Riapertura al pubblico di un negozio in Via del Corso, a Roma (foto LaPresse)

No ai riformisti Coca zero

Carlo Calenda

Governo non capace, opposizione fuori dal mondo. Non c’è Fase 2 senza rottura con il passato

L’Italia sta affondando e i riformisti sono scomparsi. La pandemia ha materializzato tutti i nostri “mostri”: incapacità gestionale, confusione istituzionale, scarsa qualità della classe dirigente, dibattito politico retorico e vuoto. Di questo passo più che “uscirne migliori” rischiamo di non uscirne affatto. La spaccatura tra garantiti (pensionati, dipendenti pubblici e, per ora, dipendenti privati delle grandi aziende) e non garantiti (professionisti, artigiani, imprenditori, commercianti, dipendenti delle piccole imprese) è diventata, a causa dei provvedimenti del governo Conte, una voragine.

 

Il 30 per cento circa del paese rischia di uscire esangue dalla crisi. Un 30 per cento che sarà decisivo per salvare l’Italia nei prossimi 24 mesi. C’è un punto che sembra sfuggire: se il rimbalzo previsto per il prossimo anno non coprirà i 4/5 della perdita del 2020, l’Italia diventerà strutturalmente dipendente dall’azione della BCE. Anzi per meglio dire dovremmo poter contare su un Quantitative Easing in perenne crescita. Da quel momento in poi l’Italia avrà perso la propria sovranità.

 

Il “che fare” nell’immediato è piuttosto intuitivo.

 

Primo. Un piano sanitario per la FASE 3. Per riaprire tutto senza prescrivere comportamenti impossibili, occorre costruire una cintura sanitaria fatta di diagnosi rapida, tracciamento, contenimento e strutture di prevenzione. Un meccanismo trasparente e monitorabile che condizioni il grado di apertura alla prontezza della risposta pubblica nazionale e regionale. Azione ha presentato un progetto dettagliatissimo condiviso e discusso con tutti i principali virologi e epidemiologi. A parole sono tutti d’accordo ma in pratica nulla accade. I 3,25 miliardi disposti dall’ultimo decreto non bastano neanche per offrire a tutti i laureati una borsa di specializzazione e, aggiungo, non si comprende perché questi soldi non si prendano dal MES “sanitario”, liberando risorse nazionali per interventi sull’economia. Nulla rende più evidente l’impotenza di questo governo del balletto sul MES. L’ultima è: “aspettiamo che la Francia lo prenda”, anche se prendendolo la Francia, al contrario di noi, perderebbe soldi. Aspettiamo Godot e intanto ci godiamo Crimi.


Le iniziative che implicavano azioni del governo hanno funzionato male. Peggio del governo ha fatto solo l’opposizione di Salvini e Meloni


 

Secondo. Sistemare le cose che non hanno funzionato fino ad ora. La cassa integrazione in deroga va sostituita da permessi retribuiti per le piccolissime imprese. Con importi anticipati dalle banche e ripagati dall’INPS. Sulle garanzie occorre manlevare i dirigenti di banca che concedono i crediti e levare di mezzo l’intermediazione di SACE (6 garanzie rilasciate sino ad oggi). Va inoltre predisposto un meccanismo di conversione in capitale dei prestiti garantiti in sofferenza per abbassare il rischio di esplosione di costi per lo Stato. Il livello medio della Cassa e il sussidio agli autonomi vanno equiparati nella durata e nell’ammontare.

 

Terzo. I nuovi provvedimenti del DL rilancio. Invece di imbarazzanti e frammentate mance come il meccanismo del fondo perduto previsto nel nuovo decreto, basterebbe restituire l’IRAP e l’IRES pagate a novembre e cancellare gli acconti e i saldi di giugno per tutti. Una cosa semplice, proporzionale e immediatamente implementabile. Dobbiamo poi dare la possibilità alle imprese di sospendere per un anno gli ammortamenti per garantire la tenuta dei bilanci e sostituire il complesso meccanismo di incentivo agli incrementi di capitale con uno schema già testato: l’ACE, con un nozionale molto alto (7 per cento). Invece di inventare nuovi redditi, la cui implementazione sarà lunga e farraginosa, basterebbe dirottare i fondi europei non spesi sui Comuni per programmi di sostegno mirato. Ci sono mille altre cose semplici e automatiche che si possono fare, le abbiamo scritte e condivise. Inutile ripeterle qui. Non si vogliono fare perché ridurrebbero il potere di intermediazione del governo e dei sindacati.


I riformisti, “i normali”, chiamateli come volete sono stati ridotti all’irrilevanza dalla loro remissività. E’ ora di svegliarsi


 

Quarto. Superare l’impasse sull’apertura delle scuole. Un milione e duecentomila studenti su sette milioni e trecentomila non hanno potuti seguire i la didattica a distanza. Sono gli studenti più fragili, quelli che già soffrivano per le disfunzioni del sistema scolastico. Aver deciso di non testare le riaperture con un sistema di rotazione degli alunni per non disturbare la pax sindacale, è semplicemente irresponsabile. Nei prossimi giorni Azione presenterà un piano per la riapertura in sicurezza delle scuole.

 

Quando si parla della ripartenza, della ricostruzione, della rinascita, i toni diventano aulici: dal “nulla sarà come prima” al “dovremo cambiare tutto”. Si tirano allora in ballo riforme planetarie, un nuovo patriottismo, una rivoluzione che, a seconda dei casi, centralizzi o conceda più autonomia, semplificazioni non meglio specificate e chi più ne ha più ne metta. Ma la questione centrale per l’Italia, ieri, oggi e domani è sempre la stessa. Una questione tanto semplice, quanto estranea a questa politica: la capacità dell’azione pubblica di muovere le cose. E per l’ottanta per cento ciò dipende da gestione e organizzazione. Si può fare a legislazione vigente, ma non a politici vigenti. Puoi dare i superpoteri a un Commissario, ma se sbagli persona finisci per trovarti con un pugno di ridicole “implorazioni”, invece che con milioni di mascherine e reagenti. Uno Stato che non ha soldi può comunque trovarli per ricominciare, uno Stato che ha i soldi ma non riesce a spenderli neanche per pagare la cassa integrazione non è più uno Stato.

 

Inutile perdersi nella discussione sulla gestione della crisi. Esiste un dato incontrovertibile: tutte le iniziative che implicavano un’azione del governo hanno funzionato male. Dalla cassa integrazione alla liquidità, dalle mascherine ai reagenti. L’incapacità di implementare è stata ben nascosta sotto una spessa coltre di retorica a buon mercato. Conte è la quintessenza di questo nuovo stile di governo “neomelodico”, decisamente più simile a Mario Merola che alla cruda fierezza di Winston Churchill. Finché gli italiani cantavano sui balconi, l’appello ai buoni sentimenti ha funzionato. Ma il patriottismo da terrazzino è finito. E a sinistra siamo già passati alle giustificazioni: “non c’è un’alternativa”; “la burocrazia non può essere sconfitta”; “dobbiamo comunque tifare Conte perché è il governo” etc. La caduta di popolarità di Conte rischia di essere rapida. Ci sono illustri precedenti: Berlusconi dopo Onna, Monti dopo il rischio di default.


Finché gli italiani cantavano sui balconi, l’appello ai buoni sentimenti ha funzionato. Ma il patriottismo da terrazzino è finito


 

Intanto il Partito Democratico è scomparso dal dibattito politico. La strategia politica di Zingaretti e Bettini è piuttosto semplice: proposte poche (sono divisive), appelli morali molti e comunque si sta buoni e zitti pur di stare al governo. L’identità politica è stata sostituita da una confusa identità morale che si può sostanzialmente riassumere in “siamo buoni e responsabili”. Anzi per meglio dire siamo talmente buoni che persino i decreti sicurezza e la legittima difesa diventano “etici” se c’è la sinistra al governo. Zingaretti fa bene a tenere questa linea politica. E’ esattamente quello che vuole la parte degli elettori irriducibili del Pd. Quel 20 per cento che desidera essere solo rassicurato su due punti: la propria superiorità morale e l’antifascismo anche in assenza di fascisti. Per il resto lasciamo fare a Conte. Il Pd è insomma diventato una “sardinona” inscatolata con l’olio delle dichiarazioni sui buoni sentimenti. E in questo senso c’è davvero una comunanza con il “fortissimo punto di riferimento dei progressisti”. Intanto la parte riformista e pragmatica del partito, che pure rimane, si accontenta di qualche sottile distinguo. Possono non essere d’accordo con ogni singolo provvedimento del governo, ma trovano sempre la giustificazione perfetta per la loro rinuncia a combattere: “contribuiamo al dibattito interno” (dove e quando non è dato sapere); “l’unità viene prima di tutto”; “diamo una mano attraverso il nostro ruolo istituzionale”.

 

Peggio del governo ha fatto solo l’opposizione di Salvini e Meloni. Tra “proposte” fantascientifiche (aboliamo le tasse per 18 mesi) e latrati nazionalisti anti MES, si è confermato anche durante la pandemia un mix esplosivo di ignoranza e superficialità. Con alcune differenze tuttavia. Salvini non ne azzecca più una. Sembra sempre fuori tempo e fuori luogo, come i suoi occhiali. Giorgia Meloni invece è in grande spolvero. E’ interessante sentirla in televisione elencare tutti i problemi dell’Italia come se, tornando da un lungo viaggio in Papuasia, conversasse con un amico immaginario. Un’immagine rassicurante da bar di paese: “signora mia quanti negretti in giro, come faranno i nostri figli a trovar lavoro”. Soluzioni mai, ovviamente. Salvini e Meloni rappresentano l’assicurazione sulla vita del governo Conte. Avessero dimostrato un’oncia in più di responsabilità questo Esecutivo sarebbe già storia. Ma il duo sovranista non ha nessuna intenzione di andare al governo. Il piano è più o meno il seguente: andiamo alle elezioni, capitalizziamo i sondaggi positivi, chiamiamo Draghi, affondiamo Draghi e ricominciamo tutto da capo. Dal passo dell’oca al gioco dell’oca. Intanto anche in questo campo i vari Crosetto, Giorgetti, Garavaglia e Zaia ammiccano alla cultura della responsabilità. Ma oltre a qualche soave battito di ciglia non vanno.

 

E i liberali? Anche nel nostro campo non ci stiamo particolarmente distinguendo. Renzi è oramai impantanato in una posizione politica confusa e contraddittoria. Una mutazione genetica davvero sorprendente. Il Rottamatore, l’uomo delle battaglie a viso aperto si è trasformato nel suo opposto. Dalle riforme coraggiose alle “mosse del cavallo” per favorire governi di somari. L’uomo che si lamentava continuamente del “fuoco amico”, ne ha fatto la ragione politica di Italia Viva. Forza Italia arranca, un colpo al cerchio europeista e uno alla botte sovranista. Anche se Berlusconi in questa crisi è apparso come un leader responsabile, continua a ribadire la sua fedeltà imperitura a Meloni e Salvini. Mara Carfagna è “libera”, ma di fare cosa non si capisce. Azione e Più Europa non riescono a unirsi per misteriose ragioni conosciute solo da Benedetto Della Vedova. Eppure molto, forse tutto dipende dalla possibilità di costruire un grande polo liberal democratico che sarebbe fondamentale per ridare un baricentro quantomeno ragionevole alla politica italiana. Una forza che potrebbe forse persino convincere le “riserve della repubblica” a uscire dalle pagine di questo giornale per darsi fare.

 

La politica in Italia è in mano a Salvini, Bettini, Di Maio, Grillo, Meloni, Conte perché le persone di qualità di centro destra, di centro sinistra e della così detta società civile sono diventate l’equivalente politico della coca zero. Mosci e edulcorati. L’espressione, brillantissima, è stata coniata dal vostro fondatore in un’epoca diversa. Oggi purtroppo anche in lui si sente un retrogusto di aspartame quando cerca di giustificare il mese di ritardo del DL aprile-maggio. E’ davvero tempo di tornare ai Martini. Il terrore del “Truce” in mutande è stato per troppo tempo una scusa per accettare qualsiasi cosa.


Il terrore del “Truce” in mutande è stato una scusa per accettare qualsiasi cosa. Quattro idee per un cambio di passo vero 


I riformisti, i normali, i responsabili, chiamateli come volete sono stati ridotti all’irrilevanza dalla loro remissività. Davanti a un paese che affonda si sono nascosti. Tuttalpiù hanno sussurrato il loro dissenso ai retroscenisti. Eppure non siamo davanti a leadership inattaccabili, se pensiamo che nessuno degli attuali segretari di partito si candida esplicitamente a guidare il governo. Un unicum in tutto il mondo occidentale, che testimonia anche la definitiva separazione tra politica e arte di governo. Tutto cambierebbe se i riformisti ritrovassero una voce forte, minacciassero la rottura, superassero i confini della fedeltà al partito e trovassero le ragioni della lealtà al paese. Accadrà? Forse, ma non ora. A un metro dal burrone nel riparleremo.