Tra slogan e molliche, le bugie di Raggi sui debiti di Roma

Il sindaco bacchetta Salvini sulle disposizioni del "decreto crescita", ma i dati che cita non sono corretti

Rocco Todero

In risposta agli attacchi di Matteo Salvini, che si sarebbe lamentato del trattamento privilegiato riservato ai debiti di Roma Capitale, Virginia Raggi ha diffuso un video con il quale ha preteso di spiegare all’alleato di governo il significato della norma contenuta nel cosiddetto “decreto crescita” che avrebbe accollato allo Stato il residuo onere di 12 miliardi di competenza sino a questo momento della Gestione commissariale della capitale.

 

La notizia, già così, dovrebbe apparire degna di un’esilarante tragicommedia. La disposizione che metterebbe fine alla Gestione commissariale sarebbe stata adottata, infatti, dal Consiglio dei ministri in occasione dell’approvazione di un decreto legge e quindi dovrebbe essere il ministro dell'Interno a conoscerne il contenuto e a essere responsabile politicamente della sua adozione. Il sindaco di Roma, che del governo non fa parte, invece, dovrebbe essere ancora all’oscuro del contenuto di un provvedimento che non risulta, allo stato, né pubblicato in Gazzetta Ufficiale, né trasmesso alle Camere per la sua conversione, nonostante sia stato sbandierato in pompa magna già dal 5 aprile scorso.

 

Accede, però, che il vicepresidente del Consiglio, autore del provvedimento legislativo in questione, si lamenta della disparità di trattamento che esso arrecherebbe, mentre il sindaco della comunità che ne beneficerebbe cerca di spiegare al primo, con evidente tono canzonatorio, cosa in qualità di membro del governo avrebbe approvato senza averlo, tuttavia, compreso.

 

Nel bel mezzo c'è il Parlamento, la cui autonomia e dignità sembrerebbero avere raggiunto i minimi termini, atteso che la norma sull’estinzione della Gestione commissariale viene sbandierata come un fatto compiuto ancor prima di qualsiasi esame da parte delle Camere.

 

Il dramma (o la commedia, giudichi il lettore) si arricchiscono, però, di un ulteriore capitolo, dal momento che Virginia Raggi, nel tentativo di spiegare al ministro dell’Interno la premessa del proprio ragionamento, incorre in un errore non proprio irrilevante.

 

Il sindaco di Roma ricorda a Matteo Salvini che da molto tempo oramai il debito di 500 milioni annui è pagato per una quota pari a 300 milioni dallo Stato e per 200 milioni da Roma Capitale (ascoltare per credere).

 

Peccato però che dei 200 milioni che secondo Virginia Raggi sarebbero pagati periodicamente da Roma Capitale, una parte consistente è corrisposta per mezzo di un’addizionale commissariale pari a un euro a passeggero sui diritti di imbarco sugli aeromobili in partenza dagli aeroporti della città di Roma, mentre i residenti pagano solo un incremento dell’addizionale comunale IRPEF dello 0,4 per cento. Così infatti dispone dal 2010 l’articolo 14, comma 14, del decreto legge n. 78 adottato in quello stesso anno.

  

Considerato che la somma dei passeggeri in partenza da Fiumicino e Ciampino solo nel 2018 è stata pressoché pari a 49 milioni, appare facile verificare come il contributo dei residenti nella Capitale sia nettamente inferiore a quello indicato dal sindaco Raggi.

 

Non risulta chiaro, in ultimo, in mancanza della pubblicazione della norma che dovrebbe essere contenuta nel “decreto crescita”, come la rinegoziazione dei mutui vantata dalla Raggi possa abbattere il debito che oggi grava sulle casse dello Stato.

  

Le ultime relazioni annuali che il commissario straordinario ha presentato alle Camere per dare conto dell’andamento del debito di Roma Capitale avevano già manifestato la necessità di rinegoziare i mutui al fine d’evitare uno squilibrio di cassa dal 2022 al 2032. L’operazione, tuttavia, era stata suggerita nell’ottica di un allungamento dei tempi di pagamento delle somme da restituire agli istituti finanziari che di certo non comporta un risparmio di spesa.

 

Ma, come detto, non è stata ancora pubblicata alcuna norma il cui esame possa consentire di prendere posizione nella polemica fra il primo cittadino della Capitale e il titolare del Viminale.

 

Per ora, nell’ordine, possiamo solo vantare: un decreto legge fantasma, un ministro ignaro di ciò che il governo di cui fa parte avrebbe approvato e il sindaco della Capitale d’Italia che giocherella allegra e spensierata con le molliche.

Di più su questi argomenti: