I test per il Covid-19 fatti a Chessington, Londra (foto LaPresse)

Il Regno Unito, il sogno di individuare gli immuni e un nuovo codice di convivenza

Paola Peduzzi

Dopo la magra figura rimediata con la storia dell'immunità di gregge, ora Londra vuole essere il primo paese a testare tutte le persone a casa

Ognuno cerca la propria exit strategy alla pandemia, come se ci fosse un’alternativa alla convivenza con il virus, oggi e ancora domani, chissà per quanto tempo ancora. C’è chi sogna una data certa da rivendere ai propri cittadini – a Pasqua tutti in giro, per esempio: una promessa che nessuno è certo di poter mantenere; c’è chi studia soluzioni tecnologiche che possano, via app, stabilire quando è il momento per uscire, comunicando il proprio stato di salute al governo – soluzione ambita, ma che impone una doppia fiducia: nell’onestà dei cittadini e in quella dei governi quando l’emergenza sarà finita; c’è chi conta sull’immunità delle persone che sono state contagiate e sono guarite.

 

In quest’ultima categoria rientra il Regno Unito: mentre il premier Boris Johnson e il suo superguru Dominic Cummings si mettono in isolamento perché entrambi positivi al Covid, il paese continua a subire il fascino dell’immunità (di gregge, ma non solo) al punto da affidarle anche la prossima, agognatissima normalizzazione. Il governo è d’accordo “in linea di principio” ad acquistare 17,5 milioni di “antibody test”, dei test che permettono di verificare se una persona abbia già avuto il Covid e quindi sia ora immune.

 

Il test sarebbe velocissimo: in 15 minuti, pizzicando un dito, si saprebbe se c’è la possibilità che la persona testata sia immune, visto che ha già preso il Covid (la premessa su cui la scienza non è del tutto concorde è: se prendi una volta il Covid non puoi riprenderlo). L’obiettivo di questi test è creare una comunità di immuni che possa ricominciare a lavorare e a rimettere in moto l’economia britannica. Questi test servirebbero anche a quantificare il contagio, rilevando tutti quelli che non hanno avuto alcun sintomo ma hanno comunque preso il virus, e quindi ora sono immuni. Questa ossessione per l’immunità non è soltanto britannica, anche se nel Regno è diventata (per un attimo) strategia e poi tema di dibattito: nella Germania dell’eccezione, ha raccontato lo Spiegel, si sta lavorando a certificati di immunità, dei patentini che permetterebbero di ricominciare ad avere una vita lavorativa e in parte sociale, con grande cautela.

 

Gli inglesi però, dovendo correre dietro al tempo visto che lo hanno perso all’inizio e dovendo anche ristabilire un’immagine di affidabilità frantumata dalla storia dell’immunità di gregge (c’è sempre lo spirito del Blitz, certo, ma a volte non basta), vogliono conquistare un primato: Jeremy Hunt, oggi a capo della commissione Salute ai Comuni, ha scritto sul Daily Mail che il Regno dovrebbe investire ancora di più nei kit degli anticorpi, in modo da essere il primo paese a testare tutte le persone a casa. Sarebbe una gran dimostrazione, dice Hunt, e ce ne sarebbe bisogno dopo queste settimane passate a trovare l’eccezione britannica sbagliata. La scommessa è ancora una volta audace, e per il momento gli inglesi si stanno abituando all’idea che aprile sarà per buona parte un esperimento sociale casalingo. Ma già si cerca di capire quanto possa essere grande la comunità degli immuni, chi ne farà parte, se la prossima scalata sociale sarà questa, io sono immune e tu no, e soprattutto quale sarà il codice di convivenza una volta che non saremo più tutti uguali davanti al virus.

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  • Paola Peduzzi
  • Scrive di politica estera, in particolare di politica europea, inglese e americana. Tiene sul Foglio una rubrica, “Cosmopolitics”, che è un esperimento: raccontare la geopolitica come se fosse una storia d'amore - corteggiamenti e separazioni, confessioni e segreti, guerra e pace. Di recente la storia d'amore di cui si è occupata con cadenza settimanale è quella con l'Europa, con la newsletter e la rubrica “EuPorn – Il lato sexy dell'Europa”. Sposata, ha due figli, Anita e Ferrante. @paolapeduzzi