L'ufficiale e la spia

La recensione del film di Roman Polanski, con Jean Dujardin, Louis Garrel, Emmanuelle Seigner, Melvil Poupaud

Mariarosa Mancuso

Chi storce il naso, non sa cosa si perde. Non l’avrebbe mai fatto di fronte a “Il pianista”, Palma d’oro a Cannes nel 2002 e vincitore di tre Oscar. “L’ufficiale e la spia” (ultimo film di Roman Polanski, anni 86) gli americani neanche lo vedranno: potrebbe riattivare la corda puritana che scatenò i roghi per le streghe a Salem. Viene in mente un episodio della serie “Alfred Hitchcock presenta”. Una signora aggredita riconosce il suo assalitore, prontamente tradotto al distretto di polizia. Uscita dal commissariato, urla: “E’ lui, è lui…”, additando un altro passante (che neppure somiglia al precedente). Non sa cosa si perde – sempre che apprezzi il cinema, se preferisce il dibattito sui massimi sistemi e sulle lenzuola altrui, spazio in giro ce n’è. “L’ufficiale e la spia” è un film perfetto, come se ne vedono di rado. Per esempio, a parità di intenzioni & ambizioni – “Giro un classico da riconoscersi immediatamente come tale” – Martin Scorsese con “The Irishman” ha mancato il bersaglio (e ha dieci anni meno di Roman Polanski).

 

Un film appassionante, a cominciare dalla sceneggiatura di Richard Harris, che su suggerimento di Polanski aveva raccontato la vicenda nel libro con lo stesso titolo (Mondadori). Magnifica la regia, i costumi, gli arredi, gli scorci di strade dove passa sempre qualcuno. Le divise, le barbe, i baffi, i duelli sono di sublime realismo: non c’è scena che suoni falsa o costruita. Dal “Déjeuner sur l’herbe” (l’originale di Manet già scherza con il fuoco, una donna nuda tra due uomini vestiti; prima di strillare ricordate che doveva essere intitolato “Le bain”) all’intelligence che intercetta la corrispondenza e apre le missive (a secco o a vapore, ognuno aveva il suo metodo). E c’è Alphonse Bertillon, che dà la caccia ai criminali con metodo scientifico. “L’ufficiale e la spia” racconta – di sponda, con una prospettiva originale e potente – l’affaire Dreyfus, nella Francia di fine Ottocento. Ebreo, capitano dell’esercito, fu accusato di alto tradimento e incarcerato all’Isola del Diavolo, in Guyana. Il colonnello Georges Picquart sentì puzza di falso. Lo scrittore Émile Zola scrisse il suo “J’accuse”.

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