Luigi Di Maio (foto LaPresse)

Di Maio nell'angolo e quel grillismo egemone che il Pd non accetta più

Valerio Valentini

Conte e Zingaretti finiscono sulla graticola dei dem. Le critiche di Fassino e Delrio. Grillo incoraggia i governisti del M5s

Roma. Dicono che Stefano Patuanelli, che la sua pattuglia la conosceva, lo avesse chiesto già sul caso Ilva: “Sullo scudo teniamo la rotta”, disse, appena arrivò al Mise. Ora che tutto, anche la refrattarietà alla confidenza, si scioglie nel marasma grillino di Palazzo Madama, i senatori del M5s ricordano che sì, “Stefano avrebbe forzato la mano, andando a scoprire il bluff della Lezzi e degli altri dissidenti”. Solo che poi Luigi Di Maio, come sempre gli capita nei momenti di tensione, decise di non decidere, Giuseppe Conte provò a mediare quando era già tardi, e alla fine il pasticcio con Mittal fu inevitabile. “Sul Mes invece abbiamo tenuto noi la linea, ed è stato un bene”, dice Gianluca Benamati, deputato del Pd che proprio non ce la fa a non sbuffare di fronte all’ennesima trovata del ministro Fioramonti che vorrebbe una “riconversione totale” dell’Eni. “Ad assecondare certe trovate, si fa troppa fatica. E’ arrivato il momento di dire quali sono le soglie che il Pd non è disposto a varcare. Se si sta al governo, tutti devono assumersene la responsabilità”. E qui sta il punto: stare al governo. Anzi, “essere il governo”, come ha detto perfino Beppe Grillo ad alcuni senatori nelle ore tribolate di mercoledì sera. “Dobbiamo esserne più orgogliosi”, ha suggerito il comico genovese, sapendo bene che però Di Maio quell’orgoglio al momento proprio non riesce a mostrarlo, e continua anzi a scimmiottare i toni sovranisti del grilloleghismo che fu. Salvo poi puntualmente giustificarsi per la sua incapacità di richiamare all’ordine la truppa (“Non reggo i miei”: ormai un ritornello), ed eclissarsi nel momento delle decisioni irrevocabili.

 

Ed è insomma in questo marasma, dove il partito più in subbuglio, forte dei suoi numeri parlamentari, continua a condizionare la legislatura, che in mattinata i deputati del Pd, riuniti in assemblea, sbottano. Il più critico, contravvenendo alla flemma che lo contraddistingue, è Piero Fassino: “Ci facciamo dettare l’agenda perché questa segreteria non dà una linea politica chiara”. E non essendoci quella politica, figurarsi quella economica. Si spiega allora la durezza con cui Pier Carlo Padoan giudica il disorientamento del Pd sulla legge di Bilancio: “Meglio sarebbe stato limitarci a disinnescare le clausole Iva, magari neppure tutte, ed evitare d’impantanarci”. Ma non c’è solo Zingaretti, impalpabile almeno quanto Di Maio in queste settimane, al centro delle critiche dei dem. C’è anche l’altro fronte del malcontento e ad aprirlo ci pensa Graziano Delrio. “Se Conte è premier imparziale, allora non può venire meno agli accordi che prende con noi. Se ci dà delle garanzie sulla manovra, poi non può rimangiarsele sostenendo in pieno le tesi di Italia viva su plastic e sugar tax”, scandisce il capogruppo. “Avevamo detto di voler essere i suoi pretoriani – va giù più duro Enrico Borghi – ma non possiamo diventare i suoi sguatteri. Né Conte può illudersi che il Pd diventi l’Avis e continui a donare sangue in eterno”.

 

La prova del fuoco arriverà presto: perché a gennaio l’agenda del governo andrà rinnovata, e si dovranno trovare delle soluzioni anche su Ilva e Alitalia. “L’esecutivo deve scegliere una direzione di marcia precisa, se vuole uscire dal limbo. Per me, la migliore è quella che punta a provvedimenti marcatamente riformisti, che è anche l’unica per attrarre nuovi parlamentari da altri gruppi”, dice il capogruppo del Pd Andrea Marcucci. E lo dice proprio mentre pochi metri più in là, in un corridoio di Palazzo Madama, Paolo Romani catechizza un manipolo di senatori pronti a seguirlo nel nuovo gruppo di moderati: “Salvare il governo? Ma va, di andare a casa questa maggioranza non ha alcuna intenzione, e meno di tutti ne ha Conte: quando gli ricapita? Noi restiamo nel campo del centrodestra”, assicura. E però all’occorrenza, è stato già fatto sapere a ministri grillini e democratici, il sostegno arriverà. Se servirà per arginare il grillismo, nessuno si scandalizzerà.