Un funerale a Gerusalemme (foto LaPresse)

I sette virtuosi contro il Covid

Micol Flammini

Un gruppo di paesi messi meglio degli altri, tra cui Austria e Israele, tratta per riaprire i confini tra loro

Roma. Alle aperture e alle chiusure in seguito alla pandemia di coronavirus ogni nazione c’è arrivata a modo suo. Con i suoi tempi, i suoi ritmi, le sue misure. Chi è stato bravo con il martello ed ora è abile con la danza – secondo la strategia illustrata dallo studioso Thomas Pueyo – chi è stato rapido a capire la portata della malattia e adesso si trova avvantaggiato, chi è stato fortunato e ha subito meno conseguenze, adesso non ha tempo per attendere la ripresa degli altri, la ripresa del mondo e cerca nuove alleanze e strade diverse, ma anche una grammatica comune per imparare a fidarsi degli altri, perché se questo è il momento di ripartire, di dare forza all’economia, non sarà barricati dietro ai confini che i paesi ricominceranno a crescere. Sta nascendo così una coalizione di virtuosi, sette nazioni che hanno deciso di accelerare la ripresa contando sui buoni successi prima del loro lockdown poi delle loro riaperture. Austria, Israele, Repubblica ceca, Danimarca, Grecia, Australia e Nuova Zelanda stanno cercando il modo di riaprire i collegamenti tra loro, per aiutare il commercio e anche il turismo e per cercare una formula di convivenza e di fiducia per armonizzare le loro politiche e prevenire una seconda ondata. Alcune misure sono già state discusse la scorsa settimana, tutti sono d’accordo sul fatto che la mascherina dovrà essere obbligatoria, dovrà esserci una campagna di test capillare, il distanziamento sociale dovrà essere rispettato e le frontiere con i paesi in cui il ritmo dei contagi è ancora alto dovranno rimanere chiuse. Sono queste le regole, un minimo comun denominatore, che i sette paesi si sono dati per iniziare a progettare la costruzione di rapporti privilegiati. Ogni nazione ha usato la sua strategia per venire fuori dalla crisi sanitaria, ma per riprendere alcuni rapporti bisognerà che da ora in avanti alcune precauzioni saranno una costante.

 

 

L’iniziativa non è piaciuta molto all’Unione europea che sta cercando di sviluppare un suo progetto, di dare delle linee guide per riaprire i confini interni. Non sarà facile prendere delle decisioni valide per tutti i paesi membri, anche qui è una questione di ritmi, non tutti in Ue sono allo stesso punto, ma se quest’estate il turismo dovrà riprendere vita allora bisognerà che tutti accettino di condividere norme comuni per la sicurezza. I virtuosi però non hanno intenzione di aspettare, il primo ministro della Danimarca, Mette Frederiksen, che è stata tra i primi a tentare una cauta riapertura, ha detto che va benissimo accordarsi tra europei, ma non bisogna perdere di vista anche il resto del mondo. Anche la Germania era stata invitata a far parte di questa coalizione, di questo circolo ristrettissimo di virtuosi, ma ha rifiutato. La paura di Berlino, ben riassunta dalle parole del ministro degli Esteri Heiko Maas, è che creare dei corridoi privilegiati e riaperture alternate crea dei rischi “ingiustificabili”. Secondo le stime del Mobility Market Outlook, nel 2020 l'industria dei viaggi potrebbe perdere il 35 per cento delle entrate rispetto all’anno precedente e circa 50 milioni di posti di lavoro sono a rischio, per questo i paesi che hanno reagito meglio cercano una loro strategia comune, che sia rapida, il più possibile, e che come ha detto il governo di Atene, potrebbe portare a situazioni paradossali: viaggiare dalla Grecia a Israele quest’anno potrebbe essere più semplice che viaggiare dalla Grecia all’Italia.

 

La strada che i paesi sembrano percorrere per cercare una nuova libertà di movimento sembra percorrere strade fatte di bilaterali, di accordi e di regole valide per tutti. Chi è più avanti nella lotta contro il virus è disposto a fidarsi soltanto di chi è al suo stesso punto, dei paesi più disciplinati, più rigorosi, più attenti. Di coloro che nella fase della danza avranno un ritmo che si assomiglia. L’Austria, che è stata tra gli alfieri di questo incontro tra i sette paesi non ha preso molto bene il no della Germania, ha riaperto tutto venerdì scorso. Il cancelliere Sebastian Kurz che adesso è tra i leader più amati in Europa – i retroscena, da lui smentiti, sui giornali austriaci parlano di un suo piano per tornare a elezioni e disfarsi dei Verdi con cui è al governo – ha detto che la sua nazione è stata molto fortunata e ha augurato ai paesi europei più colpiti come l’Italia, la Spagna e la Francia di riprendersi in fretta. Per ora si gode il successo che la lotta contro il virus gli ha portato fino a questo momento, controlla la curva dei contagi con rigore, dice che il coronavirus va combattuto con modestia. Anche una dei suoi consiglieri, Antonella Mei-Pochtler, ha detto al Financial Times che è stata l’arroganza a rendere ciechi e impreparati i paesi più grandi. Kurtz ha fretta di ricominciare, di conoscere la nuova normalità. Teme che i ritmi dell’Ue saranno lenti, ha cercato nuovi paesi con cui condividere questa ripartenza. Ma per far funzionare questi nuovi legami c’è bisogno di regole e di tanta disciplina, e su questi due punti che i sette paesi sono al lavoro.