Luigi Di Maio (foto LaPresse)

Denunciare il bluff di Di Maio

Giuliano Ferrara

Bisogna comunicare al capo politico del M5s, pubblicamente, che o lui si associa alla ricerca di una soluzione concordata con gli europei oppure il governo è finito e tutti a casa. E’ ora di reagire alla trasformazione della maggioranza in un talk-show nazipop

Quello di Di Maio è un bluff. Non ha le carte, ma gioca per il piatto fingendo con una gran puntata. Bisogna vedere il bluff, come sempre con qualche rischio, ma i rischi di lasciargli vincere la mano sono assai maggiori. La politica non è una mano di poker, d’accordo, ma fino a un certo punto. Sta di fatto che Di Maio sarebbe devastato, ruinato, da elezioni anticipate. Fare una campagna antieuropea in competizione con Salvini non lo salverebbe da un declino del suo gruppo e personale e da una sconfitta, che al massimo condividerebbe, magra consolazione, con il Pd e con il non più amato Conte. Insomma, le carte non ci sono, il punto non c’è. Tuttavia, incastrato dalla crisi politica grillina, quello è il suo rilancio.

 

Conte e Gualtieri sono alla ricerca di un compromesso e di tempo. Niente da obiettare in linea di principio. Un governo trasformista per molti versi utile a impedire per un certo periodo il ritorno in forze di un senatore Salvini non normalizzato si salva anche così. Ma più passano i giorni e le settimane e i mesi più il bluff di Di Maio diventa irrimediabile: perderebbe la faccia a confessarlo, e gliene verrebbe forse un rischio anche maggiore, se possibile, di una rottura e di elezioni anticipate. Non c’è e non ci sarà una convergenza strategica tra grillini e Pd, eppure l’equilibrio di una maggioranza di legislatura che fa alcune cose, in regime di compromesso, scricchiola pericolosamente ma non è ancora spezzato. Lasciare che il bluff vada avanti, sia proclamato e ribadito, è la soluzione peggiore. Bisogna comunicare a Di Maio, pubblicamente, che o lui si associa alla ricerca di una soluzione concordata con gli europei oppure il governo è finito e tutti a casa. Il compromesso sui tempi di realizzazione con validazione collettiva del Mes, per quanto ne siano esigui i margini, è il salvagente del governo: senza quello, il governo non c’è più, e il ministro degli Esteri deve saperlo, glielo si deve dire a brutto muso.

 

Questo per la mano di poker. Per la questione nella sua sostanza, inutile stare tanto a sottilizzare e mettere in campo i dettagli tecnici, che pure sono importanti. La faccenda è chiara e va spiegata, come hanno fatto anche economisti e osservatori seri, per quello che è. Altrimenti il risultato è che il senatore Salvini sbandiera un complotto tecnocratico franco-tedesco, per quanto l’ipotesi sia ridicola, e un tradimento degli interessi nazionali, e lo fa con il suo solito stile greve e diretto, mentre la sua controparte politica si impegola in una manovra che sa di finzione, di elusione, di tecnicismo e di insincerità politica. Si rimprovera a Salvini: tu sapevi. Cosa che nel nostro regime comunicativo ha un valore pari a zero, quando lo sbandieramento è comunque iniziato. Poi si dice che bisogna prendere tempo, cosa vera e utile, ma che diventa appunto, se non si afferma a chiare lettere la verità sostanziale, un modo per aggirare la questione, oltre tutto essendo divisi nella maggioranza e nel governo. Il Pd in questa situazione, non avendo contrattato il nuovo Mes perché non era nel governo gialloverde, fa figura di un partito che mette toppe ai buchi fatti dagli altri, mentre gli altri glieli allargano surrettiziamente con una campagna a sbafo.

 

La verità è l’unica cosa che convince. Abbiamo un debito sostenibile ma molto alto, abnorme, e prospettive di riduzione esili. Anzi, il governo gialloverde aveva creato l’allarme, sia nei mercati finanziari sia tra i partner europei, per le sue scelte di spesa dissennate e i suoi argomenti demagogici di tipo antieuro. La nuova configurazione del Mes nasce di qui, questa è anche la sua tempistica, la sua ragione, come ha detto Alessandro Penati. E il passato governo Conte aveva dato il suo assenso per le stesse ragioni per cui la AfD e altri sono ostili alla mutualizzazione del debito, almeno parziale, che è il contenuto vero della riforma del Mes, e con garanzie minime sulle quali ci sia un accordo di tutti.

 

Insomma, le chiacchiere stanno a zero: l’Italia non ha alcun bisogno oggi di essere salvata da una crisi finanziaria da debito, eppure in una circostanza di quel genere, che non si può nemmeno escludere, è ovvio che per le banche, per obbligazioni e titoli, per il sistema finanziario italiano sarebbe necessario fornire delle garanzie in più, concordate in anticipo come regole comuni e strettamente relative alla potenza del debito contratto. Questo è un modo per evitare che tutto sia deciso nei mercati finanziari, in modo selvaggio, riconducendo la faccenda a regole certe, che certo devono prevedere un’attenzione speciale a chi è maggiormente in sofferenza. Il che è nell’interesse nazionale e sovrano di un paese membro di un’Unione monetaria e di un potere di interlocuzione e decisione intergovernativo di primissimo rango. Cercare tempo e migliorare qualche dettaglio è opportuno. Ma chi si azzarda a sostenere che bisogna rovesciare il tavolo, e lo fa per trasformare in un talk-show nazipop il conflitto politico tornando alla vocazione antieuropea, non può avere come sponda nella maggioranza e nel governo un leader che bluffa pesantemente come Di Maio.

  • Giuliano Ferrara Fondatore
  • "Ferrara, Giuliano. Nato a Roma il 7 gennaio del ’52 da genitori iscritti al partito comunista dal ’42, partigiani combattenti senza orgogli luciferini né retoriche combattentistiche. Famiglia di tradizioni liberali per parte di padre, il nonno Mario era un noto avvocato e pubblicista (editorialista del Mondo di Mario Pannunzio e del Corriere della Sera) che difese gli antifascisti davanti al Tribunale Speciale per la sicurezza dello Stato.