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Il Ppe non va con Salvini, anzi cerca alleati nell'altra direzione

David Carretta

Un accordo è “totalmente escluso”, ha detto il presidente popolare. I calcoli, i numeri, e il pericolo di una spaccatura

Bruxelles. Il sogno di Matteo Salvini di un’alleanza tra un Partito popolare europeo orbanizzato e un grande gruppo sovranista all’Europarlamento non si realizzerà. “E’ totalmente escluso”, ha risposto al Monde il presidente del Ppe, il francese Joseph Daul, quando gli è stato chiesto se sia possibile un accordo con Salvini. “Quando si guarda a come funziona il suo partito, è impossibile”, ha detto Daul. E un’alleanza con un altro movimento populista, come accade a livello nazionale in Austria o a livello regionale in Andalusia, in Spagna? “Anche in questo caso è escluso. Non si farà nessuna intesa con un partito populista”, ha detto Daul. La strategia del Ppe è un’altra. “Tutti i partiti democratici dovranno lavorare insieme e ricercare una larga coalizione al Parlamento europeo. Più larga di quella che abbiamo formato finora con i socialdemocratici”. Il 26 maggio popolari e socialisti perderanno la maggioranza assoluta dei seggi. Occorre trovare un nuovo alleato, ma lo schema della grande coalizione europeista che lavora per far progredire l’integrazione europea non si tocca. Il primo interlocutore è l’Alleanza dei liberali e democratici per l’Europa, il gruppo considerato più federalista, che probabilmente si allargherà agli eletti di Emmanuel Macron. Il successore di Jean-Claude Juncker alla guida della Commissione dovrebbe beneficiare di una maggioranza a tre, come era stato con José Manuel Barroso nel 2009. Il secondo interlocutore è il gruppo dei Verdi, anch’essi federalisti, anche se un accordo appare più difficile. Il Ppe intende dirigersi dove Viktor Orbán non vuole: la sinistra e i liberali.

   

Daul è un signore anziano, ma anche un politico europeo rodato, lontano dalle telecamere, sempre attento agli equilibri interni della grande famiglia popolare. La sua formazione in Francia, i Républicains, ha preso una svolta a destra su migranti e identità sotto la leadership di Laurent Wauquiez. Ma il Ppe all’Europarlamento è fatto di 52 delegazioni nazionali di 27 paesi. Orbán conta solo dodici eurodeputati e un commissario europeo. Il suo progetto di rifondare il Ppe su basi sovraniste non dispiace ad alcuni – in particolare alla Csu bavarese – ma con questi numeri è “illusorio”, secondo le parole di Daul. Se il Ppe lo tiene dentro è per non perdere un posto al Consiglio europeo, l’istituzione che conta di più, dove i capi di stato e di governo liberali sono in agguato per prendere la maggioranza relativa. Se Orbán non se ne è ancora andato, è perché l’appartenenza alla famiglia del Ppe finora gli ha garantito una certa protezione. Non è stata la Commissione del popolare Jean-Claude Juncker ad attivare l’articolo 7 contro Orbán per violazione dello stato di diritto, ma l’Europarlamento con un voto storico sostenuto dai due terzi degli eurodeputati del Ppe. Altro sintomo del malumore interno: la procedura per sospendere Fidesz dai popolari è stata lanciata da oltre dieci partiti nazionali.

      

La rivolta interna al Ppe contro Orbán – sia sull’articolo 7 del Trattato sia sulla sospensione di Fidesz – ha convinto i vertici popolari che la via dell’alleanza sovranista è impercorribile e controproducente. Già oggi una coalizione tra destra ed estrema destra non reggerebbe alla prova dei numeri: secondo le proiezioni ufficiali dell’Europarlamento, anche con gli euroscettici del Brexit Party inglese, il Ppe e tutti i sovranisti (dal M5s al Jobbik ungherese) arriverebbero a un risicato 50 per cento. “Se dentro il Ppe dovesse prevalere la linea Orbán, almeno un terzo dei suoi eurodeputati se ne andrebbe dal gruppo”, spiega al Foglio una fonte interna. I membri del Ppe di Svezia, Finlandia, Danimarca, Olanda, Belgio, Lussemburgo, Portogallo, Grecia, ma anche i polacchi di Piattaforma Civica potrebbero incamminarsi verso i liberali allargati a Macron, oppure costituire un nuovo gruppo stile vecchia democrazia cristiana. E Matteo Salvini in tutto questo? “Non è facendo aderire gli estremisti al Ppe che resisteremo”, ha detto Daul. Non è solo una questione di numeri, ma anche di idee incompatibili.

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