In classe con Anna
La direttrice di Vogue è l’ultima arrivata nella squadra di docenti virtuali. Un business milionario dove però non s’impara niente
Questo doveva essere un pezzo su Anna Wintour, la direttrice di Vogue che compie settant’anni e fa anche lei la sua Masterclass online, entrando nel novero delle celebrità che danno lezione a pagamento per studenti-guardoni d’ogni dove, per questa nuova mania collettiva in cui chiunque insegna qualunque cosa – ormai tutti fanno masterclass, che sarebbero poi i vecchi seminari o corsi, ma chiamarli masterclass fa più fino (anche nella vita reale, è tutto un chiedere e proporre masterclass, forse perché nessuno compra più i giornali e così soprattutto i giornalisti si buttano sulle masterclass – magari quelli che non son riusciti a infilarsi nei tragici corsi di aggiornamento per colleghi). Ma qui siamo in tutt’altro empireo, parliamo delle celebrità planetarie che si affacciano dal computer a insegnarti i loro segreti: così mi iscrivo, pago i 200 euro per il “full access” a tutte le classi di questo Cepu di lusso – c’è Carlos Santana che insegna a suonare la chitarra, Jodie Foster a fare i film, Massimo Bottura i tortellini. Preso dall’entusiasmo dunque pago, confidando anche nella dicitura che “se non sei pienamente soddisfatto delle lezioni puoi chiedere un rimborso” (fino a qualche mese fa c’era una più esplicita settimana di prova gratuita, e uno si poteva automaticamente cancellare. Mi ero iscritto per vedere una lezione di David Mamet che spiegava come si scrive un dramma, ma poi era talmente vago e deludente che non avevo neanche bisogno di aspettare la sveglia che mi ero messo sul calendario per ricordarmi di cancellare l’abbonamento, e avevo abbandonato. Mi ricordo una intera lezione sulle regole aristoteliche di unità di tempo, luogo e azione). Adesso invece è arrivata questa avvertenza, “se non siete completamente contenti”; cosa mai bisognerà fare per rientrare in possesso dei 200 euro?
L’Italia non aveva l’estradizione con la Classpass; e così, incoraggiato, ci ho provato anche con i corsi Masterclass
Non disdici quando vuoi: ultimamente, disiscriversi dalle app sta diventando sempre più faticoso. Hanno mangiato la foglia. Una settimana fa, in America, avevo fatto il consueto gym surfing, mi ero iscritto a Classpass, che per una certa cifra ti garantisce l’ingresso a un sacco di palestre, compresa una comoda sotto casa. Fai l’abbonamento di prova un mese, e zac, il giorno prima del pagamento, disdici. E’ uno sport nazionale. Questa volta però mi era uscita una scritta mai vista: “Non è automatica la cancellazione: parla con un nostro esperto se vuoi proprio andartene”. Pensavo a una seduta tipo alcolisti anonimi, invece ero entrato allora in una chat automatizzata con l’esperto che era poi un’esperta e aveva un nome tipo Susy e diceva: ah, ti trasferisci all’estero? Questo il motivo? Benissimo, dicci in che paese: siamo presenti in 184, e io avevo pregato che l’Italia non rientrasse tra questi. Poi la chat era terminata, Susy non aveva proprio più risposto e poi mi era arrivata una mail, l’abbonamento era stato cancellato. Quindi l’Italia non aveva l’estradizione con la Classpass; e così, incoraggiato, ci provo anche con la Masterclass. Anche questa volta dovrò parlare probabilmente con un bot esperto: e speriamo sia così clemente.
La società che organizza queste lezioni è di San Francisco, è stata fondata nel 2013 da due soci, David Rogier e Aaron Rasmussen, e le prime lezioni son state quelle di Dustin Hoffmann, che i fondatori in qualche modo conoscevano. Adesso ci sono lezioni di ogni tipo, sono tutte pre-registrate, durano generalmente meno di dieci minuti, si guardano come una serie tv: infatti loro fanno intendere di essere la Netflix delle lezioni. Ci sono anche dei compiti per casa, con dei pdf che scarichi e sono dei riassuntoni. E poi ci sono i commenti degli utenti-studenti e pure una specie di orario di ricevimento dei professori (che risponderanno ad alcune selezionate domande). E insomma io però volevo vedere Anna Wintour che spiegava la sua carriera nei giornali e “come si comanda” (“how to be a boss”, il titolo della masterclass). Pago i duecento euro facendo delle scaramanzie e mi accingo a vedere questo master in wintourismo. Lei, col caschetto e la collana di vetro, sembra sempre più un vaso Ming, è seduta in quello che parrebbe un salotto un po’ finto, e dice cose molto generiche con un accento però metallico-upper class che sembra la contessa madre di Downton Abbey.
Krugman insegna l’economia che però non è proprio economia, sta diventando renziano. Mi viene voglia di radicalismo
Nella lezione numero uno racconta dei suoi esordi come editor di moda a Londra, lamenta le ristrettezze degli inizi, “siccome nessuno aveva soldi per avere un assistente non potevano nemmeno fare l’assistente”. Poi l’ascesa che tutti sanno. Nella lezione numero due narra la sua routine giornaliera: si sveglia tra le 4 e le cinque e mezza, poi va a farsi la piega e fa colazione con un caffè di Starbucks. Le piace finire tutte le faccende prima di andare a dormire, e odia sopra ogni cosa chi si piazza nel suo ufficio per chiacchierare. Nella terza, dà consigli tipo Navigator sui colloqui di lavoro: arrivare puntuali, non pensare troppo a cosa indossare ma essere sé stessi. Tutti i candidati le dicono che come sport amano il tennis – perché lei in qualche micidiale orario mattutino lo pratica, è noto. “Quando poi è ovvio che nessuno di loro ha mai tenuto una racchetta in mano” (dunque lei sadicamente li sottoporrà forse a partite aziendali per smascherarli). Poi parla di altri topos fondamentali della sua carriera: dell’importanza di rischiare – come quando fece la prima copertina con Madonna, o quella con Kim Kardashian e Jay-Z. Poi perle generiche di aziendalismo: “Hai bisogno di uno che ti spinga, non che ti butti giù” (ma va?); “non credo nel micromanaging, sono pronta a delegare!”; “E’ importante circondarsi di una squadra di persone che non ti teme e non teme di dire la sua!” (certo, come no). Nell’insieme viene fuori insomma abbastanza rompiballe come si poteva supporre, soprattutto si vede che non vuol perdere tempo (a volte farfuglia, sbaglia la dizione di alcune parole ma non la tagliano, è tutto buona la prima, mi immagino la troupe di questa Masterclass che timidamente dice: la rifacciamo. Lei: “No”).
C’è anche l’opzione 1,5X e 2X, le lezioni si possono cioè vedere a velocità aumentata, e anche col 2X si capisce lo stesso, la voce viene fuori solo un po’ più metallica. Ma dopo la quarta lezione a velocità doppia non ne posso più, già ho subìto un “le riunioni più importanti sono quelle che facciamo dopo le sfilate”, e “dovreste proprio vedere come sono!”, e magicamente ci si trova infilati in una di queste riunioni, dove delle collaboratrici terrorizzate sono invitate a esprimere la loro opinione sugli accessori della fashion week (dalla loro faccia si capisce che vengono interpellate solo nelle grandi occasioni) mentre poi lei dice che nelle prossime lezioni addirittura ci guiderà nel dietro le quinte del Met Gala cioè la kermesse fondamentale da lei ideata al Metropolitan (di cui anche la più infima rivista femminile ci ha propinato qualunque dettaglio anche minimale negli ultimi mesi). Con questa prospettiva abbandono, e cerco un’altra lezione. Ho voglia di concretezza.
Ci sono lezioni di ogni tipo, sono tutte pre-registrate, durano generalmente meno di dieci minuti, si guardano come una serie tv
Mi butto su Bottura. Massimo Bottura è nella sua cucina o in quella che sembra la sua cucina e ha preso questa masterclass in maniera completamente diversa. E’ proprio una lezione, una vera lezione: nella prima c’è lui col sous-chef Taka, giapponese, e come in una puntata di Benedetta Parodi hanno un tavolo d’acciaio, un fornello elettrico, e vari utensili. Nella prima puntata insegna a fare il pesto, e c’è tutta la preparazione del pesto (Bottura parla in inglese, un ottimo inglese dal forte accento italiano, che insieme alla gestualità ne fa un Benigni dei fornelli e dev’essere il segreto del suo successo planetario, forse orchestrato dalla moglie americana). Si apprende che non ama i pinoli (“troppo oleosi”) e fa dunque un pesto rivisitato con la mollica di pane. Mentre invece usa tantissimo parmigiano, una quantità impressionante (sorgono incresciose domande: ma il consorzio riuscirà a star dietro alla abnorme domanda di formaggio derivante da queste lezioni, fin nelle plaghe più desolate del globo, da parte di classi medie affluenti?) La lezione sul pesto, questa sì, realizza intanto l’agognata unità di luogo tempo e azione aristotelica, è tutta in presa diretta, buttano la pasta (fusilli), e i dieci minuti della durata della puntata equivalgono alla cottura della pasta, durante la quale, senza tagli, viene preparato il pesto. E’ tutto un piano sequenza sul fusillo, Mamet potrebbe essere soddisfatto. Nella seconda lezione invece Bottura insegna come fare il brodo, e in favore di telecamera Taka macella un povero pollo che in pochi secondi viene fatto a pezzi e messo a bollire (ma è legale? Si può fare?). La macellazione dei polli è un tema, su Masterclass. C’è anche un altro cuoco star, Gordon Ramsey, che qui la insegna, comparativamente. A differenza del pesto aristotelico, lo sventramento del pollo viene invece tagliato e montato (perché la cottura dura due ore e mezzo), con delle incongruenze, un attimo prima l’acqua è fredda, subito dopo va in ebollizione (le ricette si possono scaricare in pdf).
Alla terza lezione ci sarebbe come si fa il ripieno dei tortellini, però sono un po’ stufo, così cerco altro. Mi butto su Jodie Foster che insegna cinema: ma è tostissimo, le lezioni sono lunghissime e lei è molto tecnica: suggerisce che è meglio usare campi non troppo lunghi, non bisogna fare aspettare troppo gli attori sul set, bisogna dare cibo in continuazione alle comparse, occhio alle inquadrature per non sprecare troppa pellicola – è meglio del centro sperimentale di cinematografia (lei l’ha presa molto seriamente). Mi butto su Howard Schultz, il fondatore di Starbucks, che in camicia e maglioncino, dal retro di un suo bar, insiste molto a spiegare non come si fa un Frappuccino bensì quanto sono importanti la cultura aziendale e i “valori” della sua società, sulle sue tradizioni, insiste molto sui valori, e racconta come nel 2008 la compagnia stava andando molto male perché lui aveva smesso di gestirla e soprattutto questi importanti valori si erano persi e Starbucks stava dunque perdendo quote di mercato, e allora ha radunato tutti i dipendenti a Seattle e “ho chiesto scusa. Scusa per averli delusi. Per aver tradito i valori. E allora ho pianto, lì davanti a loro”, che pare un po’ troppo, oggettivamente. In fondo fanno il caffè, per quanto valoriale, non è che fanno i trapianti a cuore aperto (però poi nella lezione successiva Schultz insegna come licenziare il personale in eccesso; lì non piange, e, spiega, “bisogna farlo nel modo più empatico possibile”, “e comunque meglio prima che dopo”).
Nella prima lezione di Massimo Bottura c’è lui col sous-chef Taka, giapponese, come in una puntata di Benedetta Parodi
Restando in tema, il premio Nobel Paul Krugman insegna l’economia che però non è proprio l’economia (tipo non è che spiega il teorema di Ricardo e la curva IS-LM, ma più che altro politica economica). In una lezione sul sistema fiscale americano, abbastanza sorprendentemente, dice che le tasse americane sono in fondo ok, che non vale la pena di alzarle per i più ricchi perché entrerebbero pochi soldi in più. Sta diventando renziano. Mi fa venir voglia di radicalismo, passo dunque a Werner Herzog: il leggendario regista mostra soprattutto spezzoni di film, il suo preferito è “Viva Zapata”, con Marlon Brando; dove secondo lui c’è la miglior entrata in scena di tutta la storia del cinema (è appunto Brando che fa Zapata, e che nel film ha uno strano trucco, sembra Crozza che imita Renzi) e poi Herzog dice che per fare i registi bisogna soprattutto leggere tantissimo, e lui stesso si mette a leggere per una lezione-puntata “Il falco pellegrino” di John Alec Baker, apice della prosa uccellistica (lo amerà tantissimo anche Franzen), che lui considera il capolavoro letterario del Novecento. A questo punto mentre Herzog legge con accento tedesco le gesta del falco pellegrino, e va avanti per tutta la puntata senza che la troupe abbia il coraggio di interromperlo.
Per non addormentarmi voglio un po’ di sport. Ecco Serena Williams in una rara lezione all’aperto che vagheggia le vittorie passate e dà delle massime un po’ generaliste tipo “voglio sempre fare di più per restare la migliore!” – e infatti gli scolari nei commenti si lamentano. “Troppo generico! Che ci frega dei suoi ricordi, tanto vale andare su YouTube! Insegnaci piuttosto a fare il servizio slice!”. Mai contenti. Del resto hanno pagato 200 euro. A ogni lezione ci son dei pop-up diversi: con Bottura ti chiedono: quanto te la cavi in cucina? Io metto: “Esperto”. Con Krugman: quanto raccomanderesti questa lezione? Metto una sola stella, così non mi possono dire che mi è piaciuta e posso provare a cancellare l’abbonamento. Con la Williams: quanto la conosci? Io metto: “Abbastanza”.
Nessuno sa quanto guadagnino, questi personaggi, per fare le loro lezioni. Nessuno capisce chi glielo fa fare. Forse le megastar come la Williams lo faranno anche come sondaggioni sulla loro popolarità, non potendo certo esser pagate quanto sono abituate, oppure saranno foraggiate da sponsor con fini efferati, mentre Bottura fa pubblicità gratis al suo ristorante e il re del caffè irrora globalmente i suoi valori aziendali in pericolo (pare che il mercato “dell’apprendimento online” valga cento miliardi). Alla fine però tra un rovescio a tennis e il ripieno di un tortellino, tra il montaggio analitico e il falco pellegrino mi sento un po’ Fantozzi in ginocchio davanti ai leader politici in tv: tutti sembrano parlare proprio a te, tutto sembra fattibile ma anche un po’ lontano, nebuloso. Confondo Herzog con Schultz, il pollo col falco pellegrino, mi sogno Anna Wintour che sbuccia i pinoli. Al prezzo di duecento euro ti porti a casa qualcosa che sta tra la televendita, la story di Instagram, e il manuale di nonna Papera. Le lezioni le puoi rivedere all’infinito. E’ chiaro che non impari veramente niente, ma i professori diventano un po’ persone di famiglia. E magari fai amicizia con gli altri corsisti. La vita è altrove, ma per tutto il resto c’è Masterclass.
Antifascismo per definizione