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Parrini ci spiega perché Renzi sbaglia sull'elezione diretta del premier

David Allegranti

“Se si vuole rafforzare la stabilità dei governi, una strada c’è: il cancellierato con la sfiducia costruttiva”, dice il senatore del Pd

Roma. “La proposta di Matteo Renzi sull’elezione diretta del premier è sbagliata, per ragioni di metodo ma anche di merito”, dice al Foglio Dario Parrini, senatore del Pd capogruppo in Commissione affari costituzionali e attivo da settimane al tavolo di maggioranza che ha portato all’intesa sulla riforma elettorale. “E’ una proposta poco comprensibile, sembra quasi improvvisata. Tra l’altro non ce n’è traccia nelle mozioni Renzi ai congressi del 2013 e del 2017, né nei cento punti della Leopolda del 2011”.

 


Dario Parrini (foto LaPresse)


 

Men che meno, dice Parrini, “ce n’è traccia in nessuna delle versioni (iniziale, intermedia, finale) del disegno di legge che conteneva la riforma costituzionale purtroppo bocciata nel dicembre 2016”. C’è poi una questione di metodo, aggiunge il senatore toscano, un tempo vicino a Renzi.

 

“Se abbiamo lavorato mesi per trovare un accordo in maggioranza su un sistema (riforma elettorale proporzionale con soglia al 5 per cento senza stravolgere le prerogative costituzionali del Capo dello Stato e del Parlamento) e improvvisamente Iv, che ha condiviso con gli altri quel lavoro, fa una proposta incompatibile con quell’accordo, quel che è probabile accada non è che si faccia un nuovo accordo ma che non ce ne sia nessuno e che tutto resti com’è. Nessuna riforma, insomma. Così si rischia l’effetto Sisifo, tanta fatica ma inutile”. Tradotto: “Lo scopo del dibattito sulle riforme deve produrre risultati concreti. In Italia invece produce convegni e una ridda di ipotesi che riempiono i giornali per un po’ di tempo e non diventano mai realtà. La proposta Renzi, lo dico con rispetto, ha questo rischio incorporato ”. E le ragioni di merito quali sarebbero? “L’elezione diretta del premier ridimensiona pesantemente i poteri del Presidente della Repubblica e del Parlamento, che se il premier fosse eletto direttamente perderebbe per definizione sia il potere di insediarlo nella pienezza delle sue funzioni dandogli la fiducia sia il potere di sfiduciarlo senza decadere esso stesso simultaneamente. Questa roba è un oggetto sconosciuto nel mondo. Non è né il presidenzialismo né il semipresidenzialismo, né il sistema conseguente all’Italicum del 2015, che poteva assicurare governabilità senza stravolgimenti costituzionali delle prerogative del Capo dello Stato e delle Camere, e che infatti venne introdotto a Costituzione invariata”. Aggiunge Parrini: “Il riformismo o è realista o non è. E questa proposta oltre che errata è irrealistica”. Insomma, “se si vuol rafforzare la stabilità dei governi senza buttare all’aria l’intesa già raggiunta, una strada c’è: il cancellierato con la sfiducia costruttiva. Si lavori su quel modello, che è compatibile con una legge elettorale a soglia alta. Perché è evidente che solo partendo da un progetto che unisce la maggioranza si può aprire il dialogo con l’opposizione. E sappiamo già che l’elezione diretta del premier non la vuole nessuno, nemmeno Iv fino a pochi giorni fa”. In fondo, è probabile che Iv faccia queste proposte “irrealistiche” proprio perché sa che non possono essere realizzate. L’importante, in questo caso, non sarebbe il merito della riforma, ma finire sui giornali e tenere alta la tensione nel governo. Ma tutte queste cose, al massimo, Parrini può solo pensarle. Al cronista però il legittimo dubbio può venire. “Non posso pensare che si creda di poter fare una mega riforma del genere che cambia tutta la forma di governo prevista dalla Costituzione con un’opposizione dove ci sono due (Salvini e Meloni) che come unico pensiero hanno le elezioni anticipate e considerano gli avversari degli abusivi da tenere a distanza?”, chiede Parrini agli alleati di governo.

  • David Allegranti
  • David Allegranti, fiorentino, 1984. Al Foglio si occupa di politica. In redazione dal 2016. È diventato giornalista professionista al Corriere Fiorentino. Ha scritto per Vanity Fair e per Panorama. Ha lavorato in tv, a Gazebo (RaiTre) e La Gabbia (La7). Ha scritto cinque libri: Matteo Renzi, il rottamatore del Pd (2011, Vallecchi), The Boy (2014, Marsilio), Siena Brucia (2015, Laterza), Matteo Le Pen (2016, Fandango), Come si diventa leghisti (2019, Utet). Interista. Premio Ghinetti giovani 2012. Nel 2020 ha vinto il premio Biagio Agnes categoria Under 40. Su Twitter è @davidallegranti.