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I due veri partiti che giocano col governo

Claudio Cerasa

Il TTC, il Tutto Tranne Conte, contro il TTP, il Tutto Tranne i Populisti. Gli interessi incrociati delle pazze coppie Salvini-Renzi e Renzi-Di Maio. La tattica del Pd, il partito di Conte, il Quirinale. Un gioco più difficile (e fragile) di una partita a shangai

Quando la politica diventa un gioco fatto di incastri sottili e di equilibri precari, e quando soprattutto l’attività di governo diventa complicata come il finale di una partita di shangai, succede spesso che ogni piccolo e impercettibile movimento possa trasformarsi in un terremoto capace di far saltare l’intero tavolo da gioco. Il governo guidato da Giuseppe Conte, oggi, all’indomani del voto di fiducia ricevuto sulla legge di Bilancio, si trova in una situazione del genere. Dal punto di vista parlamentare l’equilibrio è buono, la maggioranza c’è e i numeri a sostegno dell’attuale premier anche, grazie a qualche senatore di Forza Italia: il partito che più di tutti in questa legislatura farà qualsiasi cosa pur di portare questo Parlamento, in cui i deputati e i senatori del Cav. si equivalgono a quelli di Salvini, all’elezione del prossimo presidente della Repubblica. I numeri promettono di esserci, anche nel caso in cui la Lega dovesse continuare a reclutare grillini a Palazzo Madama. Dal punto di vista politico, però, il sottile gioco a incastri che giorno dopo giorno emerge sempre con più chiarezza in Parlamento indica una storia diversa all’interno della quale i fronti politici che promettono, con sfumature diverse, di confrontarsi da qui alle prossime elezioni in Emilia-Romagna sono divisi grosso modo in due partiti.

 

Da una parte c’è il TTC, il Tutto Tranne Conte, e dall’altra parte c’è invece il TTP, Tutto Tranne i Populisti. All’interno di questa forte divisione della politica italiana si va poi a configurare una serie di apparentemente improbabili coppie politiche che in modo più o meno clandestino si muovono per evitare che uno dei due partiti si vada ad affermare nel tempo.

 

La prima coppia da prendere in esame è quella formata da Matteo Renzi e Matteo Salvini e partire da questa coppia può essere utile per capire qualcosa di più rispetto all’idea lanciata dalla Lega, e apparentemente priva di senso, di aprire una stagione di riforme istituzionali condivise tra maggioranza e opposizioni. Tra gli esponenti della maggioranza, l’unico ad aver preso sul serio la proposta Salvini-Giorgetti è stato Matteo Renzi. Renzi, esponente discreto del TTC, lo ha fatto perché immagina davvero, in primavera, dopo la partita delle nomine, di poter sostituire l’attuale premier con una figura più tecnica, a metà tra un Mario Draghi e un Raffaele Cantone, allargando l’attuale maggioranza (Forza Italia? Pezzi di Lega?) attraverso un’operazione per così dire costituente, capace di rafforzare la legislatura fino al 2023. Dall’altra parte, Matteo Salvini non ha altra ambizione che non restare fuori dalla partita della legge elettorale (un proporzionale è il vero obiettivo di Salvini per poter prosciugare Forza Italia e non dover fare le proprie liste con la non proprio amata Giorgia Meloni) ma ha scelto di alimentare l’ambiguità sulla sua posizione (“non è che vuole fare un governissimo?”) per inserirsi all’interno delle contraddizioni della maggioranza e per provare a usare la mina vagante del renzismo non come un elemento per costruire una nuova stabilità nella legislatura (il dopo Conte) ma come un elemento utile per far crollare tutto (il Quirinale, a quanto risulta al Foglio, crede che in questa legislatura non sia neppure impensabile un governo di centrodestra con transfughi del grillismo, ma per quanto Salvini abbia dimostrato notevoli incapacità tattiche è difficile che il leader della Lega scelga di andare a Palazzo Chigi senza passare dal via). Renzi, dunque, ha scelto di usare un fantomatico asse con Salvini per creare un’alternativa a Conte (e anche per pesare di più all’interno della maggioranza: se dimostri di essere un motore capace di innescare un’alternativa a questo governo, questo governo per restare in piedi dovrà concederti qualcosa di più). Salvini, a sua volta, ha scelto di usare un fantomatico asse lanciato a pezzi della maggioranza per provare a indebolire Conte (per provare a governare, come insegnano i saggi, devi provare a dividere chi oggi ha in mano le leve del governo).

 

E in tutto questo, ovviamente, nel gioco delle coppie forse più improbabile della storia della Repubblica, un altro asse interessante finalizzato a indebolire, per quanto possibile, il ruolo del presidente del Consiglio è quello formato da Renzi e Di Maio, i cui partiti sul tema dei disastri della Popolare di Bari e sul tema della critica alla Vigilanza di Bankitalia si sono ritrovati perfettamente allineati.

 

Il gioco tra Renzi e Di Maio – avete letto un qualche tweet del capo politico del M5s sul caso della Fondazione Open? – è un gioco che punta a indebolire il presidente del Consiglio, Giuseppe Conte, e che Di Maio prova a usare: forse non mosso dall’idea di cambiare premier, ma più che altro mosso dall’idea di evitare che il capo del governo possa fare scouting all’interno del Movimento. Da una parte e dall’altra, dalla parte di Renzi e di Di Maio, la partita può avere un senso ma è ovviamente una partita molto pericolosa e quando i bastoncini rimasti sul tavolo sono pochi, come sa bene chi ama giocare a shangai, basta un nonnulla per regalare la partita all’avversario.

 

Renzi, Salvini e Di Maio, per ragioni diverse, lavorano per non rafforzare Conte, diciamo così, mentre dall’altra parte, e qui arriviamo al TTP, Tutto Tranne i Populisti, chi ha scelto di fare squadra con il presidente del Consiglio si trova incredibilmente più all’interno del perimetro del Pd che all’interno del perimetro del M5s. La leadership del Partito democratico, Nicola Zingaretti per primo, il cui Pd nonostante le difficoltà e le scissioni (Renzi e Calenda) si trova ancora intorno al 18 per cento, non considera il presidente del Consiglio come un fulmine di guerra, diciamo, e non considera l’operato del capo del governo degno di essere difeso a ogni costo. Ma la ragione per cui dal quartier generale del Pd arrivano nei confronti di Conte meno bordate rispetto a quelle che arrivano dal quartiere generale del M5s (vedi il caso del Mes) ha a che fare con un altro gioco delle coppie che riguarda il dopo Conte in un altro verso. La segreteria del Pd, così ripete spesso Andrea Orlando ma così ripetono anche i capicorrente della vecchia base renziana del partito, pensa che dopo questo governo, in questa legislatura, non ce ne saranno altri e sulla base di questa convinzione ha scelto di scommettere su Conte più per questioni relative al futuro che per questioni relative al presente. Un importante esponente del Pd al governo ha raccontato ieri al Foglio che in caso di elezioni anticipate il tema non è capire cosa ci sarà dopo Conte ma è capire se si riuscirà a fare quello che alcuni dirigenti del Pd hanno già proposto a Conte: fare un suo partito, sul modello della lista civica-cinica lanciata da Mario Monti nel 2013, e rappresentare, sempre che esista, quel pezzo di Italia incompatibile con il Pd, lontano dalla Lega, distante dalla Meloni e desideroso di proporre un altro modello di grillismo. La scommessa del proporzionale è una scommessa che non nasce solo per evitare di dare pieni poteri a Salvini in caso di elezioni anticipate – qualcuno crede davvero che un gruppo parlamentare come quello del M5s ricco di esponenti politici che dopo questa legislatura avrebbero serie difficoltà a trovare un altro lavoro possa avvicinarsi come uno stambecco al dirupo e buttarsi di sotto senza paracadute? – ma nasce anche per poter dare una mano a un soggetto che nelle intenzioni della dirigenza del Pd, e in nome del TTP, potrebbe aiutare a togliere qualcosa al M5s di Luigi Di Maio e di Alessandro Di Battista e anche ai due partiti nati dalla scissione con il Pd. Si dice che il governo di svolta sia destinato a cadere inevitabilmente nel caso in cui la Lega dovesse vincere in Emilia-Romagna e si dice spesso che il futuro dell’esecutivo sia legato alle partite di Ilva e di Alitalia. Entrambe le affermazioni sono non del tutto false (sono un po’ false perché tradizionalmente un governo diventa fragile quando uno dei partiti di maggioranza si rafforza e oggi questo rischio non si vede) ma la verità è che il futuro del governo Conte dipenderà più da equilibri piccoli che da equilibri grandi e per capire in che modo si andrà a sviluppare la partita di shangai all’interno della maggioranza rossogialla forse conviene partire da qui: chi vincerà la sfida tra il partito del Tutto Tranne Conte e il Tutto Tranne i Populisti. La partita oggi è in equilibrio. Ma quando la politica diventa un gioco fatto di incastri sottili e di equilibri precari basta una mossa sbagliata per far saltare tutto.

  • Claudio Cerasa Direttore
  • Nasce a Palermo nel 1982, vive a Roma da parecchio tempo, lavora al Foglio dal 2005 e da gennaio 2015 è direttore. Ha scritto qualche libro (“Le catene della destra” e “Le catene della sinistra”, con Rizzoli, “Io non posso tacere”, con Einaudi, “Tra l’asino e il cane. Conversazione sull’Italia”, con Rizzoli, “La Presa di Roma”, con Rizzoli, e "Ho visto l'uomo nero", con Castelvecchi), è su Twitter. E’ interista, ma soprattutto palermitano. Va pazzo per i Green Day, gli Strokes, i Killers, i tortini al cioccolato e le ostriche ghiacciate. Due figli.