(foto Pixabay)

Il Regno Unito si è messo a dieta

Paola Peduzzi

BoJo si lancia contro l’obesità (con qualche contraddizione). Speriamo che lo stato non diventi cafone

Il Regno Unito si è messo a dieta, anzi è stato messo a dieta dal suo governo e dal suo premier, che incidentalmente sono anche i più liberali del ventennio, quelli che non vogliono farsi dire dall’Europa come deve essere la curvatura di una banana (cosa che l’Europa non ha mai detto) ma in compenso pretenderanno che nei menu dei ristoranti ci sia scritto quante calorie contiene ogni singolo piatto proposto. Tutta colpa del Covid-19, che sta cambiando le relazioni tra le persone (che sollievo essersi tolti l’imbarazzo di porgere sempre la mano quando gli altri si aspettano maggiore affetto: ora gomiti a tutti) e quelle tra i cittadini e lo stato. Il premier Boris Johnson ne fa una questione personale: “Ero troppo grasso”, ha detto lanciando la campagna contro l’obesità e ricordando il suo ricovero a causa del Covid-19, le ore in cui ha temuto di morire, e poi la convalescenza, che è anche una nuova consapevolezza, se non sulle mascherine certo sul peso medio consentito agli inglesi. Così ora i 3x2 sui prodotti con molte calorie saranno proibiti, le pubblicità di cibo considerato non salutare saranno vietate dalle 21 in poi, i medici saranno incoraggiati a prescrivere la bicicletta e la corsa mattutina (Johnson dice che dopo una corsa alla mattina è vietato essere infelici), e sarà presto disponibile una app gestita dal sistema sanitario nazionale che propone una dieta di dodici settimane per perdere almeno due chili e mezzo.

 

Secondo i dati ufficiali del Regno, il 28 per cento degli adulti è obeso, se si sommano anche i sovrappeso la percentuale arriva al 63 per cento. Il 23 per cento dei bambini che entrano a scuola è obeso, dopo sei anni la percentuale sale a 34. Secondo il Times, il Regno Unito è stato definito “the fat man of Europe”, il paese grasso dell’Europa, dove l’obesità cresce più velocemente che in tutti gli altri paesi sviluppati (il Giappone ha soltanto il 4 per cento di obesi). Come mai? Questa è la domanda cui tutti gli esperti britannici vorrebbero dare una risposta, per ora è stato stabilito che non si è verificata alcuna mutazione genetica nel corpo degli inglesi ma è la società che è cambiata moltissimo in termini di “lavoro, trasporto, produzione vendita di cibo”, secondo il report del governo che fu commissionato nel 2017. C’è una correlazione tra aree più povere e obesità, come ovunque, e già dal 2016 il governo inglese ha cercato di trovare politiche adatte per ridurre l’obesità infantile che nelle zone con reddito medio più basso è quasi il doppio rispetto alle aree di reddito elevato: allora era stata introdotta la “sugar tax”.

 

La campagna di oggi è rivolta anche agli adulti e si è resa più urgente perché l’obesità impatta parecchio sul sistema sanitario nazionale già sufficientemente messo alla prova dalla pandemia. Ma come spesso accade quando lo stato diventa babysitter, da un lato c’è la campagna contro l’obesità e dall’altra è stato introdotto “Eat out help out”, un sistema di incentivi che copre il 50 per cento dei pasti consumati in alcuni ristoranti – nella lista, ancora incompleta, ci sono McDonald’s, Burger King e Pizza Hut, che sono le catene di fast food che vengono penalizzate dalla campagna contro l’obesità (il junk food). Il governo vuole che gli inglesi vadano a mangiare fuori perché così la vita ricomincia e i consumi tornano a dare vita a un’economia molto provata dalla pandemia, ma allo stesso tempo vorrebbe che gli inglesi mangiassero meno e meglio, per contenere il tasso di obesità e soprattutto i costi sanitari a esso legati.

 

Johnson dice che non è diventato tutto d’un colpo un sostenitore del big governement e che lo stato che bullizza non fa certo per lui, ma questa pandemia ci costringe a essere molto diversi da quello che siamo, almeno per qualche tempo. Così lo stato ci dirà com’è il girovita perfetto, almeno per un po’, sperando che a furia di farsi gli affari nostri, non diventi troppo cafone.

  • Paola Peduzzi
  • Scrive di politica estera, in particolare di politica europea, inglese e americana. Tiene sul Foglio una rubrica, “Cosmopolitics”, che è un esperimento: raccontare la geopolitica come se fosse una storia d'amore - corteggiamenti e separazioni, confessioni e segreti, guerra e pace. Di recente la storia d'amore di cui si è occupata con cadenza settimanale è quella con l'Europa, con la newsletter e la rubrica “EuPorn – Il lato sexy dell'Europa”. Sposata, ha due figli, Anita e Ferrante. @paolapeduzzi