Antonio Tajani (foto LaPresse)

Forza Italia sospesa tra sovranismo e Ursula. Due chiacchiere con Tajani

Salvatore Merlo

“In Toscana la Lega ci proponga un candidato migliore della Ceccardi. Ma la coalizione regge”, intervista al vicepresidente di FI

Roma. La collaborazione altalenante col governo per il rilancio dell’economia, le relazioni non meno basculanti con Matteo Salvini e infine la suggestione della maggioranza Ursula. Che c’è e non c’è. Così come c’è (e non c’è) il centrodestra, compagine eterogenea: sovranisti o europeisti? Partito popolare o AfD? “Il centrodestra c’è eccome”, risponde Antonio Tajani, vicepresidente di Forza Italia, lui che pure incarna, per modi e biografia, una distanza fin troppo avvertibile dalla Lega. Come va il negoziato per le candidature alle regionali? “Noi siamo per Fitto in Puglia e Caldoro in Campania”. E la leghista Ceccardi in Toscana? “Vediamo se si trova un candidato migliore”. 

 

Il negoziato sulle candidature alle regionali fra Tajani, Meloni e Salvini, complici forse la distanza fisica, il collegamento internet e gli impegni parlamentari di ciascuno, ieri è andato avanti con la levità di uno zoppo che corre: rivendicazioni, interruzioni, obiezioni. Si è cominciato nel primo pomeriggio. Ci si è lasciati intorno alle 15. Ci si è ripromessi di continuare a discutere in serata. Ma chissà. Questa trattativa, tra alleati che paiono forse non amarsi, non capirsi o comunque talvolta coltivare orizzonti non sempre coincidenti, va avanti così da settimane ormai. E infatti Tajani descrive queste interlocuzioni, come direbbe il presidente Conte, con il garbo di una reticente genericità: “Discutere è assolutamente normale. E’ sempre successo così. Non è mai facile. Si discute dei candidati. Del loro profilo. Poi entrano in gioco considerazioni più generali, su tutti gli equilibri nelle candidature sparse sul territorio nazionale. E voi volete sempre vederci qualcosa che non esiste. Ma la verità è che il centrodestra è una coalizione solida, che nessuno di noi mette in discussione”.

 

Eppure si parla di legge elettorale proporzionale, nei corridoi del Parlamento. E l’idea, che consentirebbe a ciascuno di correre alle elezioni per i fatti propri, piace. Piace molto. Piace, dicono, persino a Salvini. E’ il prerequisito del divorzio. La legge che scompagina le coalizione. Forza Italia che ne pensa? “Non stiamo parlando di legge elettorale in questo momento, mi creda. Sarebbe assurdo”, risponde Tajani, ritraendosi ancora una volta in guscio. “Il problema dell’Italia adesso è il rilancio. E’ la crisi sanitaria che si spera sia in via di risoluzione. Ma le pare che si possa parlare di legge elettorale? Adesso? Qua le persone vogliono sapere se saranno abbassate le tasse, se sarà pagata la cassa integrazione, se ci saranno riforme liberali e antiburocrazia, se arriveranno i soldi…”.

 

Ecco, appunto, i soldi. Tasto dolente nei rapporti con la Lega: il Mes. La Lega è contraria, Giorgia Meloni pure. Tajani e Silvio Berlusconi sono favorevoli. “Come pure la gran parte degli amministratori locali, dei presidenti di regione. Guardi che se arrivano miliardi di euro per la Sanità, Luca Zaia e Massimiliano Fedriga, i presidenti leghisti di Veneto e Friuli, sono contenti”. Andrea Orlando, il vicesegretario del Pd, dice che per lui è più facile parlare con Forza Italia che con Salvini. Dice che con Forza Italia si condivide una visione del mondo: il posizionamento dell’Italia sullo scacchiere internazionale, l’occidente e l’Europa. Dall’altro lato ci sarebbero le autocrazie. “Se il Pd viene sulle nostre posizioni siamo contenti”, dice Tajani, che non lascia nemmeno uno spiraglio al retropensiero – pur diffuso – d’intelligenza col nemico. E infatti carica un tono ironico: “Vediamo se la sinistra e i Cinque stelle sono anche favorevoli alla difesa di Israele. E perché non condannano Chávez? Guardi che noi non abbiamo quasi niente in comune con loro, e moltissimo invece in comune con la Lega e FdI. Questo gioco a separarci non funziona. Siamo disposti ad aiutare questo governo disastroso, se serve all’Italia. Ma nei limiti di quello che serve al paese. A noi non piace la politica dello stato che infila le zampe nell’impresa privata. Non ci piace la politica di compromissione con la Cina. Noi non siamo socialisti, noi”. Però mercoledì Lega e FdI hanno abbandonato l’Aula di Montecitorio, in polemica. Forza Italia è rimasta. “Per senso di responsabilità. Renato Brunetta ha fatto un discorso equilibrato, ma molto severo”. E’ sembrato molto aperturista, non solo equilibrato. “Abbiamo uno stile e un linguaggio diversi da quelli dei nostri alleati. Ma non scherziamo, noi siamo distanti da questo governo”. Distanti dagli uni e dagli altri, un po’ alleati degli uni e un po’ collaboranti con gli altri. Forse non è ambiguità, ma il pasticcio di tempi ideologicamente imprevedibili, tempi dai quali è pericoloso sporgersi.

  • Salvatore Merlo
  • Milano 1982, vicedirettore del Foglio. Cresciuto a Catania, liceo classico “Galileo” a Firenze, tre lauree a Siena e una parentesi universitaria in Inghilterra. Ho vinto alcuni dei principali premi giornalistici italiani, tra cui il Premiolino (2023) e il premio Biagio Agnes (2024) per la carta stampata. Giornalista parlamentare, responsabile del servizio politico e del sito web, lavoro al Foglio dal 2007. Ho scritto per Mondadori "Fummo giovani soltanto allora", la vita spericolata del giovane Indro Montanelli.