La Tiburtina è un incubo per cittadini e imprese

Gianluca De Rosa

La strada è un cantiere congestionato da dodici anni. Lavori iniziati nel 2008 e mai terminati. Raggi stanzia altri 3 milioni

Roma. Quando il cielo è grigio la cupezza dei new jersey di cemento armato si fa ancora più intensa e avvolge di un’atmosfera davvero insopportabile il cantiere stradale più vecchio della Capitale. Sembra incredibile, ma sulla via consolare dell’industria romana – la Tiburtina valley, come la chiamavano una volta – c’è un cantiere gigantesco che dura con lavori a singhiozzo da oltre dodici anni, da quando nel 2008 fu inaugurato dall’allora sindaco Walter Veltroni che voleva allargare la strada. Percorrendola da Casal dei pazzi al Gra, passando per Rebibbia e San Basilio, tra buche, blocchi di cemento, reti arancioni, lo scheletro dell’ex fabbrica della penicillina, anche i più ottimisti cominciano a tentennare: Roma non può cambiare, non c’è speranza.

 

E pensare che qui hanno sede aziende importanti di uno dei settori più avanzati dell’industria italiana: l’aerospazio. Tutti gli studi sui flussi di traffico parlano di un numero di lavoratori che oscilla tra i 20mila e i 25mila. Thales-Alenia e Vitrociset, solo per citare le aziende del gruppo Leonardo Finmeccanica, Rheinmetall Italia, azienda specializzata in armamenti per la difesa, le imprese informatiche Elt, Altran e Ised, gli studi della Titanus, quelli di Mediaset, ma anche la fabbrica dei biscotti Gentilini e degli sciroppi Pallini. E’ un lungo elenco quello che è stato puntualmente redatto dall’agenzia di stampa Dire che negli scorsi giorni ha avuto il merito di riportare l’attenzione sulla desolazione della strada che i romani costruirono per congiungere l’Urbe a Tibur, l’antica Tivoli.

 

 

Per il presidente del Tecnopolo Tiburtino, l’ex presidente della piccola Unindustria, Giuseppe Gori il cantiere ha causato diversi tipi di danno alle aziende: “I primi sono legati ai collegamenti poco funzionali: le fabbriche hanno necessità continue di entrata e uscita di merci, ma con il cantiere i tempi sono molto rallentati”. C’è poi un danno d’immagine: “Leonardo è costretta a ricevere delegazioni da tutto il mondo in una zona di degrado assoluto. Infine, – conclude Gori – c’è anche una perdita sul valore immobiliare”. All’interno del tecnopolo, un’oasi di ordine e pulizia, lavorano più di 130 aziende (2.500 dipendenti), c’è un deposito di Amazon e a breve dovrebbe essere realizzato un grande cloud data center su cui Aruba ha investito 300 milioni.

  

Il cantiere, dicevamo, cominciò nel 2008, quando a palazzo Senatorio era sindaco Walter Veltroni. Il grande appalto, da decine di milioni di euro, aveva l’obiettivo di creare in entrambe le direzioni una corsia preferenziale riservata al trasporto pubblico che avrebbe permesso a tanti di recarsi al lavoro lasciando a casa l’auto. “L’appalto – spiega Emiliano Sciascia – ex presidente Pd del Muncipio IV, il territorio più interessato dal cantiere – riguarda sei chilometri di strada: da Casal dei Pazzi a Setteville, oltrepassando il Gra”. E se la parte al di là del raccordo è in buona parte terminata, il resto è un enorme e orripilante cantiere a cielo aperto: senza operai e senza prospettiva di fine imminente.

 

Eppure nell’aprile 2018 l’allora assessore capitolino ai Lavori pubblici Margherita Gatta (M5s) aveva promesso: “I cantieri ripartono. Entro maggio 2019 il raddoppio della Tiburtina sarà concluso, abbiamo sbloccato un contenzioso con l’appaltatore riconoscendo 14,5 milioni dei 60 richiesti”. Inutile dire che così non è andata.

 

 

Prima di capire perché, torniamo al 2008, quando ad aggiudicarsi l’appalto fu un consorzio d’imprese, l’Uniter, con capofila la Tecnis, una nota azienda siciliana di costruzioni. Nel 2010, Gianni Alemanno, nel frattempo diventato sindaco, volle rivedere il progetto, rallentando i lavori. “Nel 2013 – racconta Sciascia – con Marino a Palazzo Senatorio si ricominciò molto rapidamente”. Fino al 2015. “Alla fine di quell’anno – prosegue nel racconto il dem – il prefetto di Catania, a seguito di un’inchiesta della procura, ha disposto un’interdittiva  antimafia sulla Tecnis”. Bloccata la capofila del consorzio, fermati i lavori. A giugno del 2016 l’interdittiva fu ritirata. “Il cantiere – spiega l’ex minisindaco dem – riprese, ma per pochissimo”. Subito nacque un contenzioso milionario tra consorzio e amministrazione. Lo sblocco (citato da Gatta) arrivò nel 2018, ma a febbraio 2020 l’azienda – dopo 4 arresti e un sequestro da 100 milioni – ha dichiarato bancarotta. Recentemente al suo posto è subentrata un’altra società e adesso per il completamento si punta al 2021. Fidarsi, però, sembra difficile, ma una nota positiva c’è: nel recente assestamento di bilancio la giunta capitolina ha inserito 3 milioni di euro per l’allargamento.

 

Anche una volta finito il cantiere, comunque, l’incubo Tiburtina non sarà terminato. Spiega il presidente del Tecnopolo Gori: “Il problema principale è l’imbuto che si crea all’altezza del viadotto del raccordo, da dove arrivano e dove vanno il maggior numero di auto, Anas ha in programma di raddoppiarlo, ma due cantieri di questa dimensione non possono coesistere”.

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