Informativa del presidente del Consiglio Giuseppe Conte sulle modifiche al Mes (foto LaPresse)

L'avv. Conte ha ragione ma sbaglia difesa. “Traditore” è chi vuole uscire dall'euro

Luciano Capone

Il premier in Parlamento dimostra la sua innocenza, assumendo il ruolo d’imputato che Salvini e Meloni hanno scelto per lui

Roma. Tutti, nel governo e nella maggioranza, sapevano tutto: “Né da parte mia né da parte di alcun membro del governo si è proceduto alla firma del trattato. Niente è stato condotto segretamente né firmato nottetempo”, dice Giuseppe Conte nella sua informativa alla Camera sul Mes. Conte e Tria hanno sempre informato il resto dell’esecutivo e il Parlamento dei passaggi della trattativa sulla riforma del Mes, senza prendere alcun impegno: “Nel Consiglio dei ministri del 27 febbraio 2019 è stata presentata e illustrata nel dettaglio la ‘Relazione consuntiva sulla partecipazione dell’Italia all’Ue’ – dice Conte, seduto tra un imbarazzato Luigi Di Maio e il ministro dell’Economia Gualtieri che annuisce – e nel corso di questa seduta il Cdm ha preso atto, all’unanimità, di questo passaggio e nessuno dei ministri presenti, compresi quelli della Lega, ha mosso obiezioni” prosegue Conte, elencando tutte le discussioni parlamentari e governative sul tema.

 

Su questi punti, come peraltro ha scritto il Foglio, il premier dice il vero. Il suo discorso, quindi, è tecnicamente corretto. Ma è politicamente sbagliato. Perché la discussione sulla riforma del Meccanismo europeo di stabilità parte da un presupposto: Matteo Salvini e Giorgia Meloni accusano Conte di “alto tradimento”. E il premier – è questo il grave errore politico – imposta la sua risposta sulla correttezza procedurale del suo operato, come a dimostrare la sua “innocenza”. Sceglie, cioè, di mettersi in un ruolo, quello dell’imputato, scelto dai suoi avversari, quasi che le accuse di “tradimento” abbiano fondamento. E invece Conte, quell’accusa, avrebbe dovuto ribaltarla su Salvini e sul gruppo no euro che guida la Lega. 

 

Perché è proprio questo il paradosso: chi si scaglia contro la riforma del Mes perché potrebbe “portare a una ristrutturazione del debito” si batte da anni, in maniera più o meno limpida, proprio per quell’obiettivo. Ma nella forma più devastante possibile per il paese: l’uscita dall’euro. La ridenominazione del debito pubblico, ovvero pagare il debito contratto in euro con una nuova moneta svalutata, non è altro che una ristrutturazione del debito che però porterebbe con sé ulteriori conseguenze nefaste, in uno scenario catastrofico del tutto imprevedibile. 

 

La differenza ulteriore è che nell’attuale quadro istituzionale europeo la ristrutturazione del debito resta uno scenario da evitare, che dipende in prima istanza dalla volontà dell’Italia di ridurre la propria esposizione e il proprio rischio. Se, in ogni caso, a causa di una crisi l’Italia dovesse chiedere assistenza al Mes, la ristrutturazione non sarebbe automatica, ma dipenderebbe da una valutazione sulla sua sostenibilità che in ultima istanza dipende dal giudizio della Commissione europea. Per i cinque paesi che hanno chiesto e ottenuto assistenza dal Mes (Spagna, Portogallo, Irlanda e Cipro) solo a uno, la Grecia, è stato chiesto un haircut sul debito. Inoltre, se le difficoltà macroeconomiche dovessero essere particolarmente gravi, dopo aver firmato un memorandum con il Mes, l’Italia – o qualunque altro paese – potrebbe contare anche sull’acquisto diretto di titoli di stato da parte della Bce attraverso le Omt. Questa è la rete di protezione europea, quella forma di mutua assicurazione che ci proteggerebbe in caso di improbabili (ma possibili) crisi future e che già adesso ci sostiene tenendo più bassi i tassi di interesse e gli spread con la Germania.

 

Qual è l’alternativa a questa costruzione ancora incompleta (mancano l’unione bancaria, l’assicurazione sui depositi e un safe asset) proposta dalla Lega di Salvini, Borghi e Bagnai? Senza il Mes – i leghisti sono contrari alla sua istituzione, non solo alla sua leggera riforma – non esistono cavalieri bianchi che offrono aiuti incondizionati. Ma solo tre possibilità: pagano i contribuenti (patrimoniale), pagano i creditori (ristrutturazione), si chiede aiuto al Fmi (che non offre condizioni migliori del Mes, anzi). Ma la realtà è che la Lega non vuole un’altra rete di protezione. E il sospetto che qualcuno nella Lega voglia evitare deliberatamente una ristrutturazione del debito attraverso l’uscita dall’euro è molto forte. E’ questa, in fondo, la piattaforma che ha approvato nel suo ultimo congresso, è questo ciò che ha scritto nel suo programma elettorale, è questo ciò che ha costantemente cercato in numerosi atti propedeutici all’Eurexit: la cancellazione del debito in pancia alla Bce, i Piani B, le leggi sull’oro della Banca d’Italia, i minibot e ora la guerra contro il Mes. Invece di difendersi, Conte avrebbe dovuto ribaltare l’accusa di “tradimento” sui suoi accusatori ed ex alleati leghisti.

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  • Luciano Capone
  • Cresciuto in Irpinia, a Savignano. Studi a Milano, Università Cattolica. Liberista per formazione, giornalista per deformazione. Al Foglio prima come lettore, poi collaboratore, infine redattore. Mi occupo principalmente di economia, ma anche di politica, inchieste, cultura, varie ed eventuali