Giuseppe Conte (foto LaPresse)

Il Pd scommette sull'opa di Conte sul M5s per blindare il governo

Valerio Valentini

I complimenti di Zingaretti al premier rafforzano un po’ il pericolante equilibrio su cui si regge l'esecutivo

Roma. Legge le dichiarazioni di Nicola Zingaretti, quei complimenti così definitivi su Giuseppe Conte, e scuote il capo. “Si ripete una storia antica: l’incoronazione del podestà forestiero”, dice Teresa Bellanova. “Evidentemente il segretario del Pd – prosegue la ministra renziana dell’Agricoltura – non pensa né di sé né degli altri dirigenti del suo partito quello che pensa del presidente Conte. Ha trovato il suo papa straniero”. E chissà se davvero Zingaretti offrirà le chiavi del Nazareno al premier che un tempo era sovranista, e ora viene rivalutato come “un punto fortissimo di riferimento delle forze progressiste”.

 

Quel che è certo è che, come primo effetto, questa attestazione di stima rafforza un po’ il pericolante equilibrio su cui si regge il governo: “E’ un dono natalizio, un contributo di Zingaretti alla stabilità”, dice Pier Ferdinando Casini. E però oltre all’ansia di evitare il precipitare degli eventi, forse la glorificazione di Conte serve anche ad attrezzarsi nell’eventualità in cui alla crisi ci si arrivi lo stesso: lo si capisce dal balsamo che sempre più spesso versa nelle orecchie del premier, in privato, Dario Franceschini, ma anche dallo zelo con cui Massimo D’Alema dispensa, con cadenza settimanale, suggerimenti al premier. E perfino a Gianni Letta vengono ultimamente sentite pronunciare parole d’elogio all’indirizzo di Conte, “una personalità in grado di fare sintesi tra posizioni diverse”. Insomma, c’è tutta un’ansia di legittimare le ambizioni da leader dell’“avvocato del popolo”. Ambizioni che, confessa Francesco Boccia, “secondo me sono giuste”, così com’è “corretta” la strategia di Zingaretti: “Si stabilizza la possibile nuova coalizione – dice il ministro dem – e si traccia una rotta chiara su cosa vorrebbe il Pd per il futuro. E a quel punto il pallino è nelle mani dei 5 stelle”.

 

Ma se deve essere un un avviso ai naviganti, pare che sia già stato recepito. Basta ascoltare la inconsueta serenità di Giorgio Trizzino per capire che il clima bellicoso di qualche settimana fa è venuto meno: “Fare una scissione ora?”, si chiede, ironico, il deputato palermitano postosi a capo dell’autoprocalamatasi corrente dei “contiani”. “Non l’ho fatto quando Di Maio sembrava poco intenzionato a sostenere questo governo, e dovrei farlo che la prospettiva di un esecutivo di legislatura è quanto mai concreta?”. E in questo, certo, anche la visita romana di Beppe Grillo è servita. “Diciamocelo con franchezza”, spiega Paolo Lattanzio, sospettato a lungo, pure lui, di voler fomentare la dissidenza interna. “Grillo ha delineato chiaramente i contorni di una piattaforma programmatica di centrosinistra in cui Pd e M5s diventeranno alleati”.

 

Si vedrà se anche Di Maio concorderà fino in fondo: ma di certo quella segreteria politica appena varata fungerebbe, in caso di colpi di testa del capo, da cintura di sicurezza, se è vero che il “team del futuro” è composto da persone che, almeno per ora, sono tutti sostanzialmente concordi (a parte, forse, l’ondivago Ignazio Corrao) sulla necessità di proseguire insieme al Pd con un accordo di legislatura. “Vedrete che non sarà solo un orpello”, aveva garantito Di Maio ai suoi “facilitatori”: e infatti oggi li incontrerà tutti e 18, per un pranzo e una riunione operativa, in un hotel di Roma. Ma che non sia lui – o che non lo sia più, quantomeno – a voler intralciare la marcia del governo, lo dimostra anche il fatto che ieri lo stesso Di Maio si sia lamentato con alcuni dei suoi parlamentari per una frase critica pronunciata al suo indirizzo dal renziano Davide Faraone. Come a dire: “Vedete che non è mia, la colpa?”. E forse è anche per questo perenne stato di tensione, se l’idea di innescare una crisi a gennaio sperando di trovare un assetto migliore appare oggi un azzardo. “Ed è così che Conte – conviene il grillino Lattanzio – è la chiave di volta dell’arco che tiene insieme Zingaretti e Di Maio”. Blindare lui, per garantirsi tutti. Forse il partito di Conte non c’è neppure bisogno che nasca: esiste già.

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