Matteo Renzi (foto LaPresse)

C'è chi dice di temere che Renzi rompa, ma in realtà tifa perché accada

Valerio Valentini

Raccolte le firme per il referendum, il tentativo di spallata di Salvini (che s’è preso FI) e i dedali sotterranei che lo portano a Iv

Roma. La vulgata leghista di Palazzo Madama dice che Roberto Calderoli gliele avesse promesse come regalo di compleanno, a Giancarlo Giorgetti. E invece le firme mancanti per arrivare a quota 64, e potere indire il referendum contro il taglio dei parlamentari, sono arrivate con due giorni di ritardo. “Ma la pressione leghista è stata notevole, in queste ultime ore”, conferma Andrea Cangini, senatore azzurro di area moderata che ha guidato l’operazione. La cinghia di trasmissione è stata la solita: i salviniani hanno sollecitato Licia Ronzulli, la quale a sua volta ha perorato la causa presso la capogruppo Anna Maria Bernini. “Ma anche a Renzi non dispiace, la cosa. E infatti all’inizio mi scriveva per fermare la raccolta delle adesioni, poi – racconta Cangini – deve essersi ricreduto, visto che non mi ha più contattato”.

 

E allora eccolo, il presunto disegno che, nell’ottica dei più timorosi esegeti del pensiero renziano, si compie: “I due Matteo che hanno messo nel mirino Giuseppe Conte”, argomentava due giorni fa il ministro grillino Federico D’Incà, che del premier è uno dei pretoriani. Del resto, gli ammiccamenti tra il leader della Lega e quello di Italia viva sembravano evidenti a tutti: un incontro romano (e non nella villa fiorentina di Denis Verdini) di cui tanto si vocifera tra i corridoi del Senato, i contatti tra i due sulle legge elettorale, l’ansia con cui i renziani hanno raccolto l’invito – avanzato, poi ridefinito, quindi ritrattato e infine rilanciato – leghista al dialogo trasversale, un preludio di governissimo. “Una mossa, quella di aprire al tavolo delle riforme condivise, troppo lungimirante per essere stata pensata da Salvini, e la cui paternità va evidentemente attribuita a Giorgetti”, argomentava coi suoi commensali romani, martedì, Massimo D’Alema, proprio nel mentre che, pure loro nel centro della Capitale ma in un altro locale, il leader della Lega e il suo stratega mangiavano insieme. “Una mossa che coglie nel segno, però, perché Renzi sarebbe capacissimo di rompere in una situazione del genere”, proseguiva D’Alema. E insomma anche lui era tra quelli che, fingendo di paventarla, in verità la manovra spericolata del fu Rottamatore la vagheggiano, la auspicano come si auspica l’ennesima capriola dell’equilibrista spericolato, quella che probabilmente lo porterebbe a cadere e rompersi definitivamente l’osso del collo.

 

Ma ovviamente più dei grillini, e più ancora dei suoi storici nemici di sinistra, a sperarlo più di tutti, che Renzi ceda alla tentazione, sono i leghisti. E in particolare Giorgetti. Il quale, la sua proposta di soccorso verde al governo, l’ha fatta senza neppure sapere bene, dove avrebbe portato. Sapeva però che avrebbe alimentato l’entropia generale del Palazzo, nel rispetto di quella “strategia del caos” che l’ex sottosegretario alla Presidenza sta conducendo, nella speranza che è proprio nella confusione generale che l’incidente del governo diventa probabile. “Ma Matteo non ci pensa proprio”, dice Roberto Giachetti del suo Matteo, cioè Renzi, a chi gli chiede di un possibile incontro d’interessi tra l’ex premier e l’ex ministro dell’Interno su una crisi di governo in tempi rapidi, prima cioè dell’entrata in vigore del taglio dei parlamentari: perché a quel punto Renzi approfitterebbe della soglia di sbarramento del Rosatellum, che è del 3 per cento, e Salvini potrebbe interrompere quel logorio lento ma inesorabile a cui si vede condannato.

 

E certo ad alimentare la confusione concorre, appunto, anche l’indizione imminente del referendum abrogativo del taglio dei parlamentari, e le diverse interpretazioni che su quella possibile finestra elettorale si rincorrono: al punto che perfino alcuni dei firmatari, dopo aver capito che la rincorsa al referendum potrebbe destabilizzarla, la legislatura, anziché blindarla, stanno già pensando di ritirare il loro sostegno. Il tutto nell’incertezza sul parere più importante, quello del Quirinale. “Se si andasse a votare per rieleggere un Parlamento di 945 parlamentari, ma poi gli italiani si esprimessero a sostegno del taglio, il prossimo Parlamento sarebbe evidentemente delegittimato. E di questo immagino ne terrebbe conto anche il Capo dello stato”, sentenzia il ministro dello Sviluppo grillino, Stefano Patuanelli. E in questo, il giudizio coincide con quello di Renzi: “Se si andasse a votare rieleggendo 945 parlamentari, sarebbe una presa in giro degli italiani, non scherziamo”, spiega a chi lo interpella sul tema l’ex premier. E più ancora della sua dichiarazione, contano forse le perplessità dei suoi all’idea di un nuovo strappo, o di un’intesa con Salvini. Gennaro Migliore, ex Sel, alla sua idea trasalisce. Ivan Scalfarotto scuote il capo sin da quando queste voci hanno iniziato a circolare: “Già abbiamo accettato i grillini, e non è stato facile. Ma uno razzista, omofobo, amico di CasaPound e Orbán, non ce la potrei fare mai. I miei nonni si rivolterebbero nella tomba”.

 

E non a caso uno che Renzi lo conosce bene, pur non avendolo seguito in Iv, sorride sotto i baffi: “L’accordo sulle riforme condivise? Matteo – dice, sibillino, il capogruppo del Pd al Senato Andrea Marcucci – ha solo capito che il suo omologo leghista è un po’ disperato”. D’altronde, neppure i leghisti sanno davvero a cosa porterà il caos innescato tra ipotesi di governissimo e referendum abrogativi. “E finché non sarà arrivata la fine, non dovremmo dire cosa vogliamo”, ha sibilato Calderoli a chi gli chiedeva un responso. Di certo non lo dirà stamattina, quindi, quando rappresenterà la Lega nell’incontro alla Camera in cui maggioranza e opposizione discuteranno insieme di legge elettorale. Che il caos prosegua, ancora un po’.

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