Andrew Yang sale sul palco durante un evento elettorale in Iowa (John Locher / AP Photo)

Il Foglio Innovazione

L'uomo dei robot vuole diventare presidente

Francesco Oggiano

Andrew Yang è il primo candidato di origine asiatica alle primarie americane ed è arrivato avanti come nessuno s’aspettava. Merito di una campagna pazzesca sui social, e di uno slogan perfetto: MATH

Per descrivere l’uomo bastano le sue passioni: romanzi di fantascienza, tecnologia blockchain e “Mario Kart”, che ama giocare alla PlayStation installata sul suo bus elettorale. Per capire il politico sono sufficienti i suoi gadget: cappellini a 20 dollari con la scritta Math (“Make America Think Harder”), magliette a 35 con la sua foto da universitario annata 1992 (“Comprale e diventa anche tu un’icona fashion”) e due calzini col suo slogan (“Né a sinistra, né a destra: avanti!”). Per la sua comunicazione, invece, basta l’urlo che la folla gli riserva all’inizio di ogni comizio: “Po-wer-Point! Po-wer-Point! Po-wer-Point!”. Andrew Yang, 45 anni, candidato alle primarie democratiche, li accontenta quasi sempre: sale sul palco, si sbottona il blazer d’ordinanza che porta sopra la camicia bianca senza cravatta, armeggia con le slide sul suo Mac e inizia a illustrare il suo piano per diventare l’uomo più potente del mondo. “Li vedete?”, indica le immagini sullo schermo. “Sono robot che fanno la pizza al posto vostro. Questi invece sono dei camion che si guidano da soli. E’ la quarta rivoluzione industriale, e farà sparire i vostri posti di lavoro”. E col pubblico terrorizzato quanto basta, annuncia la sua killer application: “Se eletto, darò mille dollari al mese a ogni americano!”. Applausi.

 

“Freedom dividend”, lo chiama, dimostrando già padronanza nella politicissima arte della raffinazione linguistica. E’ il “dividendo della libertà” che sarà finanziato grazie alle tasse da far pagare (finalmente) alle Big tech della Silicon Valley. Economicamente, confermano gli esperti, la proposta è un disastro: perché potrebbe non essere necessaria; perché non basterebbe a compensare il reddito medio, per esempio, dei camionisti (50 mila dollari l’anno); e perché costerebbe qualcosa come 3 mila miliardi l’anno. Politicamente, confermano altri esperti, è un colpo di genio. Con quella, e con una campagna elettorale condotta brillantemente sui social, Andrew Yang è diventato il primo asiatico a correre per la Casa Bianca, ha superato l’anonimato (i media americani ne hanno sbagliato nome o foto “12 volte”) ed è arrivato a essere il quinto candidato più popolare tra i democratici in corsa per le primarie (sette per cento di gradimento tra i democratici a livello nazionale, sondaggio di Washington Post e Abc News).

 


Un reddito di cittadinanza da 1.000 dollari al mese, che Yang chiama “dividendo della libertà”, contro l’automazione industriale


 

Sarebbe un miracolo in un paese europeo. Ma è un debole remake negli Stati Uniti, dove già quattro anni fa ha vinto le elezioni un non-politico eccentrico, attivissimo sui social e capace di parlare alla pancia degli americani. L’uomo che dice di essere l’esatto opposto di Trump (“Sono un asiatico che ama la matematica…”) gli è molto più simile di quanto voglia far credere. Cresciuto nello stato di New York da genitori provenienti da Taiwan, dopo gli studi in Legge e un periodo da avvocato decide di abbandonare il codice per buttarsi nella valorizzazione del “potenziale umano”. Fonda prima una startup filantropica che rivenderà a buon prezzo. Poi un’organizzazione che aiuta gli startuppari ad aprire aziende nelle zone più remote della nazione. Stringe contatti, gira il paese, parla con quell’America lontana dalla California e da New York. Nel 2016, quando dal suo soggiorno vede trionfare Donald Trump, ha la folgorazione della vita. The Donald, si convince, non ha vinto per lo scandalo delle mail di Hillary o per la sua politica estera. Ha vinto perché è l’unico che ha parlato alla paura degli americani, terrorizzati dalla perdita del posto di lavoro. Lui farà lo stesso. Urlando e twittando più forte. Tempo un mese e manda un messaggio a tutti i suoi contatti Gmail: “Ciao! Ho una grossa novità: mi candido alla Casa Bianca per i democratici”. Firmato: “Andrew Yang, US Presidential Candidate (D)”, segue numero di telefono. E’ il coerente inizio via internet di una delle campagne più internettiane della storia americana. “Sono migliore di Trump sul web!”, esulta lui, che per alcuni ha già vinto la “meme war” contro il presidente. Tutto merito della #Yanggang, com’è chiamata la community di suoi fan che lo segue e lo sostiene su tutti i social.

 

Così come Trump, è popolarissimo su Reddit. Nel canale Yang for President Hq ogni giorno i suoi 103 mila seguaci si ritrovano per creare meme a lui dedicati: Yang che balla, Yang che promette “1.000 cani” a ogni americano, Yang che fa cose. Quando è in viaggio, passa moltissimo tempo su Quora a rispondere alle domande degli utenti. O su Instagram e su Twitter (1,2 milioni di follower) a prendersi in giro. Ha la faccia simpatica, gli va dato atto: balla la salsa, urla con immotivato entusiasmo, canta con l’ologramma del suo idolo Tupac. Il suo tweet più popolare (58 mila ricondivisioni) è un mix perfetto di populismo e clickbait: “Darò 1.000 dollari al mese per un anno a un utente che inizierà a seguirmi e retwitterà questo contenuto”. La svolta arriva forse con l’ospitata al podcast di Joe Rogan, ritrovo di culto della sottocultura internettiana un po’ machista. Dopo quella chiacchierata di due ore, Andrew Yang incassa gli endorsement di gente come il comico Dave Chappelle, il ceo di Twitter Jack Dorsey, l’attore Nicolas Cage, il campione di poker Daniel Negreanu e diversi esponenti della Silicon Valley. “Andrew Yang is not full of shit”, titola Wired in un profilo dedicatogli nientemeno che dal direttore. “E’ l’unica fonte di luce in queste primarie”, scrive sul New York Magazine Andrew Sullivan, che lo vedrebbe un degno avversario di Trump.

 


La PlayStation nel bus elettorale, i Powerpoint agli eventi di campagna, la #Yanggang su Reddit e i meme che spopolano


 

Non lo sarà, quasi sicuramente. “Finora è stato il candidato più virale, capace di aggregare una community entusiasta e raccogliere le curiosità di trumpiani delusi e giovanissimi”, racconta Eugene Daniels, reporter che da settimane sta viaggiando assieme a Yang per raccontarne la campagna su Politico.com. “Ma ha tre punti deboli: un nome poco conosciuto; un’inconsistente popolarità tra le donne e gli afro-americani, fondamentali nelle primarie; e poca credibilità politica tra gran parte degli elettori, che spesso si chiedono: ‘E’ simpaticissimo, ma gli affiderei la guida della nazione?’”. A poco sono valse finora le altre promesse, pure gustosissime. La legalizzazione della marijuana, l’istituzione di un ministero dell’Economia dell’attenzione per regolare i social, la “Festa nazionale del 15 aprile” (giornata ultima per pagare le tasse in America), e l’introduzione di uno psicologo che assista i dipendenti della Casa Bianca: “Fanno un lavoro stressante”, dice Andrew Yang. Se continua così, tra un po’ gli propinerà “l’antistress dividend”. Mediante presentazione Powerpoint, ovvio.