Spiaggia di Capocotta (via Wikipedia)

Tra le dune bollenti della spiaggia di Capocotta, Cape Cod de noantri

Gianluca Roselli

Un tempo era un luogo di popolo e intellettuali, perfetto mix pasoliniano. È soprattutto luogo di libertà. Chissà, forse da Zagaia, Ar Buco, accetterebbero pure Salvini, a patto che se ne stia zitto e non rompa le palle

Roma. E poi, per fortuna, c’è Capocotta. Quale luogo migliore dove rifugiarsi in quest’estate di canicola che ha stretto Roma in una morsa infernale? In queste settimane dove l’eccitazione massima è sapere su cosa hanno litigato Salvini e Di Maio?

  

E allora meglio prendere la macchina e lasciarsi tutto alle spalle, per un giorno, per un pomeriggio. E farsi cullare dal sole e dalla grande duna, l’unica, la più bella del litorale romano. Ed entrare per qualche ora in un altro mondo, fatto di corpi nudi esposti e unti dall’olio solare, di trans che mangiano spaghetti alle vongole cianciando ad alta voce, di coppie che si tengono per mano in cerca di trasgressione, da sguardi fugaci e arrapati del mondo omosex. Di sederi e membri esposti nella parte naturista più hard, dove le dune, al tramonto, si fanno bollenti. Ma pure di etero e di famiglie, con prole al seguito, che vengono qui perché è più bello, pure l’acqua è meno giallognola, e si può azzardare addirittura un bagno.

  

Capocotta, che Michele Masneri ha ribattezzato la Cape Cod de noantri, è soprattutto luogo di libertà, di trasgressione mentale prima ancora che fisica, di accoglienza senza pregiudizi. Chissà, forse da Zagaia, Ar Buco, accetterebbero pure Salvini, a patto che se ne stia zitto e non rompa le palle. Insomma, se i pariolini di Roma Nord vanno a Fregene e Roma Sud a Ostia e Fiumicino, Capocotta è uno strano mix, dove accanto all’avvocato c’è il coatto, insieme all’architetto c’è l’istruttore della palestra, a fianco della giornalista la colf dell’est che tira fuori la pietanza portata da casa, insieme all’attricetta della serie tv c’è il capo cantiere che le ha rifatto casa. Poi, anche qui, ci sono i luoghi più “cool”. La Mediterranea, per esempio, è frequentata da tutto un sottobosco di autori tv, producer, gente di cinema e televisione. Una Capalbio stracciona e trasgressiva. “Il successo di Capocotta è semplice: la bellezza del luogo, l’accoglienza verso tutti e la libertà, in un clima tranquillo e rilassato. Ognuno può fare quello che gli pare”, racconta Claudio Presutti, il titolare, qui da 19 anni.

  

Capocotta, infatti, è una spiaggia libera dove i chioschi hanno solo le concessioni dei servizi. A differenza degli stabilimenti organizzati, compresi quelli terrificanti di Ostia, ognuno può mettersi col proprio asciugamano dove vuole, nessuno può cacciarlo. Quei due chilometri di arenile facevano parte della tenuta presidenziale di Castelporziano, all’interno della riserva naturale. Nel 1965, per volontà dell’allora capo dello Stato Giuseppe Saragat, furono donati al popolo per farla diventare “la spiaggia dei romani”. Così sono nati i “cancelli”, che sono 8, oltre i quali inizia Capocotta, con 5 ingressi. Nel 2016, per problemi amministrativi, il comune di Roma chiuse tutto, ma tutto riaprì. “Capocotta sta al piacere come piazza di Siena alla borghesia. Mentre le spiagge nudiste nel resto d’Italia sono nascoste e imboscate, e quasi ci si vergogna ad andarci, Capocotta è sfrontata, selvaggia, esibizionista. Come Roma. Ci si va per mostrare le proprie bellezze, i propri attributi. Solo questa città poteva avere al suo interno il Vaticano e Capocotta…”, osserva lo scrittore Fulvio Abbate.

  

Un tempo era un luogo di popolo e intellettuali, perfetto mix pasoliniano. Qui, nei Sessanta, Goffredo Parise portava Federico Fellini. Ci veniva pure Dario Bellezza. Qui è stata trovata morta Wilma Montesi e Sergio Citti ha girato Ostia. Nel 1979 nasce qui l’estate romana di Nicolini, con il festival di poesia a Castelporziano. “Capocotta è il ventre scoperto della città. I romani tendono a considerare Ostia un corpo estraneo, ma Ostia è la pancia di Roma, è oscenamente Roma, con tutti i suoi difetti”, dice lo scrittore Aurelio Picca. “Capocotta non è un luogo d’amore, ma di scambio sessuale rapace. Ma Capocotta è anche il punto in cui finisce l’agro romano e inizia l’agro pontino, con una luce immensa e una duna maestosa pronta ad abbracciare e nascondere i vizi dei suoi ospiti”, aggiunge Picca. E la memoria va a un giorno d’estate di qualche anno fa, quando due amici milanesi vennero portati al mare a Capocotta, un giorno in cui Zagaia era Le Fate Ignoranti, anzi di più. “Ma davvero, a Roma, esiste un posto così??”.

Di più su questi argomenti: