(foto LaPresse)

Perché nei paesi con un lockdown soft l'R-0 non è schizzato alle stelle?

Luca Roberto

Oltre alle misure restrittive, per abbassare l'indice di contagiosità servono un sistema sanitario solido e un'economia resiliente. Un rapporto Algebris

La scorsa settimana il presidente del Consiglio Conte ha annunciato la riapertura di negozi, bar e ristoranti in gran parte del paese sostenendo che il governo si stava assumendo “un rischio calcolato”. Tradotto: secondo le stime del comitato tecnico-scientifico, la mole di persone che di lì a pochi giorni sarebbe tornata a riversarsi per le strade, a vivere una più tradizionale vita sociale e di conseguenza a riattivare la catena del contagio non avrebbe, nella gran parte degli scenari, comportato un innalzamento dell’indice di contagiosità R-0 al di sopra di 1.

 

In questi mesi, di R-0 si è scritto e detto di tutto. Il suo andamento è oramai d’interesse pubblico al pari dell’esito di una partita di campionato, e nel protrarsi del lockdown è sembrato essere la funzione chiave per l’allentamento delle misure restrittive. Ma se si scoprisse che nei paesi sottoposti a una più rigida serrata il suo andamento non è stato così dissimile rispetto a quelli che hanno optato per chiusure più soft? 

 

 

Il Policy & Research Forum del fondo d’investimenti Algebris ha preso in esame 42 paesi al mondo e li ha suddivisi, utilizzando i dati sulla mobilità forniti da Google, in tre categorie sulla base delle restrizioni adottate: lockdown duro, medio e soft. Nei primi la media attuale dell’indice di contagiosità, benché molto variabile, è risultata intorno all’1. In quelli in cui le imposizioni e i divieti sono stati più leggeri, è attorno allo 0,86. E dall’inizio della quarantena ha seguito un andamento speculare in entrambi i contesti, contraendosi rispettivamente dello 0,42 e dello 0,43.

 

I ricercatori hanno distinto i paesi tra economie emergenti ed economie sviluppate, e il grafico sull’andamento di R-0 mostra quanto siano stati più i fattori sviluppo e ricchezza a essere determinanti nel tenerlo sotto la soglia di 1. In particolare, si legge nell’analisi, “abbiamo scoperto che due misure hanno chiare correlazioni con l’effettivo indice di contagiosità dei paesi, e cioè la solidità del Sistema sanitario e la più generale resilienza del paese”. Nei paesi in cui la Sanità funziona e il tasso di sviluppo è elevato, in poche parole, è bastato sottostare a un regime più lasco di divieti. Per alcuni paesi economicamente più in difficoltà, invece, grosse rinunce alla libertà personale non hanno automaticamente comportato risultati apprezzabili nell’abbassamento di R-0. 

 

 

Il documento non dice, come potrebbe apparire a un osservatore distratto, che le misure di contenimento sono inutili. Quanto che “la pandemia ha accelerato la storia ed esposto le fragilità del ciclo del debito dei decenni passati”. E che “con una più debole forza istituzionale e sanitaria per controllare la diffusione della malattia e minori margini fiscali e monetari per contenere la crisi economica, è probabile che le economie emergenti verranno lasciate indietro nel processo di ripresa e diventeranno i grandi sconfitti”. Per questo più che sperare in una continua discesa di R-0 bisognerebbe, come raccomandato dalla stessa Organizzazione mondiale della Sanità, creare le condizioni per innescarla, quella discesa: testare, tracciate, trattare. Abbiamo capito che è più importante di starsene semplicemente a casa. E nonostante tre mesi di tempo, corriamo il rischio di essere completamente impreparati.

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