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Sul governissimo, Renzi e Giorgetti parlano la stessa lingua

Valerio Valentini

Giorgetti ai suoi: “La recessione chiamerà ciascuno alle proprie responsabilità”. Zingaretti non cede, un pezzo di M5s tentato

Roma. Gli dici che ultimamente i suoi ragionamenti sono sospettamente simili a quelli di Matteo Renzi, e lui allora allarga le braccia: “Qualsiasi persona di buon senso arriva alla stessa conclusione: così il paese non può andare avanti, i ceti produttivi protesteranno”. E la conclusione a cui allude Giancarlo Giorgetti, testa pensante della Lega, è di nuovo in sintonia col pensiero del senatore di Scandicci, che nella sua enews parla della necessità di “misure fortissime” per risollevare industria e turismo dai danni del coronavirus: “Dovremo ripartire con mille difficoltà. Ma se ci mettiamo tutti insieme – senza distinguo assurdi – possiamo farcela”. E mentre Renzi ringrazia via Twitter “i medici di Codogno e della Lombardia”, con prevedibile gran scorno di Giuseppe Conte che quel sistema sanitario lo ha criticato nei giorni scorsi, Giorgetti sposa a modo suo l’idea dell’unità nazionale: “Il vero responsabile che manca, qui, è Mario Draghi. Un governo guidato da lui sarebbe un’ipotesi troppo bella per essere vera, perché l’unico in grado di risollevare le sorti del paese”. Ma Matteo Salvini, che un po’ si mostra tentato e un po’ schifato dall’idea, ci starebbe o resterebbe vittima della sua ansia da confronto con Giorgia Meloni? “Già, di responsabili ce ne vorrebbe più d’uno”.

 

E insomma ecco che Osvaldo Napoli, forzista di lunga esperienza, annusa l’aria del Transatlantico: “Sento un forte odore di governissimo”. Lo stesso che deve intercettare Benedetta Fiorini, azzurra emiliana, nel momento in cui prende sotto braccio il grillino Luca Carabetta: “Se servisse per salvare il paese, con Draghi premier, io non mi metterei certo di traverso”.

 

Lo farebbe, pare, Nicola Zingaretti, se è vero che al Nazareno restano convinti che l’equilibrio attuale, per quanto precario, resti l’unico possibile. “Se sono contenti loro, di come vanno le cose, facciano pure”, si stringe nelle spalle Giorgetti. “Vuol dire che si terranno il governo Casalino”. E però, che tutto il Pd sia davvero entusiasta della situazione, non si direbbe. E infatti la stessa allusione al portavoce del premier ritorna anche nei conciliaboli dei deputati dem. “Non si può affidare la gestione di un’emergenza a Casalino”, dice Enrico Borghi. “Evitiamo che questa diventi la Repubblica del Grande Fratello. Ciò che non abbiamo permesso a Salvini, e cioè governare sulla base dei trending topic, non lo permetteremo neanche ad altri”.

 

Solo che, se pure le truppe parlamentari del Pd si vanno convincendo che no, con questo assetto è difficile andare avanti a lungo, l’ipotesi del governissimo viene vista con fastidio. Un po’ perché, come che la si giri, significherebbe riportare Salvini al governo, e un po’ – soprattutto – perché un’operazione del genere darebbe troppo spazio di manovra a Renzi. Quindi, se proprio si dovrà cambiare, converrà tentare con la maggioranza Ursula, coinvolgendo solo Forza Italia, più i cespugli del Misto, magari con uno sforzo di fantasia costituzionale per giustificare un appoggio esterno, o un accordo su singoli punti programmatici. Le diplomazie sono al lavoro, anche se i ragionamenti s’ingarbugliano sempre lì, intorno alla figura del premier. “Se non lo si cambia, per noi è impossibile”, ha provato a spiegare due giorni fa Renato Brunetta a Bruno Tabacci, grand commis del contismo a Montecitorio. Che subito ha obiettato: “Ma a quel punto, come ti assicuri i 5 stelle, senza i quali è difficile costruire maggioranze”. Ed è così che, nel gorgo irrisolto delle congetture, tutti alzano lo sguardo verso il Quirinale. Dove il viluppo della crisi sul coronavirus viene osservato con la preoccupazione del caso, ma senza l’ansia che precede le decisioni irrevocabili. Quelle, semmai, arriveranno quando i dati economici si dovessero fare impietosi. “La recessione – sbuffa Giorgetti – chiamerà ciascuno alle proprie responsabilità”.

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