Matteo Salvini e Giorgia Meloni (foto LaPresse)

Lo stigma sovranista

Luciano Capone

Savona ammette che i no euro hanno fatto salire lo spread. Ma ora M5s, Lega e FdI fanno lo stesso errore con il Mes

Roma. La responsabilità dei danni prodotti dall’antieuropeismo, incarnato dal governo gialloverde, è stata denunciata da uno dei massimi ideologi del sovranismo. Paolo Savona – l’autore del piano B di Eurexit prima indicato da Salvini e Di Maio come ministro dell’Economia (per fortuna bloccato dal presidente Mattarella), poi nominato ministro degli Affari europei e infine messo da Lega e M5s al vertice della Consob – in un passaggio del suo discorso al mercato ha ammesso che la sua presenza nel governo Conte I e di altri teorici euroscettici nella maggioranza gialloverde è costata al paese miliardi di euro di interessi passivi. 

 

 

 

“L’importanza della fiducia negli equilibri del mercato finanziario è stata asseverata nel 2019 da una rilevante discesa dello spread sui rendimenti dei titoli di Stato, pur in presenza di una politica monetaria europea inizialmente più cauta e un lieve peggioramento del saggio di crescita reale”, ha detto Savona in un passaggio del suo appuntamento annuale con il mercato. E a cosa è dovuta questa “rilevante discesa dello spread” nel 2019, nonostante la politica monetaria cauta della Bce e la frenata della crescita? “ Gli analisti – spiega Savona – attribuiscono detto miglioramento al venir meno dei timori di un cambiamento di denominazione del debito pubblico per tornare a una moneta nazionale”. Spariti dal governo Savona, Salvini e i suoi scudieri no euro Borghi & Bagnai, è tornata una maggiore “fiducia” nel debito italiano (visto che nessuno più minacciava gli investitori nel debito italiano di ripagarli con una moneta svalutata) e lo spread si è ridotto, con un beneficio per i contribuenti italiani. Questo dato della realtà – sempre negato dagli stessi protagonisti del governo gialloverde che attribuivano l’aumento dello spread alle manovre della Bce, della Germania o degli “speculatori” – appartiene alla storia recente, ma torna a essere di attualità per guidare le prossime scelte di politica economica. E in particolare la decisione sull’adesione o meno al Pandemic crisis support, la nuova linea di credito incondizionata del Mes.

 

Dopo la caduta del governo Conte I, lo spread è sceso sensibilmente, ma è ancora alto e comunque molto più elevato degli altri paesi europei, non solo la Francia e la Germania ma anche la Spagna o il Portogallo. Per questo motivo l’accesso al Mes sanitario, che fornirebbe al paese 36 miliardi di euro a tasso zero o addirittura leggermente negativo, consentirebbe al paese di risparmiare circa 600 milioni di euro di interessi (la spesa più improduttiva) ogni anno. A questa soluzione, che per l’Italia è qualcosa di simile a un pasto gratis, si oppone il partito dello spread – ovvero quel fronte politico che in questi anni con la sua retorica antieuropea ha più lottato per far salire i tassi di interesse – composto da M5s, Lega, Fratelli d’Italia e frange della sinistra. Alla base di questa opposizione c’è una sola motivazione razionale: la richiesta del Mes può produrre un “effetto stigma”, e cioè i mercati potrebbero iniziare a nutrire dubbi sulla sostenibilità del debito e quindi chiedere rendimenti più alti sui titoli di stato che si mangerebbero i risparmi del Mes. Il problema è che le soluzioni alternative proposte dalla destra sovranista, rispetto a un “effetto stigma” ipotetico del Mes, ne produrrebbero uno certo. Ad esempio Giorgia Meloni ha chiesto un intervento del Fondo monetario internazionale attraverso uno strumento, i Dsp, in genere richiesto dai paesi in via di sviluppo e senza accesso al mercato. Matteo Salvini continua a chiedere una monetizzazione del deficit alla Bce, indicando che la traiettoria del debito è fuori controllo. E lo stesso Savona propone dei “Btp di guerra”, irredimibili, che i risparmiatori italiani dovrebbero sottoscrivere volontariamente con uno sforzo patriottico altrimenti subiranno una patrimoniale. Sono tutte proposte che, al di là della fattibilità, mettono in dubbio la capacità di rimborso del debito. Mentre rifiutano i risparmi del Mes, dicono che il debito è difficilmente sostenibile. Per l’Italia il vero stigma” sono le proposte del fronte antieuropeista. Altro che Mes.

  • Luciano Capone
  • Cresciuto in Irpinia, a Savignano. Studi a Milano, Università Cattolica. Liberista per formazione, giornalista per deformazione. Al Foglio prima come lettore, poi collaboratore, infine redattore. Mi occupo principalmente di economia, ma anche di politica, inchieste, cultura, varie ed eventuali