Luigi Di Maio (foto LaPresse)

Hanno lasciato solo Di Maio

Valerio Valentini

I grillini abbandonano il leader nella sua sfida disperata al Pd. Contestata anche la Casaleggio

Roma. La risposta definitiva, che ha liquidato tre ore di accanita discussione, è arrivata alle nove di sera di mercoledì: “Se vedeste i numeri dei like, capireste che le cose vanno bene”. E’ stato così che Pietro Dettori, ex dipendente della Casaleggio, socio di Rousseau, ha troncato la protesta di una dozzina di deputati del M5s, quasi tutti capigruppo di commissione, che contestavano la linea comunicativa, sui social e in tv, ormai in voga. I toni sempre più urlati, la grafica che scimmiotta la Bestia salviniana, i contenuti sovranisti ormai inadatti al nuovo governo. “Noi ci vergogniamo di quello che dite e di come lo dite, ci vergogniamo anche di condividere certi post”. Ma Dettori, tetragono: “Va bene così”, ha risposto, trovandosi poi a dover spiegare perché lui, che è consigliere del ministro degli Esteri Di Maio, controlli la macchina comunicativa. “Siamo in fase di riorganizzazione”, s’è giustificato.

 

E insomma già dalla vigilia si capiva che il dies alliensis del capo politico del M5s era imminente. “Anche perché puoi anche guadagnare like, ma se perdi voti e cali nei sondaggi, che senso ha?”, allarga le braccia Cristian Romaniello. Solo che Di Maio ancora non lo sa che questo giovedì d’inizio dicembre sarà quello in cui i suoi parlamentari, perfino i suoi colleghi ministri, “lo rimarranno solo”, quando fa vergare di prima mattina una nota anonima per chiedere “lealtà al Pd” sulla prescrizione, e chiudere finalmente “l’èra Berlusconi”. Una nota uscita peraltro già ammorbidita, dopo un lavorio d’interdizione da parte del Guardasigilli Alfonso Bonafede, che muovendosi d’intesa con Giuseppe Conte prova a svelenire ulteriormente il clima: “Nessuno vuole fare cadere questo governo”. Di certo non lo vogliono i deputati e i senatori del M5s, che forse per la prima volta non ci provano neppure a dissimulare l’insofferenza verso questo stillicidio autolesionista di continui rilanci. “Spero lo sappia anche Luigi che se andiamo a votare, sai che tranvata che prendiamo?”, scuote il capo Davide Tripiedi. “E poi non converrebbe manco a Casaleggio”, prova a sorridere, scherzando chissà fino a che punto, Alessandro Amitrano: “Rieleggere un terzo dei parlamentari, se tutto va bene, ridurrebbe di molto gli introiti per Rousseau”. Ed è così che anche quello che si credeva fosse stato un involontario autogoal si dimostra essere stato un deliberato atto di sabotaggio interno: perché l’audizione di Catello Maresca alla Camera, pm impegnato nella lotta alla Camorra che giorni fa ha tuonato contro la sospensione della prescrizione davanti alla commissione Giustizia, è stata richiesta dal grillino Gianfranco Di Sarno proprio per evidenziare le criticità della riforma Bonafede. Né va meglio al Senato. E così, a ora di pranzo, mentre l’infaticabile ufficio comunicazione del M5s di Montecitorio organizza una sessione di allenamento per preparare i deputati alle dirette televisive proprio sulla prescrizione, a Palazzo Madama Mattia Crucioli, avvocato ligure e vicepresidente della commissione Giustizia, predica cautela: “Sventolare slogan nel gioco a rialzo non serve a niente, e anzi si rischia solo di creare degli incidenti. Invece noi, coi colleghi della maggioranza, stiamo già lavorando sul merito delle correzioni da apportare, perché obiettivamente le obiezioni sul rischio di un processo infinito, per come stanno ora le cosa, sono corrette”. E quindi? “E quindi – prosegue Crucioli – si può pensare a introdurre anche nel processo penale l’istanza di prelievo, così da garantire tempi rapidi a chi chiede un giudizio d’appello essendo convinto della propria innocenza”. Ma non c’è solo la prescrizione. “C’è che la fiducia al governo la danno i parlamentari, e quindi spetta a loro decidere le sorti della legislatura”, dice il senatore Stefano Lucidi col tono di chi vuole lanciare un segnale al capo politico. Ha invece il tono di chi sembra già sapere la piega che prenderanno gli eventi il ministro per i Rapporti col Parlamento Federico D’Incà quando, entrando a Palazzo Madama, sorride sornione: “Ma vedrete che il clima si rasserenerà”. E infatti dovranno passare ancora un paio d’ore, prima che Di Maio faccia marcia indietro: “Ogni buona proposta del Pd è ben accetta”.

 

Nessuno strappo sul Mes

E’ così che anche sulla riforma del Mes i toni bellicosi vengono nel frattempo deposti. “Ma quale strappo?”, aggrotta la fronte Filippo Scerra, coinvolto nelle riunioni sul tema di queste ore. “Se sei in maggioranza, non esiste che presenti una risoluzione da solo”. E infatti Laura Agea, sottosegretario agli Affari europei cui è demandato il compito di tranquillizzare i parlamentari, al termine di una riunione diffonde tranquillità: “Abbiamo parlato e ci siamo confrontati. Avere ottenuto un rinvio è già un primo buon risultato. Ora valutiamo la possibilità di introdurre alcune modifiche, e poi scriveremo insieme al resto della maggioranza una risoluzione in vista di mercoledì prossimo”. E d’altronde il tema è politico, prima ancora che tecnico. “Dovevamo disinnescare subito la propaganda di Salvini”, sbotta Antonio Zennaro, parlando col collega della commissione Bilancio Raphael Raduzzi, irremovibile dalla sua contrarietà al Mes e alla sua riforma. “Dovevamo subito dire che Salvini è per il No al Mes perché è per il No all’euro. Dovevamo dirgli: ‘Ma come? Vuoi entrare nel Ppe, vuoi Draghi al Quirinale, e poi fai la guerra al Mes’. Questo dovevamo fare”. E invece? “E invece – interviene anche Gianluca Vacca, ex sottosegretario nel governo gialloverde – siamo caduti nella trappola mediatica di Salvini, ci siamo fatti dettare l’agenda”.

 

Compromesso sul capogruppo alla Camera

Segnali di uno scollamento ormai forse irreversibile tra il capo e la sua truppa. Se ne deve essere accorto anche Vincenzo Spadafora, il ministro che più d’ogni altro ha tessuto la tela giallorossa, quando s’è visto intercettare nell’Aula di Montecitorio, mercoledì, da una pattuglia di deputati: “Vincenzo, qui ormai è il caos”. E in questo caos, Di Maio sembra perdere qualsiasi capacità d’imporsi. Lo dimostra anche il compromesso che si sta raggiungendo per fare sì che la votazione di martedì prossimo, la quinta in quasi tre mesi di travaglio inconcludente, sia finalmente l’ultima. L’accordo prevede una candidatura unitaria, con la significativa retrocessione di Francesco Silvestri, il candidato sostenuto da Di Maio, al ruolo di tesoriere, mentre il capogruppo lo farebbe Davide Crippa, ex viceministro dello Sviluppo, con Raffaele Trano o Riccardo Ricciardi come vice.

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