(foto LaPresse)

Codice rosso! Le due anime della sinistra rinunceranno alle liti mentre l'occidente brucia?

Paola Peduzzi

L'appello ai democratici americani e al labour britannico è: fate un bel respiro, non complicatevi la vita, ché divisi non si vince

Riuscirà la sinistra a ritrovare un terreno comune in cui non ci si scanna, in cui non si sbraita, non si accusa, non si punta alla giugulare, io sono radicale e con te moderato non voglio nemmeno prendermi un caffè? È una domanda che sta tormentando tutte le sinistre occidentali, in particolare quella inglese e quella americana, perché entrambe sono in mezzo alle primarie (del Labour e del Partito democratico) e sanno che a vincere sarà soltanto uno, o una.

 

I democratici americani si stanno ancora leccando le ferite della settimana scorsa: il fiasco in Iowa (ha vinto dello 0,9 Pete Buttigieg, fazione centrista, ma Bernie Sanders, fazione radicale, chiede un parziale riconteggio), l’impeachment finito con Donald Trump in totale trionfalismo, il voto oggi in New Hampshire molto ravvicinato (sempre loro due, Sanders e Buttigieg), l’incombere di Mike Bloomberg, agguerritissimo. Soprattutto il terrore che questa lotta interna al partito – lotta antica ma resa attuale dalle primarie, appunto – diventi un volano per Trump, visto che il dissenso all’interno dei repubblicani non c’è più. James Carville, storico stratega della stagione clintoniana, ha scritto sabato sul Financial Times: ehi, democratici, “it’s the winning, stupid!”. Bisogna pensare soltanto a sconfiggere Trump, tenendo insieme tutte le anime del partito, un coro di voci molto diverse tra loro che fanno un unico canto, vincente. David Leonhardt, commentatore del New York Times, ha scritto domenica: fate un bel respiro, cari democratici, no panic, non complicatevi troppo la vita, fatevi domande semplici, anzi una soltanto. “Se le primarie non dovessero andare come volete, farete comunque tutto quello che è in vostro potere per negare un secondo mandato a Trump? O vorrete insistere, esagerare le differenze interne, lamentandovi di Sanders o di Elizabeth Warren con il loro radicalismo in perfetto stile Trump? O vorrete continuare a raccontare Buttigieg come uno strumento in mano alle grandi aziende? O vorrete condividere con indignazione le ultime cose dette da Joe Biden o da Bloomberg?”. La domanda sarà anche una, ma non è affatto semplice, perché su questo tema – unirsi per vincere – si stanno tormentando tutti (anche da noi) e perché questa è l’ora dell’incertezza: non lo sappiamo se Trump si batte – se si batte – con un candidato moderato o un candidato radicale. Leonhardt cita l’ultimo libro di E.J. Dionne, “Red Code”, codice rosso, che si occupa proprio di questa frattura e comincia così: “I moderati e i radicali continueranno a dividersi mentre l’America brucia?”. Dionne, saggista ed editorialista del Washington Post, ha a lungo lavorato sul “terreno in comune” o sul centrismo, ma in questo suo nuovo libro non vuole fare un altro appello al dialogo tra partiti, bensì provare a dare lezioni di unità al Partito democratico che invece cede “a un moralismo che alimenta complessi di superiorità politica”.

 

Allo stesso modo, nel Regno Unito, il Labour si sta litigando la leadership dopo la sconfitta clamorosa a dicembre di uno dei capi più radicali che la sinistra inglese abbia avuto, Jeremy Corbyn. Peter Mandelson, il principe delle tenebre (questo è il soprannome con cui è passato alla storia) che fu architetto del New Labour blairiano, e Steve Howell, che ha lavorato alla comunicazione della campagna elettorale di Corbyn nel 2017 (persa) e oggi sostiene Sanders, hanno fatto una conversazione in un podcast del Guardian sulla frattura tra moderati e radicali (nonostante la pensino in modo totalmente diverso, i due sono amici e si parlano). Pur partendo da posizioni diverse, entrambi pensano che si debba trovare un modo per riconciliare il blairismo e il corbynismo, perché – come fa Dionne per i democratici americani – le somiglianze sono più delle differenze. Più passa il tempo e sotto i riflettori delle primarie, che sono lo show di una faida interna e vinca il migliore, le somiglianze sembrano pochissime, e anzi si ha un senso di inconciliabilità strutturale insormontabile. Ma anche Mandelson e Howell pongono la stessa questione, che ha a che fare con la politica, certo, ma anche con la matematica: alzate lo sguardo, respirate, no panic, ma divisi non si vince.

Di più su questi argomenti:
  • Paola Peduzzi
  • Scrive di politica estera, in particolare di politica europea, inglese e americana. Tiene sul Foglio una rubrica, “Cosmopolitics”, che è un esperimento: raccontare la geopolitica come se fosse una storia d'amore - corteggiamenti e separazioni, confessioni e segreti, guerra e pace. Di recente la storia d'amore di cui si è occupata con cadenza settimanale è quella con l'Europa, con la newsletter e la rubrica “EuPorn – Il lato sexy dell'Europa”. Sposata, ha due figli, Anita e Ferrante. @paolapeduzzi