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Olive #24

Riccardo Orsolini è pronto a rientrare nel gruppo

Giovanni Battistuzzi

L'attaccante del Bologna nel 2017 era una delle più talentuose ali in Italia, tanto che si prospettava per lui un'eccellente carriera. Ora sta recuperando il tempo perduto

Nel 1949 il matematico danese Harald Bohr provò a sintetizzare in una formula matematica l’evoluzione del talento calcististico: x=(t+Tp*e+C)/(Vp+Te*Δ), dove “t” era il tempo, “Tp” il talento percepito, “e” l’energia, “C” la concentrazione, Vp era la valorizzazione percepita, Te il talento espresso e Δ il coefficiente di utilizzo in campo. Era un nulla più che divertissement matematico, non aveva nessun valore scientifico. Harald Bohr però si divertì particolarmente a realizzarlo per dimostrare a se stesso il perché era considerato sino ai 19 anni (era il 1906) un appena discreto mediano e poi riuscì nei successivi due anni a conquistare la maglia della Nazionale danese e vincere la medaglia d’argento alle Olimpiadi di Londra 1908 da titolare inamovibile.

 

Secondo Harald Bohr la crescita fisica, atletica e mentale dei calciatori non è lineare, parabolica o sinusoidale, ma è una linea spezzata, impossibile da prevedere. E ciò rende del tutto ascientifica la stessa formula. Harald Bohr insomma ha sancito l’inutilità della sua teoria perché “se prima ero un appena discreto mediano e poi sono diventato un buon mediano, è perché a un certo punto è successo qualcosa che non so cosa sia e non è determinato da nessun sistema matematicamente calcolabile”.

 

La teoria non teoria di Harald Bohr però racconta bene la storia calcistica di Riccardo Orsolini.

 

La sua carriera è una linea spezzata, un su e giù francamente difficile da spiegare sia matematicamente che sportivamente. Sicuramente difficilmente prevedibile perché se c’era una cosa chiara tra il 2016 e il 2017 era che di gente come lui che giocava all’ala in Italia ce ne erano pochi. A tal punto da far dire al commissario tecnico dell’under 20 dell’Inghilterra, Paul Simpson: “Di giocatori come Orsolini ce ne sono pochi in circolazione, l’Italia è a posto sulla fascia per almeno una dozzina d’anni”. L’Inghilterra aveva appena vinto la semifinale del Mondiale u20 contro l’Italia quell’8 giugno 2017 e Orsolini aveva messo in crisi mezza retroguardia inglese, facendo fare brutta figura a gente come Fikayo Tomori e Kyle Walker-Peters, all’epoca considerato, in prospettiva, uno dei migliori terzini destri al mondo.

 

Riccardo Orsolini non ha trovato spazio sulla fascia azzurra. Le partite della Nazionale le ha viste da spettatore. Perché sia successo non è chiaro, ma forse è dipeso dal fatto che ci sono troppe variabili da considerare nella crescita di un calciatore e che Harald Bohr aveva ragione, pur avendo tralasciato le variabile pur importanti: la consapevolezza del proprio talento e la volontà di metterlo al servizio della squadra e non solo di se stesso.

 

C’ha messo più tempo del previsto Riccardo Orsolini a dimostrare di essere un giocatore decisivo, uno sul quale poter contare. Più tempo almeno di quello auspicabile nel 2017, quando giocava nell’Ascoli in Serie B e nella Nazionale under 20, quando venne acquistato dalla Juventus per sei milioni di euro più 4 di bonus. Non giocò mai con la maglia bianconera addosso. Finì prima all’Atalanta, dove combinò poco o nulla, rimasto per cinque mesi ai margini del progetto tattico di Gian Piero Gasperini. Poi traslocò a Bologna.

 

In rossoblù Riccardo Orsolini iniziò bene, al punto da essere preso in considerazione per far parte del gruppo della Nazionale di Roberto Mancini: tra il 2019 e il 2020 giocò due partite, segnò due gol. Poi venne dimenticato. Troppi alti e bassi, troppa ricerca della gloria personale e poca capacità di rendersi utile per il bene collettivo. Uscì dal gruppo dei papabili, ripiombò in quel limbo nel quale stanno i giocatori bravi, ma non abbastanza utili. Segnava e faceva assist, ma spesso, troppo spesso, si infilava in vortici autolesionisti tipici di chi vorrebbe dimostrare il proprio talento e per dimostrarlo tende al solipsismo.

 

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In questi anni Sinisa Mihajlovic ha sempre tentato di proteggerlo, di curare con la fiducia assoluta la sua tendenza al volere strafare. Non andò bene. Riccardo Orsolini ogni tanto giocava meravigliosamente, spesso si dimenticava di farlo. L’arrivo di Thiago Motta in panchina gli ha, forse, tolto ogni alibi, ogni protezione. E Riccardo Orsolini ha iniziato a fare quello che sa fare, ma in modo nuovo, con la squadra e per la squadra. E facendo questo è arrivato a sette gol e tre assist in un campionato, che è poco meno del suo record in Serie A. Ma ha iniziato anche a essere decisivo in partite importanti, tipo quella contro l'Inter nella quale ha segnato il gol decisivo, quello della vittoria.

 

È un nuovo giocatore, finalmente pronto a rientrare nel gruppo, come John Frusciante.

      


     

Olive è la rubrica di Giovanni Battistuzzi sui (non per forza) protagonisti della Serie A. Nella prima puntata si è parlato di Khvicha Kvaratskhelia (Napoli), nella seconda di Emil Audero (Sampdoria), nella terza di Boulaye Dia (Salernitana), nella quarta di Tommaso Baldanzi (Empoli), nella quinta di Marko Arnautovic (Bologna), nella sesta vi ha invece intrattenuto Gabriele Spangaro con Beto (Udinese), nella settima di Christian Gytkjær (Monza), nell'ottava Armand Laurienté (Sassuolo), nella nona Sergej Milinkovic-Savic (Lazio), nella decima Sandro Tonali (Milan), nell'undicesima Cyriel Dessers (Cremonese), nella dodicesima Tammy Abraham (Roma), nella tredicesima Stefano Sensi (Monza), nella quattordicesima Federico Baschirotto (Lecce), nella quindicesima Moise Kean (Juventus), nella diciasettesima Rasmus Hojlund (Atalanta); nella diciottesima M'Bala Nzola (Siena); nella diciannovesima Federico Dimarco (Inter); nella ventesima Cyril Ngonge (Hellas Verona); nella ventunesima Riccardo Saponara (Fiorentina); nella ventiduesima Perr Schuurs (Torino); nella ventitreesima Ola Solbakken (Roma)

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