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Elogio malandrino di un improbabile e improvviso uomo di stato: Luigi Di Maio

Giuliano Ferrara

Il fascino indiscreto del bibitaro di lotta e di potere, che si sta piano piano redimendo

Giggino Di Maio mi annoia, non lo guardo, non lo leggo, non lo seguo tranne che per l’essenziale, ho condiviso stupore e stordimento per il suo successo, ira per il governo del contratto, per il reddito di pigranza, e sempre l’ho considerato con un non commendevole ma sentito sussiego, il bibitaro, il capo politico addirittura, il baro del sistema Rousseau, quello che ha estorto al padre un autodafé sull’abusivismo utile alla sua reputazione, quello che su casta e privilegi ha detto e ha fatto più scemenze che parole. Ora tipi alla Paragone, quello sfuggito alla Gabbia della Lega per entrare comodo nella Gabbia dei 5 stelle, gliel’hanno giurata, vogliono la sua testa, gli votano contro, escono dal gruppazzo e vanno con il molto reverendo senatore Salvini. E io, che ci posso fare?, comincio a considerare l’onorevole Di Maio, il signor ministro, il capo politico addirittura, qualcosa di molto simile a un uomo di stato.

 

D’altra parte chi ha votato la von der Leyen? Di Maio. Chi aveva accettato la scelta della lobby del Quirinale per Palazzo Chigi, il famoso Giuseppi Conte, controfigura efficace di Tina Pica e il più autorevole dei trasformisti? Di Maio. Chi è stato umiliato dal superbullo truce quando era il Truce per contratto? Di Maio. Chi ha rifiutato le lusinghe diaboliche del senatore Salvini, che lo voleva a Palazzo Chigi a capo di un governo nelle proprie mani, prima di svoltare a calci nel sedere verso la leadership improbabile di un centrodestra improbabile? Di Maio. Chi alla fine ha accettato la Tav, l’Ilva e altre cose sensate? Di Maio. Chi ha portato il partito rappresentato al 32 per cento alle Camere alla piroetta che ci ha liberato dell’angoscioso uomo del Papeete? Di Maio.

 

Capite che un malandro come me, infervorato nella stagione in cui al posto del voto subito pro nazi-pop, coronamento di un anno bellissimo, si è messo un Gobierno di legislatura, con lo stesso cappello lobbista e con un programma minimo fatto di stracci e paillettes, un esecutivo capace di durare tre anni bellissimi, non può ormai non arrendersi al fascino indiscreto del bibitaro di lotta e di potere, installato con il suo superstaff alla Farnesina dove danni maggiori di molti predecessori non dovrebbe farne, anche se tutto è sempre possibile. Certo è uggioso questo dover svolazzare, questo inseguire sempre i tweet della Cesaretti e di @guidotweet, e tanti articoli maligni e gagliardi anche nel nostro Fogliuzzo, per fedeltà ovvia ma senza però condividerli fino in fondo.

 

Non sono io che ho cambiato opinione, cosa che faccio quando e quanto mi pare, è lui, Giggino, che si sta piano piano redimendo. Anzi, lo stanno salvando ai miei occhi quegli opportunisti e biechissimi grillozzi che non danno retta al guru e, come dice lui, rompono i coglioni per mettere i bastoni tra le ruote a un uomo di stato così incredibile, così occasionale, così impalatabile che purtuttavia contribuisce a realizzare i sogni politici miei e delle persone a modino che credono con un’intensità quasi religiosa, e molta devozione, in una legislatura, che poi chissà, ma la fede è la fede, capace di liquidare il mojito che è in lui, il mojito che è in noi e il Martini che è in me.

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  • Giuliano Ferrara Fondatore
  • "Ferrara, Giuliano. Nato a Roma il 7 gennaio del ’52 da genitori iscritti al partito comunista dal ’42, partigiani combattenti senza orgogli luciferini né retoriche combattentistiche. Famiglia di tradizioni liberali per parte di padre, il nonno Mario era un noto avvocato e pubblicista (editorialista del Mondo di Mario Pannunzio e del Corriere della Sera) che difese gli antifascisti davanti al Tribunale Speciale per la sicurezza dello Stato.