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Elogio del populismo buono

Claudio Cerasa

Il populismo può essere un vero alleato della società aperta se costringe gli elettori a svegliarsi e a ribellarsi contro la strategia della fuffa. Torino, Firenze, Roma, Genova. La Tav ma non solo. Quattro città dove può nascere il partito del 5 marzo

E invece no. E invece io vi dico che il populismo non è una degenerazione della democrazia ma può essere un vaccino per farla diventare più forte. James Miller è un docente di Politica e studi liberali all’Università New School di New York e pochi giorni fa ha pubblicato un lungo e stimolante saggio sul Guardian così intitolato: “Could populism actually be good for democracy?”. La tesi di Miller è che le rivolte contro le élite possono provocare conseguenze pericolose ma, allo stesso tempo, se prese dal verso giusto possono diventare dei preziosi vaccini per rafforzare le democrazie. Il saggio di Miller ci ha colpito (a) perché arriva in un momento in cui la Gran Bretagna ha appena visto sfilare per le strade di Londra circa 700 mila persone che hanno scelto di mettersi in marcia per chiedere un nuovo referendum sulla Brexit e (b) perché ci permette di usare le riserve di ottimismo accumulate nel fine settimana alla festa del Foglio a Firenze per ragionare attorno a un tema simmetrico rispetto all’uscita della Gran Bretagna dall’Unione europea. Brutalmente: che possibilità ci sono che in Italia prenda forma il movimento del 5 marzo, il movimento cioè di coloro che si sono resi conto di cosa c’era in ballo alle ultime elezioni politiche in Italia non il giorno prima ma il giorno dopo il risultato elettorale? In Inghilterra, la forza del People’s Vote ha permesso ieri all’Independent di annunciare che la sua campagna per il referendum bis è arrivata in tre mesi a quota un milione di firme. In Italia un referendum per l’uscita dall’Unione europea non c’è ancora stato ma i primi mesi del governo del cambiamento ci dicono che Salvini e Di Maio hanno spinto il nostro paese su un binario al termine del quale l’uscita dall’Unione europea, o persino l’uscita dall’euro, può diventare una stazione d’arrivo naturale e proprio per questa ragione dovrebbe essere una priorità assoluta per l’Italia fare di tutto per costruire il prima possibile un movimento trasversale finalizzato a dar vita a un suo People’s Vote e a riscattare il prima possibile il voto del 4 marzo. In questo senso, il saggio di James Miller può aiutarci a essere ottimisti nella misura in cui il contatto con il populismo sovranista, nazionalista e illiberale può portare un popolo sonnecchiante a rendersi conto di che cosa rischia di perdere ciascuno di noi senza ribellarsi alla seducente politica del rancore. Le prossime elezioni europee saranno naturalmente un test importante per comprendere fino a che punto gli elettori italiani saranno disposti a farsi prendere in giro da due partiti che hanno ottenuto consensi sulla base di bugie (stop Ilva, stop Tap) di promesse irrealizzabili (sì flat tax, addio immigrati irregolari) di fake news (do you remember il caso Consip?) e che con gradazioni diverse giocano con la democrazia rappresentativa, minacciano i valori non negoziabili dell’Europa, intimidiscono i giornali, spaventano gli investitori, investono sulla decrescita, distruggono posti di lavoro. Ma da qui alle prossime elezioni europee ci saranno altre quattro occasioni importanti che ci permetteranno di capire se nel nostro paese gli anticorpi antipopulisti hanno cominciato a entrare in circolo, e che ci daranno la possibilità di comprendere per esempio se la manifestazione spontanea registrata sabato scorso a Roma in Campidoglio può essere l’inizio di un fiamma antipopulista.

 

Le occasioni riguardano alcune storie sulle quali sarà possibile testare la capacità del nostro paese di reagire alla pericolosa retorica della fuffa sfascista. La prima storia coincide con un appuntamento poco noto ma politicamente rilevante che riguarda Roma e che riguarda un referendum che verrà celebrato l’11 novembre nella Capitale: il referendum sull’Atac, che permetterà di votare a favore della messa a gara del trasporto pubblico locale della Capitale (che farà la Lega?) e potrebbe essere l’occasione per ricordare ai campioni dell’immobilismo che il problema dell’Italia non è il deficit di onestà della politica ma è prima di tutto il deficit di efficienza. La seconda storia coincide invece con il futuro dell’alta velocità Torino-Lione. Ieri con 23 voti favorevoli e 2 contrari il Consiglio comunale di Torino ha approvato l’ordine del giorno del Movimento 5 stelle che esprime contrarietà alla Tav e chiede di sospendere l’opera “in attesa dei risultati dell’analisi costi/benefici”. Sarà interessante capire se nei prossimi giorni Torino avrà o meno la forza per ribellarsi a chi sta provando a giocare con il futuro non solo di una città ma dell’intera Italia. Confindustria ha promesso che convocherà presto un consiglio generale straordinario, allargato alla partecipazione dei presidenti di tutte le associazioni territoriali d’Italia, per protestare contro una scelta, il blocco degli investimenti, “che mortifica l’economia e l’occupazione del paese” e il Radicale Igor Boni ieri ha lanciato un giusto appello trasversale a tutte le forze politiche di opposizione (che farà la Lega?) per scendere in piazza a favore della Tav. Che aspettate? La terza storia riguarda la volontà di Lega e Movimento 5 stelle di bloccare l’allargamento dell’aeroporto di Firenze e in vista delle regionali del prossimo anno non si capisce che cosa aspettino i partiti alternativi a quelli di governo a scendere in piazza a manifestare in difesa delle grandi opere.

 

Lo stesso vale per la quarta storia, ancora più delicata, che riguarda la ricostruzione del ponte Morandi e il completamento del Terzo Valico. Una tragedia come quella di Genova non può essere utilizzata per fare sciacallaggio politico, ma una classe dirigente con la testa sulle spalle dovrebbe mobilitarsi in fretta per difendere il diritto di una città e di una regione a non essere isolate per ragioni di impotenza e incapacità politica dal resto dell’Italia.

 

Il populismo potrà essere dunque come un buon vaccino per la nostra democrazia se saprà produrre gli anticorpi giusti per reagire ai professionisti dell’incompetenza. E produrre in fretta gli anticorpi giusti per reagire è fondamentale perché in caso di collasso di questo governo per questioni legate all’economia non ci sarà un Mario Monti che salverà l’Italia come nel 2011. A salvare l’Italia, stavolta, dovranno essere gli elettori. Il tempo ancora c’è, ma per evitare una Brexit italiana è meglio farsi trovare pronti. E’ meglio organizzare subito il nostro People’s Vote. Oh yes.

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  • Claudio Cerasa Direttore
  • Nasce a Palermo nel 1982, vive a Roma da parecchio tempo, lavora al Foglio dal 2005 e da gennaio 2015 è direttore. Ha scritto qualche libro (“Le catene della destra” e “Le catene della sinistra”, con Rizzoli, “Io non posso tacere”, con Einaudi, “Tra l’asino e il cane. Conversazione sull’Italia”, con Rizzoli, “La Presa di Roma”, con Rizzoli, e "Ho visto l'uomo nero", con Castelvecchi), è su Twitter. E’ interista, ma soprattutto palermitano. Va pazzo per i Green Day, gli Strokes, i Killers, i tortini al cioccolato e le ostriche ghiacciate. Due figli.