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Così si spegne l'Ilva

Annarita Digiorgio

Il governo nega ad ArcelorMittal una garanzia da 400 milioni e si prepara a nazionalizzarla attraverso Invitalia

Taranto. ArcelorMittal aveva chiesto al governo una garanzia su un prestito bancario di 400 milioni di euro, da inserire nel decreto “Rilancio”, per riuscire a mandare avanti i siti produttivi dell’ex Ilva fortemente colpiti, come tutto il settore dell’acciaio, dalla crisi legata all’emergenza Covid-19.

 

Ma il governo ha negato una garanzia a un investitore privato che, nonostante tutte le difficoltà di natura economica, giuridica, sanitaria ma soprattutto politica, stava lavorando con un impegno di 4 miliardi al risanamento industriale e ambientale della più grande fabbrica del Mezzogiorno. L’esecutivo, di fatto, ha così preferito mettercene almeno dieci volte tanto, con fondi pubblici, appena ArcelorMittal, sciolto il contratto con l’abolizione dello scudo penale, non ci sarà più.

 

E così, subito dopo la conferenza stampa del presidente del Consiglio Giuseppe Conte, ieri stesso ArcelorMittal ha fatto partire da Taranto altri 1.000 avvisi di cassa integrazione che si aggiungono ai precedenti 5 mila e il fermo di gran parte degli impianti di Taranto, e quello definitivo di Genova e Novi Ligure, senza pagare l’indotto e la rata di affitto degli impianti. Il problema non riguarda solo ArcelorMittal: la sua unica concorrente nella gara per l’acquisizione dell’Ilva, Jindal, che nel frattempo ha preso l’ex Lucchini di Piombino, non è riuscita a fare neppure il promesso forno elettrico e si trova in grave crisi di liquidità. Tanto che sempre ieri il presidente della regione Toscana Enrico Rossi ha inviato una lettera al ministro dello Sviluppo economico Stefano Patuanelli facendo appello all’articolo 30 del decreto “Rilancio”, chiedendo al Mise di adoperarsi per favorire l’ingresso della Cassa depositi e prestiti nel capitale sociale della Jsw Steel di Piombino. Jindal non disdegna l’aiuto, essendo tra l’altro già stata partner di Cdp nella gara per l’ex Ilva. A Taranto, invece, è probabile che lo stato ci entrerà tramite Invitalia.

 

E’ già ripartito il tavolo, guidato da Ernesto Somma (ex capo di gabinetto di Carlo Calenda al Mise, ora responsabile incentivi di Invitalia) per passare allo stato quasi il 50 per cento dello stabilimento tarantino trasformando, insieme a quelli di Intesa Sanpaolo, i crediti in quote di capitale.

 

In pratica il governo sta togliendo l’Ilva a Mittal per affidarla a Domenico Arcuri. Produrremo acciaio come mascherine.

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