La pubblicizzazione delle vacanze in Italia ci sta sfuggendo di mano

Il sottotesto di alcune campagne di comunicazione, come quella della Liguria, è che solo lì puoi fare tutta una serie di attività scontate come respirare o camminare

Antonio Gurrado

Ci sta lievemente sfuggendo di mano questa faccenda della riscoperta delle ferie italiane, delle loro semplicità ed essenzialità. Ad esempio, la Regione Liguria ha impostato una campagna pubblicitaria (lo slogan è “In Liguria puoi”) al precipuo scopo di informarmi che in Liguria posso compiere azioni di un certo rilievo: gustare, pedalare, nuotare, camminare... Presumo che il sottotesto della campagna possa essere letto in due sensi. Da un lato la contrapposizione cronologica. Fino a pochi mesi fa - non c’è scritto ma si capisce - il governo non ci dava nemmeno il permesso di uscire di casa, come se fossimo sessanta milioni di adolescenti discoli; adesso, grasso che cola, abbiamo addirittura la possibilità di andare in vacanza, quindi approfittiamone per dedicarci ad attività che in passato davamo per scontate: una bella cena, una gita in bici, un bagno, una passeggiata... Dall’altro lato, però, c’è la contrapposizione geografica. Poiché scegliere la Liguria implica rinunciare alle alternative, la campagna - sempre senza scriverlo - suggerisce alla mia psiche apprensiva che in fondo, se non vado in Liguria, mangio schifezze, mi rubano la bici, affogo, mi spezzano le gambe... Fino alla minaccia suprema, implicita nell’attività più fondamentale: “In Liguria puoi respirare”, mi assicura la campagna pubblicitaria. Ma se altrove non posso farlo, però, non capisco come faccio ad arrivarci, in Liguria.

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