Susanna Ceccardi e Matteo Salvini a Follonica (foto via Facebook)

Perché la candidatura di Ceccardi preoccupa gli alleati moderati

David Allegranti

Il rischio è un bis dell’Emilia-Romagna, con l’ex sindaca di Cascina nei panni di Borgonzoni. I successi del 2018 sono lontani

Roma. Persino gli alleati di Forza Italia, che aspirano a portare un “rinnovamento liberale” in Toscana (copyright del capogruppo Marco Stella in Regione), a partire evidentemente dalla propria coalizione, fanno fatica a sostenere la candidatura di Susanna Ceccardi alle prossime elezioni regionali. Nelle chat, da giorni con un po’ d’imbarazzo si scambiano le dichiarazioni del giorno dell’europarlamentare ed ex sindaca di Cascina, tra attacchi all’Islam e a quelli che nella Lega toscana vengono ribattezzati “preti comunisti” – come già una volta li chiamò Edoardo Ziello, deputato pisano – accusati di essere a favore dell’“invasione”. Il lessico sembra essere cambiato poco, per la Lega del 2020, nonostante l’epoca non sia più favorevole come un tempo al salvinismo identitario. Lo schema emiliano-romagnolo dunque rischia di ripetersi, solo che al posto di Lucia Borgonzoni c’è l’ex sindaca. E al posto di Stefano Bonaccini c’è Eugenio Giani, presidente del consiglio regionale uscente, politico rodato, attento al territorio, e – come osservava il senatore di Fratelli d’Italia Achille Totaro sul Foglio qualche giorno fa – molto fiorentino. Non un dettaglio secondario in una regione campanilista e in cui il capoluogo ha un peso elettorale e geopolitico superiore a quello di altri territori.

 

Ceccardi ha invece impostato fin dall’inizio la sua campagna elettorale – partita in realtà da mesi – su questioni eminentemente pisane, dallo sviluppo dell’aeroporto (a svantaggio di quello di Firenze) al no alla moschea a Pisa di cui si parla da anni. Per questo il senatore Totaro aveva suggerito una candidatura di Firenze perché “tra Firenze e provincia ci sono un milione di persone e se, tolti i grillini, veniamo sconfitti di nuovo lì 60-25, come già successo alle ultime amministrative, significa che perdiamo la regione”. Come dice al Foglio Carlandrea Poli, esperto di cose toscane, “Ceccardi è la candidata designata e, per certi versi, inevitabile del centrodestra in Toscana da almeno due anni. Il primo a fare pubblicamente il suo nome, subito dopo le Politiche, fu l’allora coordinatore regionale della Lega Manuel Vescovi, forse il meno salviniano di quel giro. E in due anni in effetti si è fatta notare: nel 2018 il contributo determinante alle scelte che hanno portato il Carroccio a vincere a Pisa, l’anno dopo la triplice sconfitta nei capoluoghi di Prato, Firenze, Livorno sotto il suo breve e non fortunatissimo interregno alla guida dei leghisti toscani”.

 

Alle elezioni regionali il suo ostacolo maggiore è rappresentato dalla condizione strutturale che rende oggi la Toscana poco contendibile: “Del resto per la Lega e Salvini far assumere una valenza nazionale a un voto locale in una (ex) regione rossa può essere un cattivo investimento: Emilia Romagna docet”. C’è pur sempre la possibilità che “l’innesco della crisi sociale legata al coronavirus e al lockdown avvenga fra la fine di agosto e gli inizi di settembre col rischio di travolgere tutti i candidati a governatore del centrosinistra, Giani incluso”. Per ora, tuttavia, le possibilità di vittoria del centrodestra sono remote. Matteo Salvini ha trascorso parte della sua settimana in Toscana per un mini-tour elettorale, sottolineando la “concretezza del buon sindaco” di Ceccardi ma gli alleati temono piuttosto che la strategia dell’identitarismo spinto paghi poco oggi. Ha funzionato nel 2018 e per quanto la vittoria politica della Lega a Pisa sia esemplare – con il centrosinistra che campa da anni al di sopra dei propri mezzi e perde in una città progressista contro la Lega che vince nei quartieri popolari superando il 40 per cento – non tutto in politica può essere replicato seguendo esattamente lo stesso copione. Il precedente dell’Emilia-Romagna dovrebbe quantomeno aver insegnato qualcosa al populismo sovranista.

  • David Allegranti
  • David Allegranti, fiorentino, 1984. Al Foglio si occupa di politica. In redazione dal 2016. È diventato giornalista professionista al Corriere Fiorentino. Ha scritto per Vanity Fair e per Panorama. Ha lavorato in tv, a Gazebo (RaiTre) e La Gabbia (La7). Ha scritto cinque libri: Matteo Renzi, il rottamatore del Pd (2011, Vallecchi), The Boy (2014, Marsilio), Siena Brucia (2015, Laterza), Matteo Le Pen (2016, Fandango), Come si diventa leghisti (2019, Utet). Interista. Premio Ghinetti giovani 2012. Nel 2020 ha vinto il premio Biagio Agnes categoria Under 40. Su Twitter è @davidallegranti.