Giuseppe Conte e Luigi Di Maio (foto LaPresse)

D'Incà frena i grillini sul Mes: “Se cade il governo torniamo alla vita di prima”

Valerio Valentini

Anche Di Maio non ha poi questa gran voglia di rischiare il tracollo elettorale

Roma. Che il metodo funzionasse, raccontano, lo ha capito a metà agosto, quando era ancora solo questore di Montecitorio. In quei giorni di frenetici negoziati, in un Parlamento chiuso e però assai frequentato, Federico D’Incà ha sperimentato quanto la paura fosse utile, come arma di persuasione. Li prendeva a sparuti drappelli, i suoi colleghi deputati e senatori del M5s perplessi sull’opportunità di allestire un nuovo governo col Pd, e li fulminava con la domanda: “E tu, in quale collegio sei stato eletto?”. Al che quelli citavano i loro trionfi del 4 marzo, e lui, secco, li inchiodava alla realtà di sondaggi impietosi: “Di voi quattro, se andassimo a votare, forse ne tornerebbe qui uno solo”. E gli scettici si convincevano. Lo ha replicato la scorsa settimana, l’esperimento, nelle sue nuove vesti di ministro per i Rapporti col Parlamento. Ed è riuscito di nuovo. Perché, quando il deputato Alvise Maniero voleva presentare una mozione che chiedesse il rinvio dell’approvazione della riforma del Mes, D’Incà lo ha placcato in Aula: “Vuoi far cadere il governo?”. E la stessa domanda l’ha poi rivolta a Luigi Di Maio, contattato a telefono: “Il capo sei tu: decidi. Ma se presentiamo questa mozione, non garantisco su quel che accade”. E pure Di Maio s’è convinto: ha telefonato a Maniero e gli ha imposto il dietrofront.

 

 

A dimostrazione che, in fondo, anche il bellicoso capo politico del M5s – comunque convinto, secondo i bene informati, che alla fine Giuseppe Conte appoggerà la proposta di un rinvio sul fondo “salva stati” – non ha poi questa gran voglia di rischiare il tracollo elettorale. “Se davvero sul Mes Di Maio pensa di far saltare tutto, dovrà passare sui corpi di molti di noi”, dice categorico Giorgio Trizzino, il più contiano dei deputati grillini, mentre in Transatlantico si diffondo le voci di certe telefonate che, dai piani alti della Farnesina, arrivavano nelle redazioni di alcuni giornali a paventare una crisi imminente, “perché sul fondo ‘salva stati’ non torniamo indietro”. Minacce che, anche al Senato, vengono accolte con un’alzata di sopracciglio. “Ma quando mai? Sarà una risoluzione di maggioranza innocua”, arriva a dire perfino un bastian contrario come Mario Giarrusso, confermando che “sì, se qualcuno facesse una fuga in avanti, scatterebbe il liberi tutti”. Del resto, la preparazione di Di Maio sul dossier del Mes, i parlamentari grillini l’hanno toccata con mano durante l’assemblea di giovedì scorso, quando il ministro degli Esteri ha confessato di non essere molto ferrato, sul Mes, lasciando che a esporne le criticità, vere o presunte, fossero i deputati Raduzzi e Maniero. Gli stessi da cui, giorni prima, s’era fatto accompagnare nella riunione ristretta col ministro dell’Economia Roberto Gualtieri.

 

 

Ma non c’è solo il Mes. “Il punto è che, su alcune questioni, non ci si può fermare alle considerazioni di merito. Se una decisione ha ricadute sull’intera maggioranza, è chiaro che bisogna condividerla con chi sta al governo con te”, dice Luca Carabetta su un divanetto del Transatlantico. E lo dice mentre, guarda caso, il solito D’Incà sta provando a ricomporre l’ennesima frattura giallorossa. C’è in ballo la richiesta d’urgenza del forzista Enrico Costa su una proposta di legge che disinnesca lo stop alla prescrizione grillino. “Facciamo così: ritiriamo la richiesta, e calendarizziamo la proposta in Aula”, tenta di mediare D’Incà. Se non fosse che Alfonso Bonafede, via telefono, s’oppone: “Macché, votiamo”. E a quel punto i renziani s’astengono (“Serviva a dare un segnale ai grillini”, sbotterà poi Roberto Giachetti), e il Pd vota insieme al M5s per bocciare la richiesta d’urgenza. E sì che proprio la prescrizione, insieme al Mes, erano stati indicati da Dario Franceschini, giorni fa, come “temi non negoziabili”, nella contrattazione perpetua con Di Maio. “Il Pd non può temere il voto anticipato”, gli era andato dietro Luca Lotti. Il giorno che i democratici lo capiscono davvero, che coi grillini l’unica moral suasion efficace è quella che fa leva sul terrore di tornare a casa, forse l’Italia si libererà dal ricatto a cinque stelle.

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