“Ecco perché non si deve toccare nemmeno l'obelisco del duce”

Manuel Orazi

Lo storico Vittorio Vidotto ha studiato e scritto sul Foro Italico. “Togliatti ci fece persino una festa nel 1948”

Roma. Vittorio Vidotto è uno storico di lungo corso, ha pubblicato diversi volumi storia contemporanea alcuni dei quali insieme a Giovanni Sabbatucci ed è stato consulente dell’editore Laterza che ora ha appena ristampato il suo Roma contemporanea, dove si dilunga nella ricostruzione storica del Foro Mussolini: dalla progettazione, all’esecuzione e infine al trapasso verso la democrazia. Cosa ne pensa professore dell’idea di Laura Boldrini e di altri che sull’onda delle rinnovate manifestazioni di protesta internazionali, di cancellare la scritta “dux” o addirittura di spostare o demolire l’obelisco celebrativo al Foro italico?

 

“Sono contrario, a mio parere le persone che lo visitano dovrebbero capire che è un luogo del fascismo, mentre già ora, specie chi va a vedere le partite di calcio allo stadio olimpico, non capisce le scritte risistemate in occasione delle Olimpiadi del 1960. I grandi blocchi laterali che recano le date salienti del fascismo da Vittorio Veneto all’Impero sono state modificate: Luigi Moretti, l’architetto artefice del piano complessivo nonché della palestra del duce e dell’Accademia della scherma, aveva lasciato alcuni blocchi bianchi immaginando di scriverci le date della vittoria nella Seconda Guerra mondiale e di chissà cos’altro, mentre nel ‘60 semplicemente aggiunsero le date della caduta del fascismo (1943), della proclamazione della Repubblica col referendum (1946) e infine quella della costituzione (1947) quindi è un climax un po’ strano, una soluzione molto democristiana. Anni fa ne chiesi conto al senatore Andreotti, che nel ‘60 era responsabile per le Olimpiadi e nonostante fosse celebre per la buona memoria mi rispose che non ricordava affatto di quella sistemazione delle steli”.

 

Nel processo di storicizzazione materiale del Foro italico lei ha riportato il fatto notevole che il Pci organizzò proprio lì i festeggiamenti per il ritorno alla politica attiva di Palmiro Togliatti dopo l’attentato, col senno di poi fa ancora scalpore non trova? “Evidentemente ai comunisti italiani, non faceva nessuno effetto… consideri anche che già nell’agosto del 1943 il Coni cambiò già nome da Foro Mussolini in Foro italico perché il duce era stato destituito meno il mese prima. Nel 1948 poi arrivarono delegazioni del Pci da ogni regione d’Italia, dalla stazione Termini partì un corteo piuttosto folcloristico che facendo la via Flaminia arrivò a ponte Milvio per poi girare a sinistra, ci fu un discorso di Pietro Longo e finì con una grande festa da ballo tra le scritte ‘dux, dux’ e ‘a noi, a noi’. Bisogna considerare anche che l’Italia era allora ancora piena di scritte fasciste ovunque. Nello stesso foro Mussolini, sull’edificio a destra di quello rosso di Enrico Del Debbio c’era una scritta importante, un giuramento fascista, imbiancato nel ‘60 e poi restaurato per i mondiali del 1990 e al suo posto, non so se in modo consapevole, fu messo un mosaico di un leone già presente in altre parti del luogo perché era il segno zodiacale di Mussolini. Pochi lo sanno ora, in più tutto il foro è molto malmesso specie nella parte coi mosaici dove gli skater usano le scalette per saltare, il mosaico più rovinato è quello di Mussolini in forma di Ercole come da progetto di Moretti”.

 

Insomma lei è contrario alla rimozione, anche nel caso delle statue americane o inglesi?

 

“Negli Usa e nel Regno Unito esiste una questione razziale indubbia, mentre da noi è infinitamente minore se non assente. Una mia collega e amica, Costanza Calabretta ha studiato la storia della grande statua di Lenin, fatta a pezzi e poi sepolta da qualche parte, mentre sia nella parte ovest sia in quella est tuttora restano i due memoriali dedicato al soldato sovietico – che tiene in braccio un bambino, quindi è ritratto come un soldato buono –, nonostante si stimi che gli stupri dei militari dell’Armata Rossa avessero superato le centomila unità a giudicare dai referti ospedalieri, senza contare cioè le donne tedesche che non si recarono all’ospedale quindi sicuramente per difetto. C’è un libro terribile su questo pubblicato da Einaudi di una donna che è voluta rimanere anonima fino alla morte, Una donna a Berlino. Diario aprile-giugno 1945. Se si volesse demolire l’obelisco allora bisognerebbe demolire anche le statue dello Stadio dei marmi, del tennis, i mosaici della piscina, non si finirebbe più perché in ogni città d’Italia il fascismo ha lasciato segni profondi, ovunque. Il Foro italico è un complesso straordinario per capire come si autocelebravano i regimi , che io a differenza di Emilio Gentile giudico un totalitarismo imperfetto e aveva quindi bisogno di riaffermare la propria presenza di fronte agli altri due poteri vale a dire il Vaticano e la Monarchia”.

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