(foto LaPresse)

Il coronavirus mette in quarantena gli scontri e i duelli nel Pd

David Allegranti

“Stop a ogni polemica”, dice Franceschini. Renzi lo segue. Tutto rinviato. E il congresso? “Non è neanche stato convocato…”

Roma. Si accumulano le email che annunciano la cancellazione di quella presentazione in libreria, di quel dibattito, di quella conferenza stampa. È dunque tutto uno spostare, rivedere, aggiustare, i cantanti modificano i loro tour – date un occhio, voialtri che avete già il biglietto, all’Instagram di Brunori Sas – e poteva forse mancare il Pd? Pure lì è tutto un troncare e sopire e rimandare gli stracci da far volare a un’epoca in cui l’Amuchina avrà trionfato sul male, si spera presto. “Stop immediato a ogni polemica. In queste ore non ci possono essere maggioranza e opposizione, destra e sinistra, regioni e governo. Dobbiamo solo tutti insieme lavorare per proteggere le persone e superare l’emergenza. Il resto dopo” dice Dario Franceschini in un tweet omnicomprensivo che mette insieme le “polemiche” nel governo e sul governo ma anche quelle nel Pd. Persino Matteo Renzi, piromane all’occorrenza, stavolta richiama tutti al senso di unità nazionale: “Mi permetto di lanciare un appello: basta polemiche! C’è un’emergenza e va gestita tutti insieme, seguendo la scienza e non le polemiche”. È pure passata quasi inosservata l’elezione a presidente del Pd di Valentina Cuppi, sindaca di Marzabotto, mai stata iscritta al Pd fino al giorno prima dell’assemblea dello scorso fine settimana. Candidata nel 2013 nelle liste di Sel, viene dalla sinistra movimentista, è nel comitato nazionale di Futura, la rete presieduta da Laura Boldrini e coordinata dal toscano Marco Furfaro, responsabile comunicazione del Pd nazionale e anche lui ex Sel.

 

Un grande successo, ha detto Nicola Zingaretti: “Si è avvicinata a noi da poco, questo non è un problema ma anzi un grande successo. Noi esistiamo per avvicinare le persone e non per allontanarle”. Peccato che, come ha fatto notare Francesco Cundari su Linkiesta, la recente modifica dello statuto trasforma il presidente del Pd non in un ruolo di mera testimonianza ma in uno attivo: “In caso di dimissioni del Segretario nazionale e di formale avvio della fase congressuale, la gestione ordinaria del partito è affidata al Presidente dell’Assemblea nazionale, in qualità di Presidente pro-tempore della Direzione nazionale”. Eh già, il congresso. Ma a furia di annullare, spostare, sopire e troncare, il congresso del Pd sarà mai avviato? “Non è neppure necessario rinviarlo, visto che non è mai stato convocato…”, dice al Foglio un parlamentare del Pd che siede al governo.

 

Diciamo, infatti, che il congresso del Pd era già stato messo in quarantena prima del Coronavirus. Dalle primarie aperte al congresso per tesi il passo, non formalizzato, era già stato brevissimo. Adesso, siccome le “polemiche” non servirebbero, tanto più che ci sono pure le elezioni regionali, meglio prendersi Cuppi presidente, le Sardine a distribuire patenti di rispettabilità per i candidati governatori (Vincenzo De Luca no, Michele Emiliano sì) e il congelamento dei duelli fra correnti dentro il Pd, con conseguente slittamento del rinnovato duello fra i riformisti superstiti ex rignanesi e la sinistra di piazza Mazzini tornata in auge con lo zingarettismo, che prosegue – in realtà a prescindere al coronavirus – il dialogo costante con i Cinque stelle. Al punto che il segretario del Pd si è persino lamentato perché c’è chi nel Pd ha chiesto un referendum, che ora potrebbe pure slittare, come tutto del resto, sul taglio del numero dei parlamentari: “Io non lo condivido e credo sia stato un errore sottoscriverlo ma rispetto chi lo ha fatto anche del Pd. Ma noi abbiamo votato sì in Parlamento perché dentro quel sì c’era il rispetto di un accordo di governo e nell’era dei populismi non si sentiva proprio il bisogno di chiamare i cittadini a una consultazione che rischia di diventare un referendum sul parlamentarismo”. Forse, “nell’era dei populismi”, l’errore è non già convocare il referendum ma aver votato sì in Parlamento al taglio del numero dei parlamentari. Ma ora c’è il Coronavirus e quindi non si può dire.

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  • David Allegranti
  • David Allegranti, fiorentino, 1984. Al Foglio si occupa di politica. In redazione dal 2016. È diventato giornalista professionista al Corriere Fiorentino. Ha scritto per Vanity Fair e per Panorama. Ha lavorato in tv, a Gazebo (RaiTre) e La Gabbia (La7). Ha scritto cinque libri: Matteo Renzi, il rottamatore del Pd (2011, Vallecchi), The Boy (2014, Marsilio), Siena Brucia (2015, Laterza), Matteo Le Pen (2016, Fandango), Come si diventa leghisti (2019, Utet). Interista. Premio Ghinetti giovani 2012. Nel 2020 ha vinto il premio Biagio Agnes categoria Under 40. Su Twitter è @davidallegranti.