Matteo Salvini (foto LaPresse)

Il piano di Salvini è andare al voto da solo

Claudio Cerasa

Il Truce non è il federatore del centrodestra, ma è il leader di un nuovo partito della protesta. Quando finirà il bacio con il M5s non andrà alle elezioni con il Cav., lo farà da solo. E lo spazio c’è. Perché serve una sveglia alla destra anti sovranista

Matteo Salvini deve aver capito da tempo che per un politico in ascesa vivere da promessa dà molta più forza che dovere mantenere le promesse ed è possibile che il leader della Lega si sia convinto davvero che lo stabilissimo equilibrio precario raggiunto al governo con il gemello diverso Luigi Di Maio sia il migliore dei mondi possibili: potere molto, responsabilità poche, consenso da sballo, vittorie a raffica, centralità costante, timeline intasata, sondaggi da urlo, copertine à gogo e profilo di lotta pur essendo di governo, che ti consente di essere contemporaneamente l’uomo forte dell’esecutivo e la sua alternativa naturale.

 

 

La posizione comoda e politicamente invidiabile di Matteo Salvini è una delle ragioni che suggeriscono al leader della Lega di non rompere questo equilibrio magico e che porterà il Truce a fare qualsiasi cosa, pur di non perdere un alleato ricco ma debole come il Movimento 5 stelle, che più perde consenso e più si ritrova costretto a fare di tutto per non tornare a votare. Per questo motivo le elezioni europee, se viste sotto questa angolazione, potrebbero avere sul governo un effetto meno dirompente rispetto a quello immaginato oggi da molti analisti. Ma la prospettiva legata alla comodità di stare al governo a queste condizioni cambia del tutto, se si ragiona su uno scenario diverso e se si mette da parte quello che molti osservatori considerano il vero motivo per cui Salvini non ha intenzione per il momento di capitalizzare il suo consenso andando alle elezioni. E la domanda che molti si pongono per esorcizzare lo scenario del voto anticipato suona più o meno così: Salvini può davvero permettersi di rompere con Luigi Di Maio e di andare alle elezioni con la coalizione di centrodestra e di regalare al Movimento 5 stelle la vecchia autostrada dell’anti berlusconismo?

  

Se si ragiona immaginando che Salvini, in caso di elezioni, non abbia altra scelta se non quella di tornare alla casa del padre, la risposta è no, perché se l’alternativa a un governo con Di Maio è un’alleanza con Berlusconi, Salvini continuerà a preferire un’alleanza con il M5s piuttosto che un’alleanza con il Cav. Se si ragiona però provando a studiare meglio ciò che è diventato il fenomeno Salvini, il contesto muta e la verità appare sotto una luce diversa, sotto la quale il profilo della Lega deve essere illuminato per quello che è: un partito capace di fottersene del sistema elettorale e in grado di minacciare di andare alle elezioni in qualsiasi momento da solo. Non sappiamo se questo sia davvero il suo piano a breve termine, se di fronte a un boom elettorale della Lega il Truce – che forse ha capito che il presidente della Repubblica in caso di crisi farà di tutto per non far proseguire questa legislatura – avrà la forza di non capitalizzare e di lasciare tutto così. Ciò che però sappiamo è che è necessario capire che Matteo Salvini deve essere considerato per quello che è, anche da tutti coloro che sognano un giorno di essere di nuovo suoi alleati.

 

Il Truce non è il nuovo federatore del vecchio centrodestra, ma è il leader di un partito della protesta che ogni giorno ciuccia via un po’ di consenso più al Movimento 5 stelle che a Forza Italia e che dopo le europee potrebbe scegliere in qualsiasi momento di rompere l’alleanza di governo per andare al voto usando la stessa strategia adottata nel 2018 dai Cinque stelle: solo contro tutti. Non è solo una suggestione, ma è un pensiero che vive in un angolo della testa di un leader politico che con rozzezza sta imparando a muoversi da leader nazionale (e che anche per questo ha iniziato la sua campagna per conquistare a poco a poco la Roma di Virginia Raggi), che sa bene quali sono i vantaggi dello stare al governo senza rischiare nulla (avere potere in questo Parlamento è importante perché se la legislatura non cadrà saranno questi deputati e questi senatori a nominare il prossimo presidente della Repubblica) e che sa bene anche quali sono gli svantaggi di ripetere lo stesso errore commesso nel 2014 da Matteo Renzi (avere più di un terzo dei consensi nel paese e non sapere come trasformarli in oro). Non si sa quando accadrà, non si sa quando succederà, non si sa quando Salvini deciderà di giocare la carta del partito della protesta.

 

Ma quello che i suoi semialleati sconsolati dovrebbero capire, a partire dal Cav., è che continuare a trattare Salvini come l’alleato del futuro non ha più senso quando si parla di elezioni nazionali. Quando correrà, Salvini lo farà da solo, accompagnandosi al massimo con un partito più moderato rispetto alla Lega, simile a quello descritto ieri sulla Stampa dal governatore Giovanni Toti (“Serve una rifondazione, un nuovo partito unitario del pil”). E per questo chi oggi gli è a fianco, e sogna di allearsi un giorno con lui, dovrebbe capire che non c’è più tempo da perdere: la campagna per le europee sarà simile alla campagna per le politiche e le europee ci ricorderanno che all’Italia mai come oggi serve una destra capace di essere non l’ancella pigra di Salvini ma semplicemente un’alternativa credibile. Sveglia, il mondo è cambiato.

  • Claudio Cerasa Direttore
  • Nasce a Palermo nel 1982, vive a Roma da parecchio tempo, lavora al Foglio dal 2005 e da gennaio 2015 è direttore. Ha scritto qualche libro (“Le catene della destra” e “Le catene della sinistra”, con Rizzoli, “Io non posso tacere”, con Einaudi, “Tra l’asino e il cane. Conversazione sull’Italia”, con Rizzoli, “La Presa di Roma”, con Rizzoli, e "Ho visto l'uomo nero", con Castelvecchi), è su Twitter. E’ interista, ma soprattutto palermitano. Va pazzo per i Green Day, gli Strokes, i Killers, i tortini al cioccolato e le ostriche ghiacciate. Due figli.