L'audizione del ministro Gualtieri sulla legge di Bilancio in Commissione (foto LaPresse)

Manovra di partenza

Pier Carlo Padoan

La legge di Bilancio è un buon primo passo, ma serve una strategia pluriennale per far crescere davvero l’Italia

La legge di Bilancio sta ultimando il suo iter in Parlamento. Due osservazioni generali, tra le tante, vengono in mente. La prima è che, nel complesso, la legge approvata è molto simile a quella che era entrata in Parlamento qualche settimana fa. La struttura è la stessa e le differenze riguardano misure specifiche sulle quali peraltro si è concentrato il (molto animato) dibattito. La struttura comprende, lo ricordiamo: la disattivazione degli aumenti Iva, la principale voce del bilancio, il taglio del cuneo fiscale a beneficio dei lavoratori, che sarà ampliato l’anno prossimo, oltre che altre misure di spese indifferibili. Da ricordare inoltre un insieme di misure a favore della famiglia e dei figli che pone le premesse per un’azione più estesa il prossimo anno. 

 

I saldi di finanza pubblica sono stati mantenuti e, ex post, potrebbero risultare migliori di quanto anticipato dal governo. Ciò grazie soprattutto a un miglior andamento delle entrate, in parte dovuto a ulteriori passi avanti sul fronte della lotta all’evasione. Come ha ricordato il ministro Gualtieri in audizione alla commissione Bilancio la legge di Bilancio produce una riduzione della pressione fiscale di 7 miliardi al netto dei risultati della lotta all’evasione e della sterilizzazione dell’Iva. Molte critiche e manifestazioni di insoddisfazione si sono levate contro questa legge di Bilancio. Dall’introduzione di misure di tassazione ritenute nocive o comunque sbagliate alla mancanza di una prospettiva di crescita. Sul primo aspetto due considerazioni: a) alla fine qualche “tassa” la si è dovuta alzare (come le accise e i prelievi sui giochi) per trovare coperture che mancavano, b) le tasse hanno sempre avuto la duplice funzione di contribuire alle entrate dello stato e di reindirizzare le scelte di famiglie e imprese. Giustamente il dibattito nel governo e nella maggioranza ne ha tenuto conto. Sul secondo aspetto, le prospettiva di crescita aggiuntiva generata dalla manovra, va detto che lo spazio fiscale in cui questa legge si è dovuta muovere era stato significativamente ridotto dal precedente governo (anche a causa di una drastica riduzione delle crescita complice una congiuntura internazionale molto debole e uno choc negativo sulle aspettative indotto dall’esordio del governo gialloverde). Lo spazio fiscale della precedente legge di Bilancio è stato largamente utilizzato per finanziare misure come quota 100 e reddito di cittadinanza il cui impatto sulla crescita è stato nel migliore dei casi limitato.

 

Ma la questione della crescita va al di là del giudizio sulla specifica manovra per coinvolgere la politica economica generale del governo e questo ci porta alla seconda osservazione generale sollecitata dalla legge di Bilancio. Valutarla dipende non solo dalla sua struttura e dalle singole misure ma anche dalla prospettiva pluriennale in cui collocarla. L’Italia ha bisogno di crescere in modo sostenibile e in misura cospicua. Questo è indispensabile sia per sostenere l’occupazione sia per ridurre il debito. Per crescere, la politica economica deve agire “dal lato dell’offerta” introducendo quelle riforme che servono a incentivare gli investimenti e quindi la produttività. Qui la lista è nota. Ma deve agire anche “dal lato della domanda” soprattutto per fare spazio a investimenti pubblici che aumentino il capitale infrastrutturale, quello della conoscenza, il capitale umano. Per ambedue queste ragioni occorre accrescere lo spazio fiscale. E questo richiede tra l’altro che il debito sia posto su un sentiero chiaramente discendente, anche per tentare di far calare ulteriormente lo spread. In questa prospettiva occorre riformulare il giudizio sulla legge di Bilancio. Ciò che serve all’Italia è evitare di ripetere la situazione in cui ci si è trovati anche in questa sessione di bilancio. Non è pensabile che un paese a bassa crescita, alto debito e spazio fiscale cosi limitato, debba destinare la maggior parte di tale spazio alla rimozione delle clausole di salvaguardia. Non è un problema nuovo ovviamente, risale all’inizio della passata legislatura ed è andato aggravandosi all’inizio di questa. La legge di Bilancio appena approvata introduce un alleggerimento dell’onere, almeno ex ante, ma non presenta una strategia generale che affronti il problema alla radice. Qui si possono solo suggerire alcuni elementi di base come fattori di partenza di una strategia di cui il governo dovrebbe cominciare a occuparsi da subito.

 

Occorre una manovra, a partire dalla prossima, che coinvolga non solo le aliquote Iva ma anche altre imposte a partire dall’Irpef in una prospettiva di riforma generale, porti un effettivo alleggerimento della pressione fiscale, migliori la competitività attraverso una forma di “svalutazione interna”, sia comunicata per tempo e con efficacia così da evitare resistenze ideologiche o strumentali, sia accompagnata da misure di sostegno diretto alla crescita, sia credibile sui mercati finanziari così da generare benefici in termini di calo dello spread. Tutto questo richiede, naturalmente, un orizzonte di governo pluriennale.