Reddito di cittadinanza, il concorso per Navigator alla Fiera di Roma (foto LaPresse)

Santi, poeti e navigator

Michele Masneri e Andrea Minuz

Istruttore di sci sulla Milano-Cortina? Addetto al Bosco Verticale? Bigliettaio alla seggiovia orizzontale? Conversazione estiva su come cambia il lavoro nella nuova Italia a trazione sovranista, tra reddito di cittadinanza, povertà abolita e concorsoni presi d’assalto. Appunti per l’autobiografia di una nazione

Ristoratore o portinaio, comunque anziano. E’ il lavoratore 2019 italiano che viene fuori dai dati degli ultimi giorni. Tra lavoro nero e lavoro ufficiale, tra smart worker e badanti, tra chi okkupa e chi sprofonda nella burocrazia, tra Di Maio che “odia chi crea lavoro” (così Renzi) e la disoccupazione ai minimi storici (così l’Istat), a lavorare sembrano soprattutto però i vecchi. Si capisce che ai giovani non resta che imbarcarsi su una Sea-Watch (“così optai per il mare”), o al limite fare il Navigator. Così, nell’attesa di abolire il lavoro (c’è ancora da abolire la povertà) si creano nuovi posti di lavoro per aiutare a trovare lavoro: ecco il concorsone per questa nuova figura mitologica andato in scena pochi giorni fa: quasi 80 mila domande, 53.907 ammessi, tutti in fila negli hangar della Fiera di Roma, sotto il sole, sulla Roma-Fiumicino, per un quizzone di cento domande a risposta multipla e un sogno nel cassetto. Eccitati da questa figura misteriosa, andiamo alla Feltrinelli e compriamo anche noi il manuale per prepararsi a diventare Navigator.

  

Nell’attesa di abolire il lavoro (c’è ancora da abolire la povertà) si creano nuovi posti di lavoro per aiutare a trovare lavoro

MM: Il mondo dei concorsi è meraviglioso, ha anche un’estetica specifica, una certa carta, dei font peculiari. C’è tutto un indotto di edicolanti e librerie specializzate e case editrici. Sul sito della Simone editore, la Adelphi della P.a., c’è un rullo tipo breaking news dei concorsi aperti. Cinquantatré posti area amministrativa, quaranta posti operatore socio sanitario, ventisette polizia municipale. Novantanove posti “per varie qualifiche”…

 

AM: “Ne abbiamo venduti tanti”, ci spiega il commesso Feltrinelli tirando giù il tomo, “Concorso per Navigator presso Anpal” (poi dice che in Italia non si legge); c’è anche la “password inclusa” per il “simulatore online” della prova scritta, e capisci subito perché li hanno chiamati “Navigator” e non “tutor”, che certo sarebbe stato più corretto, ma vuoi mettere, non senti come appoggia bene, “simulatore per navigator”, pare “Top Gun”.

 

MM: Ma che deve fare il Navigator esattamente?

 

AM: Il manuale è chiarissimo, lo spiega nella “premessa”: “I Navigator sono cercatori di lavoro”, avranno il compito di “guidare nella selva delle offerte i beneficiari del Reddito di cittadinanza”; già così ha un bel taglio narrativo, non a caso si apre con un lungo capitolo sulla letteratura italiana (c’è un bel “focus” sul “Conte di Carmagnola”). Gli autori sono un manipolo di dottorandi delle Università di Bari e Messina (speriamo li abbiano pagati), ma giustamente in calce alla premessa c’è scritto che “l’elaborazione dei testi, anche se curata con scrupolosa attenzione, non può comportare specifiche responsabilità per eventuali involontari errori o inesattezze”.

 

MM: Comunque è chiaro che si vuole un paese di Navigator crociani. Nel pregiato manuale che abbiamo preso, su 877 pagine, solo otto sono dedicate al reddito di cittadinanza, contro le venti (da pagina 425 a 445) alla letteratura latina, “dalle origini alla decadenza dell’impero romano”. Che poi anche a voler avere per forza dei navigator classicisti, sulla storia della musica che per l’Italia è sempre stata un bel business, si ha solo un capitolo di quattro pagine (453-456). Storia dell’arte invece sei pagine (da 459 a 464). La cultura antiscientifica trionfa: Einstein una riga, dice che “introduce il principio della relatività generale”, pagina 409. Per Darwin tre righe, con la sua teoria dell’evoluzione che “si basa su tre principi; lotta per l’esistenza, selezione naturale; trasmissione ereditaria” (pagina 408).

 

AM: Ottime, al limite, anche come tatuaggio sull’avambraccio al posto di “credere obbedire combattere”; ma la scienza nel manualone non può nulla contro “Fede e bellezza”, come dice il Tommaseo, con la sua “narrazione discontinua, percorsa da improvvise illuminazioni” (p. 40).

 

Il manuale del concorso per Navigator, un monumento alla solenne propensione nazionale per l’astratto e all’orrore per il concreto

MM: Paiono le recensioni d’epoca a Gadda. “Non sempre egli scherza”, come raccontava spesso Arbasino.

  

AM: Però – a proposito di cultura scientifica –ci sono due pagine intitolate “Allegare un file a un messaggio di posta elettronica” (con disegni), così nessuno potrà più dire “ho sbagliato a leggere le mail” (copyright Di Maio), e pure una riga su Freud, “filosofo contemporaneo che ha attribuito alla sessualità un ruolo centrale nella psiche dell’uomo” (p. 409).

   

MM: E’ un manuale giustamente anche un po’ sovranista. Alla voce fascismo mette in luce soprattutto “le grandi opere pubbliche” (pagina 65). “Per sostenere le imprese nacquero l’Istituto mobiliare italiano e l’Istituto per la ricostruzione industriale”. Insomma ci fu anche del buono.

   

AM: Sarà contenta CasaPound. D’altronde, se pensi che tutte queste nozioni serviranno per far lavorare gli altri, diventa un bel compendio di creatività italiana, un monumento alla solenne propensione nazionale per l’astratto e all’orrore per il concreto (ma perché un Navigator dovrebbe conoscere Romano Bilenchi, “scrittore dallo stile lineare, rappresentante del nuovo realismo che pose al centro la perdita dell’infanzia” e la capitale delle Isole Salomone e la “genetica mendeliana”?). Il Navigator come risposta alla disoccupazione intellettuale? Si comincia Navigator e si finisce Premio Strega? Mah.

  

  

MM: Come numero di pagine il Navigator quasi batte Scurati. “N” di Navigator contro “M” di Mussolini. Il figlio del reddito contro il figlio del secolo. Però allo Strega non si possono fare ricorsi, che si sappia. Sono molto sportivi. Invece, nel paese reale, quello dei ricorsi, sono già partiti quelli del Navigator.

 

AM: Una delle prime denunce arriva dalla Anr (Associazione Nazione Rom), dice che “la complessità delle domande è da ritenersi fuori tema, relativamente ai compiti di un Navigator” (salvo che nessuno sa poi bene quali siano); Marcello Zuinisi, legale rappresentante dell’associazione e difensore dei diritti dei Rom che ha partecipato al concorsone, chiede “la sospensione nell’attribuzione degli incarichi lavorativi ai candidati selezionati, oltre a un nuovo conteggio”; e questa possibile rivalsa dei Navigator Rom che trovano lavoro agli italiani mi pare una magnifica sceneggiatura, oltre che una bella via italiana all’economia circolare.

  


I navigator della nazione. L’ideologia dello smart work e del green, che altrove forse funziona, da noi tracolla nello sbraco. L’okkupazione, il coworking all’italiana. Il disprezzo per il lavoro manuale


    

MM: La Rom Com col Navigator.

  

Il lavoro è sempre “al centro dell’agenda”, ma sempre a chiacchiere, perché non si può mai dire che lavorare qui non conviene, perché sopra una certa aliquota si porta via tutto il fisco, perché l’idea di aprire un’attività commerciale è ostacolata con ogni mezzo, perché il lavoro è sempre “sfruttamento”

AM: E con molti anziani, tipo ultimo Clint Eastwood: del resto, lo spiegano bene anche i dati Istat, “è il valore dell’occupazione più alto dal ’77”, ma poi si specifica che “il traino sono soprattutto gli ultra cinquantenni e i sessantenni”, quindi, grosso modo, son gli stessi del ’77. Che tempra.

  

MM: Anche a Roma, secondo un’inchiesta pubblicata dal Corriere, lavora solo un giovane su due. L’altro affitta l’appartamento di nonna: gli Airbnb in città sono 29.436, mentre cinque anni fa erano 13.500: l’aumento è del 118 per cento. Una città di anziani e affittacamere: in centro ci sono 234 ultra 65enni ogni cento under 14. Cinque vecchi per ogni bambino con meno di 6 anni. Anche l’età media è tra le più alte, più di 47 anni. Intanto hanno aperto 8.354 imprese ma 8.619 hanno chiuso. Il saldo negativo è di 265 attività. Rimane solo la ristorazione: 1.872 aperture contro 707 chiusure. Boris aveva ragione.

  

AM: Il lavoro è sempre “al centro dell’agenda”, ma ovviamente sempre a chiacchiere, perché non si può mai dire che lavorare qui non conviene, perché sopra una certa aliquota si porta via tutto il fisco, perché l’idea di aprire un’attività commerciale è ostacolata con ogni mezzo, lecito e illecito, perché molti italiani vivono non di rado come una disgrazia più il lavoro che il non-lavoro, perché il lavoro è sempre “sfruttamento”, è sempre lontano da casa, è un ostacolo alle nostre aspirazioni classiche: scrittore, coscienza critica, ingegnere dell’anima, forestale in Sicilia, blogger, influencer, startupper, e adesso Navigator. E se i concorsoni ti danno la nausea puoi sempre fare l’okkupante, il rivoltoso tollerato o coccolato dalle istituzioni e dagli artisti; l’okkupante come lavoro a tempo pieno, status e prosecuzione del posto fisso con altri mezzi; con le okkupazioni tutte le rivendicazioni si mutano non solo in lavoro, ma in piccole e medie strutture burocratiche, peraltro assai agili e vantaggiose in fatto di spese e permessi e licenze rispetto a chi fa “impresa”; niente cda, ma “collettivi” e “comitati”: l’okkupazione come modello di impresa è il futuro “con i piedi ben piantati nel passato”.

   

MM: Ma infatti vorremmo tutti dei dati Istat sulle okkupazioni, ma non ci sono, mannaggia. L’okkupazione è il coworking all’italiana. Si fa impresa, ristorazione, intrattenimento, housing sociale, condiviso e partecipato, come a Roma nei compound dell’emergenza abitativa, dove stanno soprattutto birrifici artigianali, dj set, concerti di miss Keta. L’okkupazione porta anche indotto turistico: secondo il Manifesto, “il viaggio nelle occupazioni romane dovrebbe diventare un appuntamento fisso” (11 luglio 2018). “Una giornata di educazione civica, un momento per stringere alleanze e essere solidali, un modo per combattere i pregiudizi razzisti o sostituire l’alternanza scuola-lavoro per gli studenti delle superiori”. Così a Roma non si visiterà più il capitalistico Colosseo o il patriarcale Castel Sant’Angelo. “Giorgio De Finis – il vulcanico neo-direttore del Macro, ideatore del museo dell’altro e dell’altrove (Maam) nell’occupazione Metropoliz, ha organizzato R/Home tour, un tour delle occupazioni abitative con ospite il vicesindaco e assessore alla cultura della Capitale Luca Bergamo”. Mica male come grand tour, no? De Finis, poi, coerentemente, ha risolto anche il suo di problema abitativo, andando proprio ad abitare al Macro, il museo di via Mantova, quartiere Coppedé, dicono. Comunque, “due autobus sono partiti dal Campidoglio, a bordo docenti di urbanistica e dottorande di ricerca, artisti e urbanisti, alcuni esponenti dei movimenti della casa, il segretario dell’Unione inquilini Massimo Pasquini”. Il culmine del tour è la via Tiburtina dove si concentra il 60 per cento delle occupazioni romane, quella Tiburtina Valley che doveva qualche anno fa essere la Silicon Valley romana. Lo si pensava seriamente. Ma adesso l’hanno spostata, mi pare, ’sta Silicon.

  

Ecco deliranti nuovi mestieri. Le scintillanti figure professionali della green economy, per esempio il “tutor dell’orto”, “un professionista che insegna a coltivare l’orto sui balconi”. Oppure il “promotore culturale per lo sviluppo del turismo rurale” o l’“educatore ambientale per l’infanzia”

AM: Questa volta alla periferia di Roma sud-est, precisamente “alle pendici dei Castelli romani”, dove una volta era tutto porchetta sorgerà solo “ricerca hi-tech”. Di Silicon Valley non potevamo averne una, qui è tutta una “Silicon Valley diffusa”: c’è quella milanese, a Porta Nuova, quella di Napoli, a San Giovanni a Teduccio, dove gli “operai del Terzo millennio indossano le tute casual della rivoluzione digitale e hanno sostituito il lavoro alla catena di montaggio con i calcoli e gli algoritmi che scorrono sui loro pc”, poi c’era “Mosaicon”, la Silicon Valley siciliana che ha già chiuso, ma che importa, si può sempre occupare per farci una “Silicon Valley antifascista”

  

MM: Silicon Valley, jobs act, smart working, green economy. Quando arriva l’inglese di solito c’è la sòla.

  

AM: Anche perché l’inglese non scalfisce il nostro disprezzo per il lavoro manuale, l’antichissimo pregiudizio per l’impiego di bottega, vissuto sempre come affronto alla propria “rispettabilità” che, nel frattempo, si è saldato alla micidiale retorica dei talent, al culto del “self” e del “dream”, “se ci credi, ce la fai”. Ma anche l’ideologia dello smart work e del green e tutte quelle cose che ad altre latitudini e in altri climi forse funzionano pure, da noi tracollano fatalmente nello sbraco totale o nella truffa e nella fuffa; ecco che la già poca voglia di lavorare si riproduce in un catalogo di nuovissime aspirazioni. Ecco deliranti nuovi mestieri. Le scintillanti figure professionali della green economy, per esempio il “tutor dell’orto”, che non è mica un giardiniere, come pensi tu, ma “un professionista che insegna a coltivare l’orto sui balconi”, come spiega la Coldiretti; “il tutor è un insegnante qualificato che segue la crescita delle piantine finché il cliente non impara a curarle da solo”; insomma tu lo porti fino a un certo punto ma poi, è chiaro, deve andare avanti da solo; il tariffario è di 20 euro più Iva all’ora. Dico, proviamoci: se non ci prendono come Navigator andiamo a fare i tutor dell’orto a Milano, alla Martesana, poi dopo che hai ingranato, dopo che ti sei fatto un nome nel giro degli “orti che contano”, metti su le consulenze di piantine in Skype-call, poi fai i corsi on-line, poi conferenze e reading a numero chiuso con Michelle Obama e Greta Thumberg al Bosco verticale.

  

MM: Istruttore di sci sulla Milano-Cortina? Addetto al Bosco verticale o bigliettaio alla seggiovia orizzontale? Ci saranno mille opportunità (o sarà Deportazione?).

  

AM: Oppure il “promotore culturale per lo sviluppo del turismo rurale” o l’“educatore ambientale per l’infanzia”, perché c’è il business delle fattorie didattiche “con pascolo allo stato semi brado”, occasione di “apprendimento linguistico, in quanto contenitore di parole, suoni, rumori e azioni ‘altre’”; magari non saprà scrivere in italiano ma imparerà a grugnire; o ancora i “manovali esperti nell’utilizzo di calcestruzzi Green”, che poi saranno sempre dei rumeni in nero ma “green”; anche la Raggi aveva insistito molto: “Una vera economia circolare nel rispetto dell’ambiente come sottolineato nella stessa Enciclica Laudato si’ di Papa Francesco”; diceva l’assessora Montanari prima di dimettersi; perché “quelli che consideriamo rifiuti sono a tutti gli effetti materiali che possono tornare a nuova vita”; e su questo non c’è dubbio, basta guardarsi intorno proprio ora. Comunque c’è una “vasta platea di professioni”; le previsioni parlano chiaro: mezzo milioni di posti di lavoro nel 2023, per un nuovo agromiracolo italiano. 

   


L’abolizione della povertà e la fine del lavoro (nel 2054, secondo Casaleggio). Quelli che si vergognano del mito del progresso ma continuano a dirsi progressisti. Rileggersi la presentazione dei “Vitelloni”. Non si trovano più bagnini, mentre gli intercettatori non conoscono crisi. Un paese fondato sulla ricerca del lavoro


   

MM: Tanto durano poco, perché il lavoro finisce per sempre nel 2054, l’ha detto Casaleggio, prima l’abolizione della povertà, poi la fine del lavoro.

   

AM: E’ il cuore dell’economia circolare, cenere alla cenere, polvere alla polvere. Anche perché di “Sviluppo” e “Progresso”, con quella loro furibonda, razionale “spinta in avanti”, neanche a parlarne, non si portano più, un’idea orrenda, un “mito”; non a caso l’economia circolare o green o il kilometro zero non hanno a che fare col “guardare avanti”, ma con lo star fermi e immobili e il girarci intorno; e qui c’è anche un altro bel problema, perché gli stessi che si vergognano del mito del “progresso” continuano a dirsi pur sempre “progressisti”. E poi (se posso divagare) c’è la grande introiezione ideologica della sinistra che per mezzo secolo sul lavoro ha privilegiato la classe operaia su tutte le altre piccole o medie professioni, artigianato, agricoltura, imprese familiari, poi si è lanciata nella difesa di posti di lavoro costosi e inutili, infine ha scelto di suicidarsi sull’altare dei “diritti”, dunque fuori gli operai, dentro i migranti, con tutti i feticci della lotta di classe e degli scioperi generali tirati giù dagli scaffali e appiccicati sui barconi; una distesa interminabile di meravigliosi “diritti” ma con la pressione fiscale al 62 per cento; è un po’ come diceva Sordi nei “Magliari”, quel bel film sull’emigrazione italiana in Germania: “Voi me dovete fa’ la morale perché lavorate in fabbrica e finché c’è la fabbrica tutto va bene. Ma se un giorno manca, ’sta fabbrica, da soli ve sapete move’?”. Non me pare.

  

Per mezzo secolo la sinistra sul lavoro ha privilegiato la classe operaia sulle altre piccole o medie professioni, artigianato, agricoltura, imprese familiari, poi si è lanciata nella difesa di posti di lavoro costosi e inutili, infine ha scelto di suicidarsi sull’altare dei “diritti”, dunque fuori gli operai, dentro i migranti

MM: “Mondo operaio!”. Santi, poeti (ancora). E’ chiaro che queste enunciazioni sono più che altro proiezioni, wishful thinking – se sei costretto a dichiararlo in Costituzione, che sei fondato sul lavoro, vuol dire che non ci credi mica tanto. Come Roma che deve scriverlo dappertutto, che è Capitale, pure sulle macchine della polizia e sui sacchi della monnezza. Servirebbe il dottor Freud.

  

AM: Magari chiediamo a un Navigator.

  

MM: Sì, però basta lamentarsi. E’ chiaro che per certi lavori che scompaiono, ce ne sono altri che tirano tantissimo. Un lavoro molto elitario e ambito è quello del vescovo elemosiniere. E’ la mia passione dell’estate 2019. Si chiama Konrad Krajewski, è polacco, che per la chiesa fa sempre chic, è famoso perché gira per Roma con un Fiat Ducato con cui va a portare cibo e acqua agli affamati. E’ un eroe, la Stampa gli ha dedicato un’intera pagina la settimana scorsa. Di notte “don Corrado” si trasforma in supereroe e cambia mezzo, una Vespa Special bianca, con stemma vaticano, e va a riattaccare la corrente a chi non la paga, negli stabili okkupati. Siamo alla Santa Alleanza della Zeppa, e alla vecchia storia del cammello e della cruna dell’ago, non si scappa. Lavorare di domenica, mai, anche qui elemosinieri e Cinquestelle son d’accordissimo (ma poi la misura sembra svanita nel nulla). Applicata solo a Roma, da sempre, dove gli esercizi commerciali svolgono orari “dalle otto alle otto”, per citare Cinzia Leone d’epoca. O i cantieri stradali richiedono lustri. Davanti al Quirinale per sostituire cinquecento metri di Sanpietrini la strada è chiusa da sei mesi. Li vedi lì, che alzano il sampietrino come il santissimo. Pause pranzo lunghissime, di lavorare di notte non se ne parla. Il faro non è previsto.

  

AM: Sei pazzo? Col faro si va all’inferno direttamente.

  

MM: E però noi poveri giornalisti, anche queste righe disgraziate, si scrivono di notte, nel weekend, come poi sono abituati a fare tante categorie.

  

AM: No, solo ad Avellino!, dice il sindaco di Milano Sala.

  

MM: Però nella Silicon Valley lavorano tutti tantissimo anche nel weekend e di notte. Insomma, decidiamoci. Qui da noi arriva subito lo straniamento e lo sfruttamento. Il peggio è nei centri commerciali. Il centro commerciale è sempre dipinto come un’esperienza orwelliana. Vengono ancora i brividi a leggere dei Raimo d’epoca, reportage seminali su Internazionale: “Il rumore bianco dei frigoriferi che si amplifica”. White noise, capisci? Nella Tiburtina Valley. “La luce dei neon che si allarga sui corridoi tra le merci che paiono assopite sugli scaffali in attesa di clienti, una musichetta in sordina trasmessa da una filodiffusione che sembra una radio lasciata accesa sovrastata dal clangore ottuso dei transpallet manuali che caricano i colli appena arrivati, un ticchettio che non si capisce se provenga da un rubinetto che perde da qualche parte sul retro o da un orologio industriale: fare la spesa in un supermercato di notte è un’esperienza lunare. Che siano le due o le cinque, non è tanto il tempo a essere sospeso, ma l’ordine sociale; dopo mezzanotte chi entra qui ha quasi sempre l’andare di un turista galattico o la faccia di uno scampato”. In Italia però tanti son turisti a vita.

   

AM: Interi periodici e saggi e editoriali contro il lavoro quando basterebbe rileggersi la presentazione dei “Vitelloni”, Fellini-Flaiano, 1953, che forse oggi farebbero gli okkupanti o gli influencer: “Ciascuno di loro ha qualcuno che, bene o male, lo mantiene: un padre, una madre, una sorella, una zia, una famiglia […]. Nessuno di loro sa bene cosa vorrebbe fare. I piccoli lavori, le piccole occupazioni che la cittadina di provincia potrebbe offrire alla loro scarsa preparazione, li disdegnano. Hanno fatto qualche studio, ma non sono arrivati in fondo. Non hanno attitudini per niente in modo speciale; aspettano sempre una lettera, una offerta, una combinazione che li porti a Roma o a Milano per qualche incarico generico, onorifico e redditizio; e aspettando sono giunti verso i trent’anni; passano la giornata a fare discorsi e scherzetti da ragazzini del ginnasio; e brillano nei tre mesi della stagione balneare, la cui attesa e i cui ricordi occupano tutto il resto dell’anno”.

    

MM: E invece oggi manco la stagione. Si è lamentato molto il sindaco di Gabicce (dove andavo da piccolo). Non si trovano più bagnini. Ci saranno altri lavori anche per i nostri giovani? Pensiamoci. Il commissario Alitalia, per esempio, quello pare un buon lavoro. Sono sempre lì, a trattare soluzioni “dell’ultimo minuto”, da vent’anni, i “pretendenti” di Alitalia (il lessico è sempre matrimoniale). Sono sempre esotici, sono una speciale categoria dello spirito in cui rientrano anche quelli della As Roma. Spesso si confondono. Anche nelle ultime intercettazioni: “Non sai che Renzi sta trattando con l’Emiro del Qatar”. L’intercettatore è un altro lavoro che non conosce crisi. Unisce la creatività italiana con la cultura del diritto, ha tutta una filiera, unisce pubblico e privato, magistratura e editoria. Esiste un manuale per l’intercettatore, anzi Interceptor? Facciamolo subito. Si dovrebbe cambiare un po’ soggetto, però variare un po’ il palinsesto. Noi per esempio siamo un po’ stufi, è estate, della politica, vorremmo per esempio leggere delle intercettazioni di sport, spettacolo, moda. Cosa dice uno stilista di Valentino su certi colleghi di Fendi. Vorremmo gli screenshot della leggendaria chat romanista di Enrico Vanzina con Verdone, Malagò, Amendola, ecco. L’intercettazione generalista ha fatto il suo tempo. Vogliamo la Netflix dell’intercettazione.

   

AM: Questo potrebbe creare un ulteriore indotto. Le dividi per generi come i film e le serie: intercettazioni telematiche, telefoniche, ambientali, per adulti o per tutta la famiglia.

   

MM: Intercetta quando vuoi. Però, un altro lavoro: il portiere gallonato, che riceve i pacchi Amazon e li custodisce per i destinatari. Chissà se nei 1.000 posti che Amazon dice che creerà quest’anno in Italia (per 6.500 posti totali) verranno conteggiati anche questi. In Silicon Valley è già successo, perché lì ci sono gli homeless che ti rubano i pacchi dall’androne.

   

AM: Ma non era meglio questo del reddito? Una bella trattativa stato-Amazon per cofinanziare migliaia di posti da portiere in stabili signorili col grembiule di Amazon, il berretto e l’iPad; noi avremmo comunque dovuto metterli “a concorso”, stampare un nuovo manualone coi quiz e infilarci la voce “Storia della Silicon Valley”, però ne valeva la pena.

   

MM: Ma torniamo alle peculiarità locali. Ci sono lavori romani che stonerebbero a Milano: “abusivi saltafila centurioni”, titolava il Messaggero qualche giorno fa su certi skill a chilometri zero, e immaginare un milanese vestito da Antico Milanese che irretisce turisti sotto le palme del Duomo pagate da Starbucks non è la stessa roba. Anche pompiere di autobus non autoestinguente, o autista-scrutatore non funzionerebbero. A Roma poi il lavoro segue categorie peculiari. Intanto è pubblico. Al comune, pesantemente sotto organico con soli 23.207 dipendenti, si tiene ogni anno una specie di beauty contest per individuare le pagelle di ognuno e ottenere il famigerato “salario accessorio”, cioè una parte dello stipendio legato alla performance. Chi si aspetterebbe pagelle bassissime in questo 2019 in cui è avvenuta la grande napoletanizzazione di Roma, sbaglia. Media dei punteggi: oltre il novanta per cento. Ma è chiaro che il lavoro assume valenze diverse. “Essere un gran lavoratore” vale come titolo onorifico al nord, ma a Roma sembrerebbe più che altro una presa per il culo. Certo se si sommassero i ventitremila dipendenti del comune coi diecimila Alitalia verrebbe fuori una clamorosa marcia dei quasi-quarantamila, con la Roma-Fiumicino bloccata. Passando peraltro dalla Cristoforo Colombo davanti alla Fiera di Roma in cui si è svolto il mega concorso per i cinquantamila candidati ai 3.000 posti di Navigator. Sai che non è stato sufficiente il palazzo degli Esami a Trastevere. L’Italia è un paese fondato sulla ricerca di lavoro. Sul turismo concorsuale.

   

Il mestiere dell’intercettatore ha tutta una filiera, unisce pubblico e privato, magistratura e editoria. I lavori romani che stonerebbero a Milano. La nostra riverenza per il Dott. e il Prof. Per arrivare all’agognato Titolo di Studio non bisogna perdere neanche un secondo disperdendosi in lavori manuali

AM: E sul valore legale del titolo di studio, con la nostra riverenza per il Dott. e il Prof. che non arretra neanche sulle barricate della rivolta, anzi: “Carola Rackete ha scritto una tesi sugli Albatros”, riportato in pompa magna da tutti i giornali come già questo la infilasse in automatico dalla parte dei Giusti; si è dottorata, si è masterizzata; poi, si capisce, nel paese del liceo classico l’albatros accende una sfrenata fantasia mediterranea di libertà senza confini, l’albatro di Baudelaire, i gabbiani di Cardarelli, il passero solitario e tutte le altre specie protette; avesse scritto una tesi su “limiti e applicazioni dell’acciaio navale saldato” non ci si faceva granché; e poi co’ ’sti “albatros” siamo, come sempre, in piena commedia all’italiana, siamo dentro “In viaggio con papà”, con Verdone, eco-bamboccione in salopette di jeans che salva i gabbiani e vive di stenti e sacco a pelo in una comunità guidata da un guru-cialtrone che pare indiano ma è di Ascoli Piceno, e Sordi scellerato, egoista, venuto su col boom che prova senza successo a inculcargli i formidabili piaceri del sesso e della modernità; un altro film in cui c’era già tutto, pure il titolo di studio, visto che il guru si faceva chiamare “il Professore”!

   

MM: Italia Dott.Com! Per arrivare all’agognato Titolo di Studio non bisogna poi perdere neanche un secondo disperdendosi in lavori manuali. Laurea first (anche se poi abbiamo i laureati più tardivi del mondo). L’Incubo dello Sfruttamento – parente del Fantasma della Deportazione – è sempre in agguato. Ogni volta che agli studenti proletari viene proposto qualche lavoretto scatta la protesta (cosa incomprensibile ai loro colleghi figli di capitalisti che fanno le scuole da ricchi, steineriane o inglesi o americane, si smazzano in fattorie e tavole calde e fanno a gara a fare lavori manuali poiché non complessati dalla manovalanza da almeno qualche generazione). A primavera 2018 scatta la protesta nel liceo Vittorio Emanuele II di Napoli, dove gli studenti si sono rifiutati di collaborare col Fai nell’ambito della vituperata alternanza scuola-lavoro. La domenica delle Palme era stato loro proposto l’ignobile turno 13.30-17.30. “Questo non è formativo! Vogliamo studiare e stare in famiglia!”.

   

AM: Nella formazione permanente della laurea e post-laurea e dottorato, master, corso di aggiornamento, perfezionamento, workshop, laboratori e seminari non c’è più spazio per lavorare. Quella cosa novecentesca di obbligarti a fare il cameriere fosse anche per un mese o la stagione a Gabicce, non certo per soldi, ma per darti una svegliata non si usa più, archiviata anche quella nello “sfruttamento”; “no professore, non ho mai lavorato, i miei genitori preferiscono che mi concentri sulla musica”, mi rispondono flotte di aspiranti Anna Tatangelo e piccoli Fedez quando gli domando se hanno mai lavorato un giorno in vita loro.

     

MM: La domenica delle palme in famiglia. Poi Pasqua coi Navigator.