Claudio Durigon (foto LaPresse)

Chi sale sul carroccio del vincitore

Valerio Valentini

Nel Lazio si convertono alla Lega ex Msi, Pd e M5s. Salvini vuole Durigon presidente della regione

Roma. Li ha voluti tutti nel suo ufficio, di buon mattino, al Viminale: consiglieri municipali e responsabili a vari livelli sul territorio, per mostrare che, su Roma, fa sul serio. “Abbiamo illustrato a Salvini le bozze di un nostro piano di governo della città”, dice Maurizio Politi, unico consigliere della Lega in Aula Giulio Cesare. “E lui si è detto entusiasta – prosegue – ci ha spiegato che, al di là dell’alleanza col M5s che a livello nazionale resta salda, qui sulla Capitale deve essere lotta durissima. Entro due o tre settimane, di sicuro prima delle europee, presentiamo il programma”. E certo, non è detto che non sia sincero, lo sforzo: non è detto, cioè, che Salvini non voglia davvero conquistarlo, il Campidoglio, in tempi rapidi. “Bisogna dare un segnale, qui a Roma”, ha ripetuto nelle riunioni ristrette degli scorsi giorni: le stesse dove però, ogni volta che si fantasticava sulla presa del Campidoglio, nelle chiacchiere del capo coi suoi fedelissimi immediatamente si materializzavano, a corrodere in incubo un sogno ancora vago, le mille rogne che la Capitale rovescia inevitabilmente su chi tenta di redimerla dalle sue storture. “Perché, allora, non puntare sulla Regione?”. La domanda deve essere risuonata più volte, in queste settimane, nei corridoi del Viminale, se è vero che Claudio Durigon, il sottosegretario al Lavoro che di questa nuova Lega laziale è un po’ il padre padrone, a sentirsela porre non si scompone. E anzi rilancia: “Comune o regione? Andremo su tutt’e due”, schermendosi giusto un po’ quando gli si chiede se, nel ruolo di governatore, non si veda bene. “Mi piace molto ciò che faccio”, dice semplicemente, sapendo in fondo come, almeno in parte, il destino di Nicola Zingaretti in regione dipende in fondo anche dai voti del centrodestra, grazie ai quali la giunta riesce, non senza fatica, a stare in piedi. 

 

Senza contare, poi, che il precipitare degli eventi, per Zingaretti, potrebbe verificarsi comunque: sia che le cose gli vadano molto bene – un’eventuale crisi di governo tra Lega e M5s, dopo le europee, lo costringerebbe a un impegno in prima persona, forse anche in vista di un seggio al Parlamento – sia che le cose vadano molto male, dacché un risultato meno lusinghiero del previsto per il Pd, il 26 maggio, inevitabilmente darebbe nuova sostanza alla polemica – sempre pronta, lì, a uso delle minoranze interne – del doppio ruolo del segretario.

 

E allora è per questo che l’affannoso tentativo di allestire un partito strutturato che ancora non c’è, in queste settimane, va ben al di là dei confini del raccordo. Sul litorale, ad esempio, c’è un attivismo frenetico da parte del nuovo coordinatore organizzativo regionale, Mauro Gonnelli, che non a caso, nella campagna acquisti commissionatagli dai vertici del Carroccio, è partito dalla città dov’è sempre vissuto, quella Fiumicino dove già nel 2013 sfiorò l’elezione a sindaco, come “civico” del centrodestra. Sembrava comunque un astro in ascesa, il suo, prima che venisse offuscato da certe intercettazioni uscite nell’ambito di Mafia Capitale, quelle in cui Ernesto Diotellavi, vecchio reduce della fu Banda della Magliana, si rivelava un suo sostenitore occulto (“Se quello diventa sindaco, sai come piottamo?”). Conversazioni sconvenienti che non valsero, va detto, a fare di Gonnelli un indagato, ma che dovettero bastare, lo scorso giugno, a sconsigliare alla Lega di puntare di nuovo su di lui, per il municipio. E allora toccò a William De Vecchis, eletto senatore col Carroccio da neppure tre mesi, provare a fare di Fiumicino uno dei primi laboratori dell’autonomia della destra-destra, in contrapposizione a Forza Italia e con tanto di supporto delle liste di “Italia agli italiani” vicine a Forza Nuova. Non andò bene, e nonostante i 4.200 voti per la Lega, De Vecchis finì terzo, per poi comunque recarsi al raduno lombardo dei neofascisti di Lealtà Azione. La scorsa settimana, De Vecchis e Gonnelli hanno inaugurato la nuova sede della Lega del X Municipio, ad Acilia: e forse d’ora in poi useranno quello, come loro ritrovo abituale, e non il “2punto11” di Fiumicino, associazione di cui entrambi si dichiarano “figli” e che fin dall’intitolazione (la B e la M sono, appunto, la seconda e l’undicesima lettera dell’alfabeto) dichiara la sua ammirazione per Benito Mussolini.

 

In ogni caso Gonnelli, braccio operativo di Durigon, ha dimostrato le sue doti di scouting a metà marzo, quando è stato ufficializzato il passaggio alla Lega della meloniana Monica Picca e di altri due consiglieri municipali di Ostia di FdI. “Salvini è l’unico – spiega la Picca, già candidata presidente nel Decimo, a novembre 2017 – a potere trasformare questo municipio in un comune, sganciandolo da Roma in nome dell’autonomia”. Ed è stato Gonnelli anche ad agganciare Fabio Fucci, l’ex sindaco grillino di Pomezia che si è a lungo battuto per il superamento del vincolo dei due mandati. “Il mio passaggio – ci dice – non è ancora formalizzato, ma i contatti, con Gonnelli prima e con Durigon poi, vanno avanti fin da dicembre. Sicuramente c’è stima reciproca”.

 

Più a sud, s’estende poi la vera roccaforte leghista: quella di Latina e provincia, feudo di Durigon e dell’altro uomo forte del Carroccio laziale, il vicecapogruppo alla Camera Francesco Zicchieri. Cresciuti entrambi nella gavetta dell’Ugl, il sindacato un tempo vicino al Msi di cui Durigon è arrivato ai massimi vertici, entrambi svezzatisi politicamente nel retrobottega della giunta regionale di Renata Polverini, ora godono di una capillare rete di buone relazioni sull’agro Pontino e sulla Ciociaria. Qui, dove molto ascoltata è pure la voce del senatore Umberto Fusco – lui sì, leghista laziale della prima ora, sin dal 2008 – il coordinatore è Mimmo Fagiolo, che sul carro della Lega – “Un carro che si spinge, e su cui non si salta sopra”, ama ripetere Zicchieri, come a esorcizzare un rischio che evidentemente avverte concreto – è salito dopo avere militato a lungo nel centrosinistra, sostenendo anche l’ex sindaco Pd di Frosinone Domenico Marzi, e dopo essersi convertito al berlusconismo, sponsorizzando il successore di Marzi, quel Nicola Ottaviani cresciuto nelle giovanili della Dc, ammaliato poi da Lamberto Dini e quindi da Berlusconi. Proprio Ottaviani, sindaco dal 2012, è stato l’ultimo acquisto della Lega ciociara nel marzo scorso: un trasferimento così ingombrante che ha provocato lo sconvolgimento di quei precari equilibri su cui si regge il partito di Salvini, con tanto di riunioni interne finite a testate (quelle che Fagiolo avrebbe dato, pare, a un altro neoleghista, Gianluca Borrelli, di Alatri) per dirimere una delle più classiche baruffe sulla spartizione di poltrone. Ed erano solo elezioni provinciali.

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