Il centro per l'impiego di Via Strozzi a Milano (foto LaPresse)

Il governo si tiene quota 100, ma dove sono i posti di lavoro promessi da Di Maio?

Luca Roberto

Meno adesioni del previsto e, soprattutto, nessuno assunto nelle fasce più giovani (dove aumentano gli inattivi). Seghezzi (Adapt): “Continuano a scaricare i costi sulle nuove generazioni”

“Se proprio si vuole essere pessimisti, dall'anno prossimo in pensione ci andranno almeno 600 mila persone”, disse, baldanzoso, lo scorso novembre l'allora ministro del Lavoro e dello Sviluppo economico Luigi Di Maio. Nella fase di limatura del decreto legge che introduceva in tandem reddito di cittadinanza e quota 100, si spinse, col tono un po' tracotante, a pronosticare addirittura un turnover occupazionale “che se anche riguardasse la creazione di 50 nuovi posti di lavoro ogni 100 pensionati, significa 300 mila posti di lavoro in più”. Certo, le previsioni e le stime sembrano sempre più appartenere al ramo della propaganda che non a quello della macroeconomia. Ma adesso che l'Inps ha certificato che le richieste di accesso alla misura di anticipo pensionistico sono sotto la soglia psicologica delle 200 mila unità - al 30 settembre 184.890 – e che contemporaneamente la fase due del reddito di cittadinanza fatica a decollare, con i centri per l'impiego di alcune regioni rimasti addirittura senza navigator, ecco che la spendibilità mediatica viene riversata tutta sull'abbassamento del tasso di disoccupazione, certificato dall'Istat un paio di giorni fa.

 

Francesco Seghezzi, presidente della fondazione Adapt, che analizza il mondo del lavoro e delle relazioni industriali da quasi vent'anni, è stato uno dei più attenti a leggere in quella relazione un segnale d'allarme. Il trend della disoccupazione è in calo da nove trimestri consecutivi, d'accordo, ma ad agosto il dato in crescita degli inattivi nella fascia tra 15 e 24 anni ha lanciato una luce sinistra sull'utilità della combo quota 100-reddito di cittadinanza per la creazione di nuovi posti di lavoro per i più giovani. “Il tasso di inattività non è una stretta conseguenza di quota 100, sia chiaro” chiarisce al Foglio Seghezzi. “La possibilità di andare in pensione in anticipo è stata una misura salutata positivamente da alcuni datori di lavoro, visto che in questo modo hanno potuto liberarsi di certuni dipendenti considerati sottoqualificati”. La risposta delle imprese si è articolata in tre modi. “Se alcuni hanno deciso di riorganizzare le mansioni all'interno delle proprie aziende, ad esempio ricollocando i propri dipendenti o dirottando gli investimenti su processi di automazione, altri hanno colto l'occasione per eliminare quello che considerano un costo. Mentre solo una minima parte ha attivato processi di sostituzione successivi ai pre-pensionamenti”, prosegue Seghezzi. Una lettura che conferma le stime diffuse dall'Osservatorio Statistico dei Consulenti del Lavoro lo scorso agosto, secondo cui il turnover avrebbe riguardato soltanto i lavori poco qualificati.

 

Abbastanza perché la nuova maggioranza decida di fare retromarcia? Nella Nadef firmata in consiglio dei ministri a quota 100 e reddito di cittadinanza si accenna in poche righe, e il giudizio non è comunque positivo, visto che il governo riconosce come le due misure abbiano avuto un'adesione al di sotto delle aspettative (per la seconda si arriva a riconoscere il mancato “incremento del tasso di partecipazione che sarebbe dovuto scaturire dall’adesione al reddito”). “In materia previdenziale, vedo nella nuova compagine governativa totale continuità con la precedente, sia nei temi che nelle persone” dice Seghezzi. “L'obiettivo credo sia tenere in vita quota 100 fino alla naturale scadenza del 2022, dopodiché visto che gli effetti sono stati limitati probabilmente non sarà rinnovata, anche se nel frattempo gli effetti sul sistema pensionistico saranno stati scaricati sulle fasce anagrafiche più giovani”.

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