Luigi Di Maio (foto LaPresse)

Hanno ragione i sovranisti?

Redazione

Vogliono fare a meno dei vincoli superiori, creati però per assicurare il benessere di tutti

Professor Sabino Cassese, ogni giorno il nostro governo lamenta i limiti comunitari. E altri governi “sovranisti” (meglio sarebbe chiamarli nazionalisti) vogliono riportare a casa poteri che sono stati assegnati ad autorità sovranazionali o globali. Non hanno ragione? A quale titolo organismi globali decidono anche per gli stati?

 

E’ vero: molti dicono che l’unico spazio nel quale esiste una Costituzione legittima è quello statale. Quindi sono gli stati che debbono prendere decisioni per i loro cittadini. Vengono invocati argomenti diversi: stato di diritto, divisione dei poteri, legittimità democratica, che sono al cuore della Costituzione, sono assenti nello spazio globale. Lo stato appare per il momento il solo quadro nel quale si affermano un sistema di limiti e i diritti fondamentali.

 

Quindi, i “sovranisti” hanno ragione.

 

Non corra. La Corte costituzionale italiana nel 2013 ha parlato di princìpi di diritto costituzionale integrato dal diritto comunitario. Molti studiosi parlano di costituzionalismo globale, e non vanno certo a caccia di farfalle, studiano istituti esistenti. Al costituzionalismo globale sono intitolati una rivista che esce dal 2012 e un manuale edito nel Regno Unito da Elgar.

 

Ma nello spazio al di là dello stato non c’è un sistema giuridico unitario, bensì tanti diversi regimi regolatori; non c’è uno “spazio pubblico”, con dialogo governanti-governati; non c’è un’autorità dotata di potere costituente; non c’è un potere titolato a imporsi con la forza.

 

Consideri questi altri aspetti. Il 3 per cento della popolazione mondiale vive in un paese diverso da quello di nascita. Un miliardo e 500 milioni di persone hanno passato le frontiere nazionali in aereo lo scorso anno. Molti sono i problemi globali che richiedono soluzioni globali, dal terrorismo alle modificazioni dell’ambiente. Insomma, si sta formando una sfera pubblica comune a tanti paesi, che sono così spinti a cooperare perché sono interdipendenti.

 

Ma questo non basta.

 

Infatti, vi sono trattati, convenzioni, carte che stabiliscono diritti umani, e l’art. 103 della Carta delle Nazioni Unite stabilisce la supremazia del diritto delle Nazioni Unite sulle altre norme internazionali. Funziona, quindi, come quel diritto più alto della restante parte del diritto, che chiamiamo diritto costituzionale. Anzi, vi sono molti trattati e alcune norme che usano, in ambito sovranazionale, la parola “costituzione”. Ad esempio, l’Organizzazione internazionale del lavoro. E il Comitato internazionale olimpico fa riferimento a un proprio diritto costituzionale.

 

Due livelli, quindi, di norme, come negli stati, uno superiore e uno inferiore, come la Costituzione e la legislazione ordinaria.

 

Esatto. In più, legami sempre più stretti tra i vari regimi regolatori, che fanno rinvii l’uno all’altro, per essere più efficaci, per guadagnare forza grazie ai rinvii: ad esempio, norme che danno la possibilità di porre limiti commerciali qualora non si rispettino alcune regole del gioco che attengono alla “rule of law”. Tutto questo rafforzato da corti che risolvono conflitti al di sopra degli stati, corti che poi dialogano con quelle nazionali, e si rafforzano e legittimano reciprocamente.

 

Quel che manca è la democrazia.

 

Ma è sicuro che gli organismi sovranazionali debbano avere lo stesso tipo di democrazia che si è affermata all’interno degli stati-nazione? Perché oltre lo stato c’è tanto spazio aperto alla democrazia deliberativa o partecipativa? Non serve anche questa ultima ad assicurare lo scopo della democrazia, cioè quello di tenere il potere sotto controllo? La preoccupazione del rispetto dei princìpi democratici è così forte, a livello sovranazionale e globale, negli organismi “regionali” (come l’Unione europea) e globali (come l’Organizzazione delle Nazioni Unite), che questi si preoccupano anche di promuovere, incentivare, giudicare le istituzioni democratiche nazionali.

 

Quali conclusioni trae da questa sua analisi?

 

Che, sia pur lentamente, una apertura tra le società nazionali si sta verificando, che fuori dello stato si stanno affermando princìpi costituzionali, che in quell’ambito vi è anche una gerarchia di norme (con quelle inferiori che debbono rispettare quelle superiori), che si diffondono norme e regole comuni, che si affermano anche organi giudiziari, che vi sono anche istituti democratici, sia pur diversi da quelli prevalenti negli stati. Quindi, che l’argomento dei “sovranisti” (la scarsa legittimità degli organismi sovrastatali) è errato. Ma bisogna terminare con una avvertenza.

 

Quale?

 

Di tener conto del diverso ambiente nel quale si sta sviluppando un sistema globale e sovranazionale. Negli stati, costituzioni e democrazia si sono affermati per contrastare un originario e forte potere esecutivo, quello che si era consolidato intorno ai re. Quindi, un potere concentrato, accentrato, perenne. Per questo si è ricorsi alla separazione dei poteri, si è introdotta una durata alla titolarità delle cariche pubbliche, e si è previsto il controllo popolare del potere pubblico.

 

Torniamo al punto di partenza: hanno ragione o torto i “sovranisti” che lamentano la “invadenza” di poteri superiori, mettendo in dubbio la loro legittimità?

 

Per quel che ho detto, hanno torto. Non riconoscono la legittimità dei vincoli superiori, perché vogliono poterne fare a meno. Ma quei vincoli sono stati disposti insieme, perché servono ad assicurare finalità superiori, la pace innanzitutto, poi la collaborazione tra le nazioni, infine, il benessere dei consociati.