(foto LaPresse)

Gli ex renziani del Pd non vedono alternative al modello Conte

David Allegranti

In un'intervista al Corriere il segretario Zingaretti ha definito il premier "un punto di riferimento di tutte le forze progressiste". Il nuovo Clinton?

Roma. Il tasso di interviste quotidiane di Nicola Zingaretti sta aumentando di settimana in settimana. E ogni settimana il tasso di creatività aumenta. L’ultima, però, non è sfuggita alla lettura attenta dei parlamentari del Pd, vagamente confusi sulla leadership del centrosinistra: “Conte si è dimostrato un buon capo di governo. Autorevole, colto e anche veloce e sagace tatticamente”, ha detto il segretario del Pd al Corriere della Sera. “Non va tirato per la giacchetta. Anche se è oggettivamente un punto fortissimo di riferimento di tutte le forze progressiste”. Una bomba. Conte come il nuovo Bill Clinton?

 

“Mi permetto di far notare però che un punto di riferimento di solito è tale perché sta fermo nello stesso posto”, dice Matteo Orfini. “Prendere come punto di riferimento qualcosa che si sposta continuamente da destra a sinistra ha un solo effetto: si sbaglia strada e ci si perde”. Anche il cronista si perde tra i dribbling dei dirigenti del Pd, che leggono le dichiarazioni di Zingaretti e preferiscono fischiettare. “Lo sa benissimo che non risponderò. Nulla da dichiarare”, dice un sottosegretario del governo, solitamente molto pugnace. Segue faccina sorridente. Allunga il passo pure Tommaso Nannicini, che cerca l’ispirazione e rimanda alla prossima volta dopo un approfondimento sul dossier. Da Base Riformista assistono sbigottiti ma preferiscono tacere: “Dovrei essere troppo severo sulle sue parole su Conte. Ed è meglio che non lo sia”, dice al Foglio un senatore di BR, che peraltro non crede al “partito di Conte”. “Non credo sia realistico. Ma il riferimento alla leadership di Conte è piuttosto un’ammissione di debolezza da parte del segretario Pd”, aggiunge il senatore di Base Riformista.

 

“L’esperienza di governo ha fatto emergere il gravissimo disorientamento che investe il Pd da molto tempo”, dice al Foglio Alessia Centioni, già candidata alle elezioni europee con il Pd e presidente di European Women Alliance. “Oggi la perdita di valori e la debolezza del partito prosciugato dai giochi di potere delle correnti è palese al punto che si sta perdendo ogni credibilità. Se il riferimento dei progressisti italiani è Conte, un signor nessuno prestato alla politica del compromesso tra Lega e M5S, credo che i progressisti non abbiamo altra scelta che guardare altrove. Dirsi di sinistra non basta se non lo sono né i metodi e né i fini dell’azione politica. Se all’opposizione il Pd era irrilevante al governo è diventato addirittura imbarazzante: il fallimento dell’ex-Ilva, il pasticcio Alitalia, il taglio dei parlamentari senza una riforma elettorale e costituzionale di ampio respiro, il silenzio assordante sull’accettazione del decreto Sicurezza e di quota cento, misura quest’ultima che peserà sulle spalle dei cittadini per i prossimi dieci anni, costituiscono, come ha ribadito ieri Carlo Calenda, il tradimento dell’identità progressista e riformista”.

 

C’è però una parte del Pd che sostiene apertamente le parole di Zingaretti su Conte: “Il presidente è persona che giorno dopo giorno guadagna la nostra stima. Riesce a mediare in situazioni che qualche volta sembrano irrecuperabili. Lo trovo paziente fino all’impossibile”, dice al Foglio la deputata Rosa Maria Di Giorgi, un tempo vicina a Renzi. “La sua cultura, la sua professione e la conoscenza della cosa pubblica”, prosegue, “sono strumenti potenti per affrontare la politica e l’esperienza di governo in questa situazione di campagna elettorale permanente. Un uomo che ci ha sorpreso. Affidabile e rispettoso, attento alle ragioni e agli argomenti degli interlocutori, disponibile all’ascolto (anche dei semplici parlamentari), mai arrogante. Riesce a fare sintesi e a valorizzare il contributo di tutti. Un gran lavoratore. E soprattutto un uomo di centrosinistra. Ho l’impressione che finalmente nel governare con noi abbia trovato la sua dimensione vera e che l’esperienza con Salvini sia per lui da considerare una parentesi chiusa per il disagio che gli ha provocato in innumerevoli occasioni”. È un bel presidente, Conte. Interloquiva sempre.

Di più su questi argomenti:
  • David Allegranti
  • David Allegranti, fiorentino, 1984. Al Foglio si occupa di politica. In redazione dal 2016. È diventato giornalista professionista al Corriere Fiorentino. Ha scritto per Vanity Fair e per Panorama. Ha lavorato in tv, a Gazebo (RaiTre) e La Gabbia (La7). Ha scritto cinque libri: Matteo Renzi, il rottamatore del Pd (2011, Vallecchi), The Boy (2014, Marsilio), Siena Brucia (2015, Laterza), Matteo Le Pen (2016, Fandango), Come si diventa leghisti (2019, Utet). Interista. Premio Ghinetti giovani 2012. Nel 2020 ha vinto il premio Biagio Agnes categoria Under 40. Su Twitter è @davidallegranti.