(foto LaPresse)

Joe Biden e la sua dimestichezza con il dolore sono la cura per questo 2020 di lutto

Paola Peduzzi

Ora che c’è un un lutto nazionale, quello di George Floyd, lui è sembrato l’unico in grado di dire parole da ricordare agli americani, che stanno vivendo un’epoca di ferite antiche che si saldano con quelle nuove

Nell’ufficio di Joe Biden al Senato c’è un raccoglitore pieno di “materie prime per il dolore”, ha scritto il New York Times mettendo insieme i discorsi di Biden in ricordo dei morti. Il suo lutto si è declinato in tanti dolorosi momenti, dalla morte della moglie e della figlia al primo giuramento al Senato (era il 1972) a quella qualche anno fa del figlio Beau. Poi ci sono stati i lutti degli altri, degli amici e dei colleghi, e Biden sceglieva dal suo raccoglitore gli spunti per creare quella che i giornalisti del New York Times definiscono “fluency on death”, la scioltezza con cui lui parla della morte, per esperienza e per empatia e per consolazione. Ora c’è un altro lutto, un lutto nazionale, quello di George Floyd, ucciso da un poliziotto a Minneapolis, e Biden è sembrato l’unico in grado di dire parole da ricordare, alla famiglia e ancor più agli americani che stanno vivendo un’epoca di ferite antiche che si saldano con quelle nuove e ai più mancano le cose da dire. Biden ha dimestichezza con il dolore, certo, ha il suo raccoglitore, ma oggi l’America ha bisogno di qualcosa d’altro rispetto alle parole, ha bisogno di una guida che sappia guarire e che sappia dare un senso a questo continuo contare i morti. Si contano i morti nelle proteste, si contano i morti dalla pelle nera, si contano i morti da Covid che hanno spesso la pelle nera e che non stanno scendendo: il paese non è pronto alla riapertura così come non sembra pronto quasi più a nulla se non a rovesciarsi addosso dolori e rancori. A marzo, Biden stava per dare il suo numero di telefono in diretta tv chiedendo a chi stava elaborando un lutto di farsi vivo, “non che io sia un esperto – disse – è solo che ci sono passato”. Quella genuinità nel maneggiare il dolore, il proprio e quello degli altri, la capacità di essere sincero – c’è “un buco nero”, come lo chiama lui, che ti accompagna per sempre e non è vero che scompare, impari solo a fargli posto – e rassicurante – il giorno in cui penserai al tuo caro morto e sorriderai: quel giorno arriva – hanno fatto la differenza con Donald Trump più di qualsiasi altri sondaggio o programma o diatriba. Quando Biden dice al presidente: ti manca “l’empatia” è molto più credibile e diretto e vero di quando lancia altre accuse, perché se c’è un tratto umano che differenzia questi due anziani signori che si contendono la Casa Bianca quella sta proprio qui, nella gestione di un 2020 di lutto nazionale.

 

Molti si sono chiesti se questo sia il momento di una leadership che curi e che sia attenta al dolore, dopo questi anni di superficiale brutalità, o se sia come spesso è accaduto un’altra illusione ottica, proprio come accadde nel 2016. La risposta non c’è ma c’è il bisogno di respiratori e di mani da stringere (con i guanti) e di congiunti da sorreggere, c’è bisogno di cure, perché le perdite cominciano a essere tante, nei numeri ma soprattutto nelle proprio certezze. Biden è uno che sorregge, lo ha fatto per sé e la sua famiglia e lo ha fatto molto spesso per gli altri, e pazienza se poi contano il numero di giovani che va a votare – perché dopo tanta mobilitazione andranno a votare vero? – e la popolarità presso la comunità afroamericana e i margini negli stati in bilico. Pazienza se poi conta che scelta farà per la vicepresidenza, e chissà se è vero che gli astri nascenti – come il sindaco di Atlanta, la città “dell’inferno” di queste ultime ore, Keisha Lance Bottoms – faranno un balzo in avanti per non lasciare inascoltate proteste e richieste. Pazienza se conteranno gli equilibri interni ai democratici e la forza della campagna trumpiana che ha già cominciato a parlare di “vittoria a valanga” secondo il noto format “noi vi diciamo quel che gli altri non vi diranno mai”. Pazienza se poi le appartenenze e i calcoli avranno il sopravvento, perché oggi Biden e la sua dimestichezza con il dolore sembrano l’antidoto a mesi di retorica sugli uomini forti e i toni forti, una parola sussurrata all’orecchio che fa quello che dovrebbero fare le parole di chi si prende cura di noi: lenire il male che fa.

Di più su questi argomenti:
  • Paola Peduzzi
  • Scrive di politica estera, in particolare di politica europea, inglese e americana. Tiene sul Foglio una rubrica, “Cosmopolitics”, che è un esperimento: raccontare la geopolitica come se fosse una storia d'amore - corteggiamenti e separazioni, confessioni e segreti, guerra e pace. Di recente la storia d'amore di cui si è occupata con cadenza settimanale è quella con l'Europa, con la newsletter e la rubrica “EuPorn – Il lato sexy dell'Europa”. Sposata, ha due figli, Anita e Ferrante. @paolapeduzzi