre punti l’incidenza della spesa pubblica, tagliare di un punto tasse e contributi e ridurre di cinque punti il rapporto debito pil portandolo al 92,7 per cento a fine periodo. Il draft consegnato a Bruxelles prevede misure in linea con il programma di riforme strutturali avviato dal presidente Macron: riduzione dei contributi sociali a carico dei lavoratori, aumento delle indennità a favore dei lavoratori a basso salario, virtuale azzeramento delle imposte sulla casa a beneficio dell’80 per cento delle famiglie, taglio della spesa pubblica, in particolare attraverso la riduzione di 50mila posti nell’amministrazione in 5 anni, di cui oltre 4mila nel 2019, investimenti in ricerca e innovazione.

 

Lisbona schiaccia-debito torna a crescere

Nel 2019 il Portogallo prevede di far scendere ulteriormente il deficit allo 0,7 per cento e di portare il rapporto debito/pil dal 121,2 al 118,5 per cento. Se si considera che il Paese è da poco uscito dal commissariamento della Troika e che fino a non molto tempo fa il debito di Lisbona era ancora classificato come non investment grade dalle principali agenzie di rating, l’aggiustamento appare impressionante. Non a caso oggi il Portogallo è un modello virtuoso per tutti i paesi dalle finanze pubbliche disastrate. Il governo di minoranza guidato da Anibal Cavaco Silva, saltuariamente appoggiato dai Comunisti e dai Verdi ed entrato in carica nel 2015, ha risanato le finanze pubbliche (oggi lo spread portoghese è oltre cento punti inferiore a quello italiano) e dato slancio all’economia. Ma il ministro delle Finanze, Mario Centeno, che è anche presidente dell’Eurogruppo, avverte i partigiani della spesa che tornano a fare capolino: “Non ci sono margini per rilassarsi o per soluzioni populiste”. Il quadro macroeconomico è certamente incoraggiante. La crescita proseguirà anche nel 2019 al ritmo del 2,2 per cento, la disoccupazione cala dal 6,9 a 6,3 per cento. Il turismo fa boom. Il budget 2019 prevede un aumento di oltre 4 punti delle entrate e di 2,8 della spesa. Gli investimenti, in aumento per quasi un miliardo, si focalizzeranno su scuola e sanità. 200 milioni di euro sono previsti per la riduzione delle tariffe elettriche. La Commissione ha chiesto anche il Portogallo chiarimenti sul bilancio, relativamente all’andamento della spesa primaria e dell’aggiustamento strutturale del bilancio. Il ministero delle Finanze ha risposto a stretto giro.

 

La Spagna socialista “strappa” il rinvio del pareggio

Anche la Spagna è finita sotto la lente della Commissione. Bruxelles ha contestato alle autorità di Madrid di non avere fornito una illustrazione completa delle misure e un possibile scostamento, sia della spesa primaria, sia della correzione strutturale del deficit dai valori programmati. Madrid ha risposto, da un lato che gli scostamenti rientrano in realtà nei margini di flessibilità di bilancio concessi, dall’altro che ulteriori misure di rafforzamento delle entrate saranno adottate dal Parlamento. La situazione spagnola è complicata perché il governo di minoranza a guida socialista entrato in carica lo scorso anno tende a dare la responsabilità del peggioramento dei saldi al governo precedente guidato da Mariano Rajoi, popolare. E’ vero comunque che la Spagna, uscita dalla procedura per deficit eccessivo con la riduzione del disavanzo al 2,2 per cento alla fine di questo anno, avrebbe dovuto passare all’1,8 per cento nel 2019 e all’1,1 per cento nel 2020 per poi raggiungere il quasi pareggio con lo 0,5 nel 2021. Adesso il percorso verso l’equilibrio di bilancio si allunga di un anno. Situazione politica permettendo, il budget 2019 prevede un lieve incremento della pressione fiscale a poco più del 35 per cento accompagnato da un taglio degli investimenti e di altre voci di spesa che permetterà a rapporto debito Pil di scendere alla tranquillizzante quota del 95,5 per cento.