Marco Zanni (foto Imagoeconomica)

Salvini international

Marianna Rizzini

Chi è Marco Zanni, uomo forte della Lega in Europa e perno delle alleanze sovraniste e no euro

Il piano (di Matteo Salvini) è chiaro: creare in Europa, nel nuovo Parlamento eletto a fine maggio, un gruppo delle destre euroscettiche e sovraniste che sia in grado di contrastare dall’interno, e in vista della nomina del nuovo governo comunitario, le grandi famiglie dei socialisti e dei popolari. L’uomo c’è già: risponde al nome di Marco Zanni, giovane ma non neofita eurodeputato leghista nonché neo responsabile Esteri della Lega con i galloni di colui che non per caso è capitato lì, tra i nemici di Mario Draghi (da lui detto sarcasticamente “il buon draghetto”) e Jean-Claude Juncker, ma ci è arrivato per scelta, dopo aver abbandonato l’originaria casa politica, il Movimento 5 stelle, secondo Zanni reo di aver tentato (invano), per decisione dei vertici, l’adesione all’Alde. Avveniva dunque due anni fa il passaggio dell’eurodeputato ex grillino al gruppo Enf (Europa delle nazioni e delle libertà) e da allora Zanni, l’uomo cui viene tra l’altro attribuita la paternità del neologismo “euroinomani” (parola magica per Claudio Borghi, super-euroscettico presidente della commissione Bilancio della Camera, ex eurodeputato leghista e kingmaker di Zanni), non ha fatto che ribadire il concetto: la Ue è anacronistica e va riformata in senso sovranista (è un controsenso? Pazienza), il multilateralismo “ha svuotato la democrazia” in nome del “dominio delle istituzioni tecnocratiche” e l’euro è un progetto paracriminale che ha “affossato i popoli europei”.

 

E’ Zanni l’uomo che dovrà, per conto di Salvini, tessere le alleanze con i sovranisti modello Marine Le Pen, molti dei quali ancora a metà del guado rispetto al distacco da altre famiglie europee (vedi l’ungherese Viktor Orbán). A Zanni, putiniano e trumpiano al tempo stesso e all’ennesima potenza, è affidato il compito di monitorare, da qui a maggio e una volta aperte le urne, la possibilità della Lega di farsi addirittura guida del fronte portabandiera della massima “prima le nazioni”: in Europa ci si va, ma non per perdere l’identità, ripetono i sovranisti quando vogliono inculcare qualche dubbio anche nei moderati.

 

Eurodeputato eletto con il M5s nel 2014, ha abbandonato la casa grillina dopo il tentativo (dei vertici) di divorzio da Farage

E però Zanni non è un sovranista di quel tipo, convinto com’è che la democrazia, nell’Unione europea, sia “totalmente cosmetica” e che dall’America di Trump si possa copiare molto (tutto?), e tanto per cominciare l’idea che si debba porre “un freno all’immigrazione incontrollata” e che, se va bene tutelare “chi fugge dalle guerre”, non ci si può “però fare carico di tutti i problemi del mondo”. Ultimo ma non ultimo: c’è anche un elemento shakespeariano della storia: il “padre” Beppe Grillo – che al momento del distacco di Zanni e dell’altro eurodeputato Marco Affronte si era lanciato in invettive sulla possibile penale pendente sulla testa dei due fuggitivi, se non traditori – ora, pur dall’Aventino teatrale (e non) in cui si è ritirato, si ritrova la sua creatura m5s in piena palude tra Bruxelles e Strasburgo. Caso vuole, infatti, che il M5s al momento non sappia dove andare, nel futuro Parlamento europeo, motivo per cui Zanni, nelle interviste, a volte dice che “è improbabile” che, a oggi, il M5s si unisca al gruppo sovranista euroscettico, e a volte concede un “non possiamo nasconderci che c’è un’oggettiva difficoltà dei Cinque stelle a trovare una terza via in Europa… una collocazione diversa tra Salvini e Macron è una cosa che ha poche speranze” e che “esiste la possibilità che i Cinque stelle, dopo il voto del 26 maggio, possano bussare alla nostra porta per una collaborazione con il nostro gruppo, magari passando per una consultazione dei loro iscritti su Rousseau, come avvenuto per la vicenda Diciotti”.

 

E insomma Zanni, “ragazzo bocconiano con barba alla talebana”, scherza un conoscitore di corridoi bruxellesi, è ora nella posizione del plenipotenziario e dell’ambasciatore, senza tuttavia avere nulla del comportamento e del lessico dell’ambasciatore. Anzi: il tono, tre volte su due, è quello dell’agitatore-tribuno. Come quando, circa un anno fa, alla vigilia del voto politico, ha dato su Twitter la sua interpretazione preventiva del concetto di spoils system: “Dopo il 4 marzo la cosa più importante da fare sarà la ‘spiddinizzazione’ degli apparati statali. I funzionari dovranno servire la Costituzione, i cittadini italiani e l’interesse nazionale. Non svendere il paese all’interesse straniero, come troppo spesso è accaduto”. Linguaggio militaresco che pare preso da un’altra epoca (e oggi, sulla Libia, Zanni rincara: “Quanto sta accadendo di nuovo in #Libia dimostra che non esiste e non può esistere un interesse europeo. Quindi chi vi parla di interesse europeo mente spudoratamente”).

 

Trumpiano e putiniano, euroscettico come il suo mentore Claudio Borghi, “nemico” mediatico di Draghi e Juncker

E molto si era scaldato, il futuro plenipotenziario leghista, che come si è detto è un putiniano convinto, quando, a margine del caso dell’avvelenamento dell’ex spia russa Sergej Skripal, erano stati espulsi alcuni diplomatici russi da sedi americane ed europee. Per non dire di quando, qualche settimana fa, intervistato dalla tv tedesca Deutsche Welle, Zanni ha lasciato la trasmissione “Conflict Zone” in polemica con il cronista Tim Sebastian, che sul tema Russia-Ucraina gli aveva rivolto molte domande (con qualche interruzione). E, riportava Europa.today.it, Zanni aveva sbattuto la metaforica scarpa sul tavolo al grido di “lei è un pessimo giornalista” (culmine della querelle, quando l’eurodeputato aveva dichiarato “ci sono stati errori da entrambe le parti ma le sanzioni economiche non sono il modo giusto” di far cambiare idee e modi alla Russia, e il cronista gli aveva “ricordato” con veemenza (“non se n’è accorto?”) l’invasione delle forze armate russe nell’est dell’Ucraina. Ed era a quel punto che Zanni aveva accusato la Ue di aver comprato l’Ucraina, con una sorta di “invasione economica”.

 

C’è però chi ricorda ancora l’altro Zanni, quello dai toni più sfumati in tema di Russia e di immigrazione: lo Zanni del 2014 che, dopo la Bocconi, e dopo un’esperienza di lavoro nel mondo della finanza (in banca), era stato eletto soltanto ventisettenne al Parlamento europeo con i Cinque stelle, come quarto grillino più votato del nord-ovest (aveva preso oltre diciassettemila voti) e con l’antica nomea di “eroe di Lovere”, paese natìo in provincia di Bergamo, dove, ventenne, ex canottiere, si era reso coprotagonista di una multietnica buona azione (con l’amico senegalese Ibrahim Souaré), salvando due fratellini dall’annegamento nel Lago d’Iseo (è seguita medaglia al valor civile).

 

Bocconiano, “talebano” per recente aspetto (la barba), si scaglia sui social contro il “modello ordo-liberista mercantilista Ue”

“Andiamo in Europa per parlare con la Merkel”, diceva lo Zanni che poi si dichiarerà “sconcertato” per la svolta “europeista” del M5s che nel 2017 progettava il divorzio da Nigel Farage. Ma già nel 2016 l’idea di “parlare” con la Merkel aveva preso la strada di una critica con l’accetta, forse anche per via della sempre più stretta frequentazione con ambienti leghisti, ancora prima di compiere il grande balzo verso la Lega. Fatto sta che allora Zanni definiva Germania e Olanda “i falchi del Nord Europa”, e vedeva una mano tedesca e olandese dietro al tentativo di “affossare il debito pubblico italiano per costringere il paese a chiedere l’aiuto del Mes o dell’Omt della Bce con conseguente arrivò della Troika e commissariamento”. Da qui a diventare “la scelta migliore possibile” (così Borghi ha salutato la nomina di Zanni a responsabile Esteri della Lega), il passo è stato breve. “Altro che se usciamo dall’Euro diventiamo come l’Argentina nel 2001”, scriveva l’eurodeputato a monte dell’uscita dal M5s, “come l’Argentina ci siamo diventati entrando nell’euro, cioè siamo diventati un paese del Terzo mondo che non controlla la propria valuta… Le banche sono tra i principali sottoscrittori di titoli di stato e ne detengono una grande quota: limitare la loro possibilità di acquistarli metterebbe sotto stress i titoli di stato e soprattutto il debito pubblico dei paesi percepiti come più rischiosi (Italia ad esempio). I tassi d’interesse aumenterebbero e con loro lo spread e gli oneri finanziari per lo stato. L’Italia sarebbe costretta a chiedere aiuto a UE e arriverebbe la Troika…”. All’indomani delle elezioni tedesche del 2017, con scientifica escalation, Zanni così parlava (intervistato da Rainews): “… scontati risultati: crollo dei socialisti, colpevoli, come in tutto il resto d’Europa, di aver sostenuto e promosso il sistema ordo-liberista mercantilista Ue con politiche di macelleria sociale che hanno arrecato gravi danni e sofferenze alla popolazione e soprattutto al loro elettorato, crollo della Merkel e dei suoi alleati bavaresi, crescita esponenziale di chi, per motivi e ragioni differenti, non vuole ‘Più Europa’, come i liberali di Fdp e soprattutto Afd, che nei mesi scorsi era stata data per spacciata, al di sotto del 5 per cento di soglia per accedere al Bundestag: entreranno quasi in 100. Il voto a questo partito che non proviene, come erroneamente (o volontariamente?) detto da molti commentatori e giornalisti, dal rigetto degli immigrati e dei rifugiati, nel tentativo ormai scontato di far passare questi elettori come xenofobi e razzisti, ma dal disagio economico sociale che le politiche liberiste e globaliste promosse dai governanti e dai partiti mainstream hanno causato, anche in un paese come la Germania, considerato un modello da seguire… Il voto dei tedeschi non è stato una risposta alla politica di porte aperte ai migranti della Merkel, ma un messaggio forte alle politiche economiche e sociali fallimentari che li hanno ridotti in miseria, proprio lì, in quella che si definisce erroneamente la locomotiva d’Europa”.

 

Ci vedeva un monito e un segnale premonitore per l’Italia, Zanni: “Il partito che con più credibilità risponderà con un progetto alternativo serio al disagio socio-economico della maggior parte della popolazione, potrà registrare un grande risultato. E questo modello di sviluppo sociale ed economico nuovo dovrà per forza di cose, per essere credibile, porsi in alternativa al modello ordo-liberista mercantilista dei Trattati Ue e dell’euro”.

 

Ex canottiere, ha salvato con un amico senegalese due bambini dall’annegamento (da cui la medaglia al valor civile)

Ordo-liberista? Mercantilista? Al di là del lessico televisivo da rivoluzione populista, il futuro uomo di Salvini a Bruxelles, nei suoi discorsi all’Europarlamento, metteva in evidenza, con toni al limite del lirismo, “il fallimento” della Ue, con conseguente diffusione di “sentimenti di timore e sfiducia”. L’Ue “non ha dato risposte” e non c’è traccia della “tanto sbandierata solidarietà tra paesi”. Ma piano piano il lirismo sovranista si è fatto amarezza caterpillar da no-euro ormai compagno di partito dei no-euro Borghi e Bagnai (“raccontatemi ancora di quanto sia bella l’Europa unita, raccontatemi ancora della solidarietà €europea, parlatemi del sogno”, scriveva Zanni su Twitter due mesi fa, e il simbolo dell’euro al posto della “e” non è casuale), per poi virare in proclama a favore dell’“Europa del buonsenso” di cui parla Salvini. Quella che dieci giorni fa, a Milano, all’evento di lancio della campagna leghista per le Europee – in assenza di Viktor Orbán e Marine Le Pen (con sorpresa di alcuni, anche se dalla Lega si faceva sapere che nessun invito formale era stato inviato ai due leader sovranisti) – si è autocelebrata in fieri con (oltre a Salvini) i tedeschi di Alternative für Deutschland e gli scandinavi del Danish people party e del Finns party. “L’obiettivo di Matteo Salvini è di creare un fronte unitario di partiti che sia alternativo al Ppe e di raccogliere tutti coloro che condividono la nostra idea di Europa”, diceva Zanni, preconizzando per così dire l’espansionismo di un Salvini “nuovo leader di un’Europa diversa, progetto attorno al quale vorrebbe far confluire tutte le formazioni politiche che, a Strasburgo, oggi sono divise in tre gruppi: Enf, Efdd ed Ecr”.

E in tutto quel parlare di “Europa dei popoli liberi di vivere la propria identità” (qualcuno citava addirittura Giovanni Paolo II), uno Zanni-Cassandra ripeteva il concetto già espresso una mattina di febbraio a “Coffee Break”, su La7, con una barba sempre più “talebana”: “Anche la Germania entrerà in recessione, tutta l’Eurozona sta rallentando”.

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  • Marianna Rizzini
  • Marianna Rizzini è nata e cresciuta a Roma, tra il liceo Visconti e l'Università La Sapienza, assorbendo forse i tic di entrambi gli ambienti, ma più del Visconti che della Sapienza. Per fortuna l'hanno spedita per tempo a Milano, anche se poi è tornata indietro. Lavora al Foglio dai primi anni del Millennio e scrive per lo più ritratti di personaggi politici o articoli su sinistre sinistrate, Cinque Stelle e populisti del web, ma può capitare la paginata che non ti aspetti (strani individui, perfetti sconosciuti, storie improbabili, robot, film, cartoni animati). E' nata in una famiglia pazza, ma con il senno di poi neanche tanto. Vive a Trastevere, è mamma di Tea, esce volentieri, non è un asso dei fornelli.