Un momento delle votazioni durante i caucus democratici in Iowa (foto LaPresse)

Il disastro tecnologico dell'Iowa è un brutto segnale per i dem

Eugenio Cau

Il caos alle primarie è stato provocato da una app che non funzionava, con annesse teorie del complotto. Il divario con Trump

Milano. Il Partito democratico americano ha un bisogno disperato di dimostrare che su internet può competere con Donald Trump. Il presidente è avanti su tutto quando si parla di campagna elettorale online, ha più soldi, tecnici migliori e strateghi più astuti, e per i democratici le primarie in Iowa erano un test non soltanto politico ma tecnologico. Sapete già in che disastro è andato a finire. I risultati dei caucus, che di solito arrivano poche ore dopo la chiusura delle votazioni, sono stati ritardati dapprima per tutta la notte di lunedì, e poi per la gran parte della giornata di ieri, con gran disappunto di elettori ed esperti politici, mentre le teorie del complotto iniziavano a proliferare.

 

La colpa è di una app che il Partito democratico dell’Iowa ha usato per facilitare le comunicazioni tra i vari caucus e la sede centrale. In teoria la app avrebbe dovuto rendere più veloce e sicura la pubblicazione dei dati: ciascun “caucus manager” (cioè la persona che coordina le votazioni in ciascun caucus) avrebbe potuto scaricare la app sul proprio smartphone personale e usarla per inviare i risultati delle votazioni alla sede centrale del partito. In seguito la app avrebbe fatto in automatico tutti i complessi calcoli necessari per dire chi ha vinto e quanti delegati ha preso ogni candidato.

 

In realtà la app ha fatto esattamente l’opposto: molti manager non sono riusciti a scaricarla, e anche quelli che ce l’hanno fatta hanno riscontrato problemi a non finire, non sono riusciti a mandare i risultati, hanno ricevuto strani messaggi d’errore. C’era un altro modo per comunicare i risultati: farlo a voce chiamando una hotline. Ma anche quella era intasata, alcuni manager hanno aspettato anche un’ora, e non sempre sono riusciti a prendere la linea. Lunedì notte, nel mezzo del disastro, il Partito democratico ha emesso un comunicato in cui si citavano di “inconsistenze nei risultati” e si diceva che erano in corso dei “quality control”. Il Partito assicurava che non era in corso un hackeraggio, semplicemente il sistema non aveva funzionato bene, e poi usava un termine che sarebbe ricorso spesso nelle ore successive, “paper trail”. Significa: non ci siamo affidati soltanto alla app, abbiamo le prove di carta di tutti i risultati. E ovviamente il commento più frequente è stato: perché la carta non l’avete usata fin da subito? Se c’è una cosa su cui tutti gli esperti di sicurezza online sono d’accordo è che il voto digitale è insicuro e instabile e da evitare: la vecchia carta funziona meglio. In realtà, poiché il voto dei caucus è pubblico, una manipolazione interna o esterna è molto improbabile, ma ritardi e malfunzionamenti hanno gettato nello sconforto i dem.

 

A quel punto sono successe due cose: la prima è che tutti sono andati a caccia degli autori di quell’app terribile. Nonostante la reticenza dei democratici dell’Iowa, l’Huffington Post America ha scoperto che dietro alla app c’è Shadow, azienda fondata da due veterani della campagna elettorale di Hillary Clinton nel 2016. La creazione della app, inoltre, era stata pagata con 60 mila dollari da ACRONYM, una noprofit vicina al Partito democratico guidata da una veterana della campagna di Obama nel 2012 e molto finanziata dai miliardari liberal della Silicon Valley. Dunque doppio smacco: sono stati i presunti talenti dem a generare il caos in Iowa.

 

  

La seconda cosa che è successa sono state le teorie del complotto. Forse che i risultati sono stati nascosti perché è in corso una cospirazione per modificarli?, si è cominciato a leggere su Twitter lunedì notte. A diffondere le bufale hanno contribuito alcuni sostenitori di Bernie Sanders, rimasti bruciati e sospettosi dopo la sconfitta di pochi decimali alle primarie del 2016. Ma i più volenterosi nel diffondere fake news sono stati i trumpiani, che ovviamente erano in brodo di giuggiole. Brad Parscale, il capo della campagna di Trump, ieri ha twittato: “Quality control=brogli?”. Con una emoji pensosa.

  • Eugenio Cau
  • E’ nato a Bologna, si è laureato in Storia, fa parte della redazione del Foglio a Milano. Ha vissuto un periodo in Messico, dove ha deciso di fare il giornalista. E’ un ottimista tecnologico. Per il Foglio cura Silicio, una newsletter settimanale a tema tech, e il Foglio Innovazione, un inserto mensile in cui si parla di tecnologia e progresso. Ha una passione per la Cina e vorrebbe imparare il mandarino.